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domenica 23 marzo 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 23 marzo.

Il 23 marzo 1989 i ricercatori Stanley Pons e Martin Fleishmann annunciano di essere riusciti a generare la cosiddetta "fusione fredda".

Un’energia pulita, economica, sostenibile e pressoché illimitata. Queste le mirabolanti promesse che aleggiano attorno al meccanismo della cosiddetta fusione nucleare fredda. Ovvero, per dirla in parole semplici, una replica di quello che accade nel nucleo delle stelle – dove atomi leggeri si fondono tra loro emettendo energia – ma realizzata a temperature infinitamente più basse. Se state pensando che è troppo bello per essere vero, avete quasi certamente ragione: al momento, tutte le evidenze sperimentali indicano con chiarezza che la fusione nucleare fredda, semplicemente, non esiste. Ultima in ordine di tempo quella osservata da un’équipe di scienziati finanziati da Google, che per due anni hanno indagato il fenomeno arrivando ahinoi alla conclusione che “non c’è alcuna prova dell’esistenza della fusione fredda”. Tuttavia, come spesso accade nella scienza, il tempo passato a studiare un fenomeno che non esiste è tutt’altro che sprecato: gli sforzi dei debunker hanno infatti portato a una serie di scoperte collaterali che potrebbero avere ricadute tecnologiche inaspettate e imprevedibili.

Ripercorriamo la vicenda cominciando dall’inizio. È il 23 marzo del 1989, e siamo nei laboratori della University of Utah di Salt Lake City, in Utah, Stati Uniti. Due ricercatori, Stanley Pons e Martin Fleischmann, mostrano al mondo una macchina da laboratorio, dalle dimensioni relativamente contenute e a loro dire in grado di produrre una grande quantità di energia attraverso la fusione di due nuclei di deuterio (un isotopo pesante dell’idrogeno). Sostanzialmente, la macchina sarebbe riuscita (sempre a detta di Pons e Fleischmann) a riprodurre le reazioni nucleari che avvengono nel nucleo del Sole e delle altre stelle, a temperature di milioni di gradi, sprigionando così enormi quantità di energia. Il dispositivo era sostanzialmente una cella elettrolitica, ossia un contenitore in vetro riempito con acqua pesante (cioè acqua in cui l’idrogeno è sostituito dal deuterio) in cui erano immersi due elettrodi: facendo passare della corrente attraverso la cella, l’acqua si scomponeva nei suoi costituenti, ossigeno e deuterio. I due scienziati dissero di aver tenuto acceso il loro sole per alcuni giorni, continuando a far circolare la corrente elettrica e rimboccando di tanto in tanto la cella di acqua, e di aver osservato degli occasionali e improvvisi aumenti di temperatura del liquido. Che, spiegarono, non erano imputabili a reazioni chimiche note, ma per l’appunto a un meccanismo in cui due nuclei di deuterio si fondevano insieme formando un nucleo di elio (l’isotopo 3He), la liberazione di un neutrone e l’emissione di raggi gamma. Ovvero, in altre parole, a un fenomeno di fusione nucleare. Boom.

È facile immaginare la reazione della comunità scientifica – e, più in generale, di tutta l’opinione pubblica – davanti a un annuncio di questa portata. Se la scoperta di Fleischmann e Pons fosse stata confermata, si sarebbe immediatamente aperta una nuova felicissima era. In cui sarebbero stati risolti in un sol colpo tutti i problemi legati all’utilizzo dei combustibili fossili, vista la possibilità di produrre energia a basso costo senza rilasciare anidride carbonica, e della fissione nucleare, meccanismo che, al contrario della fusione, coinvolge atomi pesanti e quindi molto radioattivi. Però, come si diceva all’inizio, il sogno è troppo bello per essere vero. E presto è arrivato il momento di aprire gli occhi. Le dichiarazioni e soprattutto il protocollo di Fleischmann e Pons sono state passate sotto l’attento vaglio della comunità scientifica, che non ha impiegato troppo tempo a rendersi conto che non tutti i conti tornavano: i dati relativi all’emissione di neutroni, raggi gamma e l’eventuale presenza di elio non supportavano affatto l’idea di una reazione nucleare. Tutti i ricercatori che hanno cercato di riprodurre gli esperimenti di Fleischmann e Pons non sono riusciti a ottenere gli stessi risultati né tantomeno a rivelare la presenza di neutroni come prova dell’avvenuta reazione nucleare. Tanto che la rivista Nature, a novembre del 1989, ha smentito ufficialmente la scoperta. E lo Us Department of Energy ha dichiarato espressamente che non sussisteva alcuna base teorica né sperimentale per parlare di fusione fredda. Argomento chiuso e archiviato per sempre, quindi? Tutt’altro.

Nel trentennio successivo, diverse équipe di scienziati hanno continuato a credere nel sogno della fusione fredda, cercando di riprodurre i risultati dichiarati da Fleischmann e Pons – e imbarcandosi addirittura in avventure che di scientifico avevano ben poco, come nel caso dell’E-Cat di Rossi e Focardi, ma questa è un’altra storia – senza ottenere alcun risultato degno di nota. Lo sforzo più significativo, di cui finalmente siamo arrivati a conoscere gli esiti, è quello avviato da Google nel 2015. Big G, in particolare, ha assoldato trenta ricercatori, afferenti a diversi laboratori in tutto il mondo, affidando loro il compito di ricontrollare pedissequamente il lavoro e i risultati di Fleischmann e Pons e di “sviluppare una serie di esperimenti, rigorosi e riproducibili, per determinare se esistono delle condizioni sperimentali (e quali siano queste condizioni) in cui potrebbe avere luogo la fusione fredda”. Dopotutto, ragionavano pragmaticamente a Google, “the absence of evidence is not the evidence of absence”: l’assenza di prove (in questo caso a supporto della fusione fredda) è diversa, in linea di principio, dalle prove di assenza.

I risultati degli studi e degli esperimenti sono stati pubblicati su Nature. Tagliamo corto: “I successivi fallimenti di riprodurre l’effetto [dichiarato da Fleischmann e Pons, ndr] hanno accentuato lo scetticismo di questa affermazione nella comunità accademica, e hanno effettivamente portato all’esclusione di questo campo di ricerca da studi più approfonditi”, scrivono nel paper. “Motivati dalla possibilità che tali giudizi siano stati prematuri, abbiamo intrapreso un programma multi-istituzionale per riesaminare la fusione fredda con i più alti standard di rigore scientifico. In questo articolo descriviamo i nostri sforzi, che ancora non hanno fornito alcuna prova dell’esistenza di questo effetto”. In sostanza, dicono gli scienziati, la fusione fredda continua a essere un fenomeno al momento inosservabile. C’è ancora, però, una tenue speranza. E una stoccata ai debunker dell’epoca: “Il nostro progetto”, continuano, “ha mostrato quanto è difficile riprodurre le condizioni sperimentali in cui, in linea teorica, la fusione fredda potrebbe aver luogo: il fenomeno potrebbe avvenire, ma con una probabilità davvero molto remota. In ogni caso, il nostro risultato, date le difficoltà osservate, suggerisce che il debunking del 1989 potrebbe essere stato prematuro”.

Tra l’altro, va evidenziato che gli sforzi degli scienziati hanno prodotto risultati che vanno al di là del campo della fusione fredda: per realizzare i loro esperimenti, i ricercatori hanno dovuto per esempio mettere a punto dei calorimetri in grado di funzionare in condizioni estreme, e sviluppare tecniche per produrre e caratterizzare materiali altamente idrati. Serviranno a qualcosa? Ne è valsa la pena? Bisogna proseguire in questa linea di ricerca? Come spesso accade nella scienza, che procede a zig-zag e per collegamenti sommersi, è difficile stabilirlo a priori. E dunque, al momento, non possiamo far altro che attendere.

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