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mercoledì 11 marzo 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è l'11 marzo.
La mattina dell'11 marzo 1977 a Bologna, in seguito a un contrasto sorto nell'Istituto di Anatomia fra alcuni militanti del movimento e il servizio d'ordine di Comunione e Liberazione, i giovani del gruppo cattolico si barricano all'interno di un'aula, invocando l'intervento delle forze di polizia. Appena giunti sul posto, i carabinieri si scagliano contro gli studenti di sinistra intenti a lanciare slogan. La carica fa subito salire la tensione. Nel corso degli scontri successivi, che interessano tutta la zona universitaria, Francesco Lorusso, 25 anni, militante di Lotta Continua, viene raggiunto da un proiettile mentre sta correndo, insieme ai suoi compagni, per cercare riparo. Muore sull'ambulanza, durante il trasporto in ospedale. Alcuni testimoni riferiranno di aver visto un uomo, poi identificato nel carabiniere ausiliario Massimo Tramontani, esplodere vari colpi, in rapida successione, poggiando il braccio su un'auto per prendere meglio la mira. Lo sparatore, arrestato agli inizi di settembre e scarcerato dopo circa un mese e mezzo, sarà in seguito prosciolto per aver fatto uso legittimo delle armi.
Quando si diffonde la notizia dell'assassinio, migliaia di persone affluiscono all'Università. Dopo che il corteo, partito nel pomeriggio, viene disperso da violente cariche, una parte dei manifestanti occupa alcuni binari della stazione ferroviaria, scontrandosi con la polizia, mentre altri si dirigono verso il centro della città e sfogano la propria rabbia anche infrangendo le vetrine dei negozi. Le iniziative di protesta dei giorni successivi sono duramente represse. Numerosi i fermi e gli arresti. Finiscono in carcere, tra gli altri, i redattori di Radio Alice, emittente dell'area dell'Autonomia Operaia chiusa dalla polizia armi alla mano. I fatti di Bologna caricano di tensione l'imponente corteo nazionale contro la repressione che si svolge il 12 marzo a Roma. Bottiglie molotov vengono lanciate contro sedi della DC, comandi di carabinieri e polizia, banche, ambasciate. Gli scontri nelle strade sono violenti, e in alcuni casi si svolgono a colpi di arma da fuoco.
Ai compagni, ai familiari e agli amici di Lorusso si impedisce intanto di svolgere il funerale in città e di allestire la camera ardente nel centro storico, mentre il contatto ricercato dai militanti del movimento con i Consigli di Fabbrica e la Camera del Lavoro è reso difficile dalla posizione intransigente assunta dalle organizzazioni della sinistra storica. La frattura con il PCI raggiunge il suo apice nella manifestazione contro la violenza, organizzata per il 16 marzo a Bologna dai sindacati confederali, con la partecipazione, tra gli altri, della DC, partito che il movimento aveva indicato quale principale responsabile dell'assassinio. In quell'occasione al fratello di Francesco fu vietato l'intervento dal palco.
Una lapide commemorativa è stata posta in corrispondenza del luogo ove lo studente cadde colpito a morte, in via Mascarella 37 a Bologna. Il testo della lapide recita:
« I compagni di Francesco Lorusso qui assassinato dalla ferocia armata di regime l'11 marzo 1977 sanno che la sua idea di uguaglianza di libertà di amore sopravviverà ad ogni crimine.
Francesco è vivo e lotta insieme a noi. »
Oltre trent'anni dopo la morte di Francesco Lorusso, il 18 marzo 2007 il fratello Giovanni ha incontrato ed abbracciato Massimo Tramontani. L'incontro è avvenuto in seguito al ritrovamento da parte di Giovanni Lorusso di una lettera indirizzata al padre, ex generale in pensione deceduto nell'agosto 2006, scritta da Tramontani, nella quale chiedeva un incontro.
Quasi coetanei, quasi colleghi di lavoro, entrambi sposati, entrambi con figli che hanno più o meno l´ultima età che ebbe Francesco, entrambi impegnati in due diversi itinerari spirituali: due vite parallele e speculari. «È il momento che ho immaginato per anni», cerca le parole Massimo. Ce n´è una, di parole, che galleggia nell´aria, che attende di essere convocata. Quella parola è "perdono", ma entrambi si accorgono, quasi sorpresi, di non averne bisogno. «Il perdono è solo di Dio», dice Giovanni, «e poi se io ora dicessi ‘ti perdono´, vorrebbe dire che finora ti ho pensato colpevole. Invece non è così. Quel giorno è stata sconvolta la vita di Francesco, ma anche la tua. Non sei stato tu il vero colpevole». Tramontani annuisce, comprende bene il senso di queste parole. C´è un senso storico, perché Tramontani ricorda certo di avere sparato, ma non ha mai avuto la certezza che in quel fumo fitto sia stato proprio lui a colpire, o se fu invece qualcun altro che quel giorno vicino a lui forse sparò, chi può dirlo, nessuno può dirlo, Tramontani stesso dice di non saperlo, comunque nessun giudice fu messo in grado di deciderlo, per quel regalo avvelenato del proscioglimento per «uso legittimo delle armi». Ma non è di questo che si parla quel giorno nel silenzio del convento. In realtà quando Lorusso dice «non sei il vero colpevole» non pensa alle verità giudiziarie, pensa soprattutto alle dure morali della storia, alle responsabilità di chi aveva il potere di assumersele. Pensa a chi allora mise due ragazzi contro, due che non si conoscevano e non si odiavano, e lasciò, oppure volle, oppure mise in conto che uno ammazzasse l´altro; e ci fu anche chi, dopo, dannò la memoria di Francesco per salvare la propria. Giovanni ci pensa ancora qualche istante, e conclude: «Il nostro è un incontro fra due vittime».

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