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mercoledì 12 marzo 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi




 Buongiorno, oggi è il 12 marzo.

Alle 23,15 del 12 marzo 1977 a Bologna la polizia sfonda la porta di Radio Alice che, grazie alla presa diretta con le telefonate dei compagni che vi partecipano, ha assicurato una straordinaria copertura degli scontri degli ultimi due giorni. L’irruzione, armi in pugno e giubbetti antiproiettile, come se fosse un covo brigatista, si conclude con la devastazione delle strutture e l’arresto dei 5 ragazzi presenti, che sono selvaggiamente picchiati nei locali della Mobile. L’ultima voce di radio Alice è: “Sono entrati, siamo con le mani alzate”.

Nella notte tra il 13 e il 14 marzo scatta invece il blitz militare voluto da Cossiga, ministro degli Interni. Ecco la ricostruzione del Resto del Carlino in uno speciale del 2010:

"SBUCARONO insieme, da una strada e dall’altra, in uno stridore di cingoli, i fari in ispezione, le sagome tozze, gigantesche e massicce come mostri della notte. «I carrarmati», urlò qualcuno, e la voce si spinse lungo i portici, qua e là, nelle vie della zona universitaria e tutt’intorno. «I carrarmati dei carabinieri», puntualizzò da chissà dove un anonimo solista, in una Bologna sconvolta dal sangue e dalla rabbia. Era il buio tra il 13 e il 14 marzo 1977, le vie del centro, con le vetrine frantumate, le auto ruote all’aria e i cassonetti strategicamente utilizzati come grandi scudi metallici, mostravano i segni di tre giorni di battaglia, e le scritte sui muri ribadivano flash di odio e promesse di vendetta."

Veniva da lontano, l’ordine di affidare ai blindati dell’Arma il compito di spegnere la rivolta degli studenti dell’Autonomia, impegnati in una durissima guerriglia urbana prima contro Comunione e Liberazione, poi in una serie di scontri con le forze dell’ordine, culminati con la morte dello studente Francesco Lorusso. In quel caotico succedersi di focolai di violenza si era inserito l’ultimo, drammatico episodio: l’assalto a un’armeria di via de’ Castagnoli con l’inquietante grisbì di 90 fucili e di un adeguato corredo di pistole. A cosa sarebbero dovute servire quelle armi?

Fu allora che Francesco Cossiga, ministro dell’Interno, decise per le maniere forti. Il ‘Carlino’ uscì per primo con la notizia dell’entrata in azione dell’esercito. Era stato lo stesso ministro, a volerlo, per scoraggiare i rivoltosi. «Direttore, faccio intervenire i blindati dell’Arma: se crede, pubblichi la notizia», disse al telefono al direttore Franco Di Bella. E allora Roberto Canditi, il collega che aveva già raccontato le cronache degli scontri dovette cambiare l’inizio dell’articolo. «I carri armati all’Università», sparava il titolone. A mezzanotte le prime copie erano già nelle edicole.

Ed eccoli, alle quattro, nel buio della notte, i mostri d’acciaio tra libri, facoltà e biblioteche. Ma fu un’avanzata quasi nel deserto, perché buona parte degli studenti, spaventati, avevano preferito mettersi al sicuro. Così andò in scena lo spettacolare clou di una brutta striscia di sangue cominciata la mattina dell’11 con un ‘innesco’ banale: un’assemblea di Comunione e Liberazione in un’aula universitaria, contestata da alcuni della sinistra extraparlamentare, in arrivo da ‘Medicina’. Il servizio d’ordine di Cl respinse l’attacco, qualcuno avvertì le forze dell’ordine e il fuocherello della rabbia divenne incendio.

SCONTRI, fughe, cariche, molotov e lacrimogeni, slogan e fuggi fuggi. C’erano polvere, fumo e rabbia, nell’aria, quando una molotov incendiò il telone dell’autocarro di testa di una colonna dei carabinieri. E nel chiarore di quel falò il giovane autista Massimo Tramontani, stese il braccio armato sul supporto di un mezzo in sosta e fece fuoco. E lì, tra spari a più mani, molotov, spranghe, urla, slogan, cariche e agguati, lo studente Francesco Lorusso cadde senza vita, in via Mascarella. Il sangue ricaricò la rabbia e diede il via a cortei, ad altre cariche e a nuove occupazioni. In quel clima scese la sera, e in quel clima, su disposizione di Cossiga, i cingolati chiesero strada qualche notte dopo. E nella luce del nuovo giorno, nelle rabbiose scritte sui muri, la C di Cossiga, divenne una K.

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