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Il 30 marzo 1985 Pippo Calò, il tesoriese di Cosa Nostra, viene arrestato.
Giuseppe Calò, soprannominato Pippo (Palermo, 30 settembre 1931), è un mafioso italiano, legato a Cosa nostra. A lui si fa riferimento come il "cassiere di Cosa nostra" perché era fortemente coinvolto nella parte finanziaria dell'organizzazione, soprattutto nel riciclaggio di denaro.
Nato e cresciuto a Palermo, ha lavorato come commesso in un negozio di vendita di tessuti ed in seguito lavorò anche come macellaio e barista. All'età di diciotto anni, Calò si segnalò per aver inseguito e ferito a colpi di pistola l'assassino del padre. Per queste sue "qualità", all'età di 23 anni venne affiliato nella cosca mafiosa di Porta Nuova dal suo associato Tommaso Buscetta e iniziò numerose attività in imprese legali come rappresentante di tessuti a Palermo, aprì un bar e si occupò di una pompa di benzina. Giuseppe Calò ha avuto due figli, da uno di questi è nato il criminale italiano associato a Cosa nostra Leonardo Calò, condannato per riciclaggio, pluriomicidio, occultamento di cadaveri e sequestro di persona.
Nel 1969 Calò venne scelto come nuovo capo della cosca di Porta Nuova in seguito alla morte di vecchiaia del boss Giuseppe Corvaia. In questo periodo Calò divenne il principale fiancheggiatore del boss Luciano Liggio e del suo vice Salvatore Riina: l'omicidio del procuratore Pietro Scaglione venne eseguito dagli stessi Liggio e Riina nel territorio della cosca di Calò, che fornì anche i suoi uomini per il sequestro del costruttore Luciano Cassina ordinato da Riina. Nel 1974, quando venne ricostruita la "Commissione", Calò entrò a farne parte come capo del mandamento di Porta Nuova, che comprendeva le cosche di Borgo Vecchio, Palermo centro e Porta Nuova.
All'inizio degli anni settanta Calò si trasferì a Roma. Sotto la falsa identità di Mario Aglialoro, investì in beni immobiliari e operò nel riciclaggio di denaro per conto delle cosche dello schieramento dei Corleonesi, legandosi alla Banda della Magliana, a frange eversive dell'Estrema destra e ad ambienti finanziari, in particolare con i faccendieri Umberto Ortolani, Ernesto Diotallevi e Flavio Carboni; inoltre Calò era in stretti rapporti d'amicizia con l'onorevole Francesco Cosentino. Nel primo periodo a Roma Calò si occupò inizialmente del gioco clandestino e poi, insieme al boss Stefano Bontate, controllò la distribuzione dell'eroina ai gruppi malavitosi di Testaccio, della Magliana e di Ostia-Acilia; dopo l'uccisione di Bontate, il traffico di eroina dalla Sicilia a Roma continuò, controllato soltanto da Calò.
In particolare Calò, grazie alle sue conoscenze negli ambienti finanziari, si avvaleva di Roberto Calvi e Licio Gelli per il riciclaggio di denaro sporco, che veniva investito nello IOR e nel Banco Ambrosiano, la banca di Calvi. Nel 1981, a seguito del fallimento definitivo del Banco Ambrosiano, Calvi cercherà di salvare il denaro investito da Calò per conto degli altri boss andato perduto nella bancarotta, però i suoi tentativi falliranno. Nel 1982 Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano subentrato a Calvi, sopravvisse ad un agguato compiuto da esponenti della banda della Magliana legati a Calò; Calvi partì per Londra, forse per tentare un'azione di ricatto dall'estero verso i suoi precedenti alleati politici, tra cui l'onorevole Giulio Andreotti, ma il 18 giugno 1982 venne ritrovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge.
Calò organizzò il 23 dicembre 1984 l'esplosione di una bomba sul treno Napoli-Milano con 17 morti e 267 feriti (la cosiddetta Strage del Rapido 904 o strage di Natale), per deviare l'attenzione dell'opinione pubblica dalle rivelazioni date dal pentito Tommaso Buscetta.
Calò fu arrestato il 30 marzo 1985 nel suo appartamento in Viale Tito Livio a Roma, in zona Balduina, mentre era in compagnia del mafioso Antonino Rotolo. L'11 maggio la polizia perquisì un edificio rustico presso Poggio San Lorenzo in provincia di Rieti, acquistato da Calò attraverso il suo prestanome Guido Cercola: furono trovati alcuni chili di eroina, un apparato ricetrasmittente, delle batterie, alcuni apparecchi radio, antenne, cavi, armi e diversi tipi di esplosivo.
Calò fu uno tra le centinaia di imputati sottoposti a giudizio durante il Maxiprocesso che iniziò l'anno seguente, nel quale dovette difendersi dalle accuse di associazione mafiosa, riciclaggio di denaro, e della responsabilità della strage del Rapido 904. Al termine del processo, nel 1987, Calò, riconosciuto colpevole, si vide infliggere una pena detentiva di due ergastoli.
Nel 1997 Calò e altri quattro (il faccendiere Flavio Carboni, la sua ex fidanzata Manuela Kleinszig, l'ex affarista della banda della MaglianaErnesto Diotallevi e Silvano Vittor) coinvolti nell'omicidio di Roberto Calvi furono indagati ed il loro processo, cominciato nell'ottobre 2005, si è concluso nel giugno 2007 con l'assoluzione degli imputati per «insufficienza di prove» da parte della Corte d'Assise. Sul caso rimane invece aperta l'indagine-stralcio presso la procura di Roma sui mandanti dell'omicidio che vede indagate una decina di persone tra cui Licio Gelli, l'ex capo della P2.
Secondo alcuni collaboratori di giustizia, Calò sarebbe uno dei responsabili dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli (assassinato il 20 marzo 1979 a Roma) per via dei suoi legami con la banda della Magliana.«La tesi accusatoria nel processo prospettava che il delitto sarebbe stato deciso dal senatore Andreotti il quale, attraverso l’on. Vitalone, avrebbe chiesto ai cugini Salvo l’eliminazione di Pecorelli. I Salvo avrebbero attivato Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, i quali, attraverso la mediazione di Giuseppe Calò, avrebbero incaricato Danilo Abbruciati e Franco Giuseppucci di organizzare il delitto che sarebbe stato eseguito da Massimo Carminati e da Michelangelo La Barbera.»(Documento del Senato della Repubblica)Dopo tre gradi di giudizio, nell'ottobre del 2003, la Corte di Cassazione emanò una sentenza di assoluzione "per non avere commesso il fatto" nei confronti di Calò, imputato insieme a Giulio Andreotti, Claudio Vitalone e Gaetano Badalamenti (accusati di essere i mandanti) e per Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera da quella di essere gli esecutori materiali dell'omicidio, bollando le testimonianze dei collaboratori di giustizia come non attendibili..Il legame di Calò con la Banda della Magliana è testimoniato anche dai rapporti con Danilo Abbruciati (boss della Banda ucciso a Milano nell'attentato a Roberto Rosone): infatti Calò era il principale fornitore di eroina alla Banda. Lo stesso Abbruciati uccise poi Domenico Balducci, usuraio di Roma, che riciclava denaro sia per conto della Banda, sia per conto di Calò. Si dice che i motivi dell'uccisione siano in un favore fatto da Danilo Abbruciati proprio a Pippo Calò che aveva deciso di chiudere il rapporto con Domenico Balducci.
Nel 1995, nel processo per gli omicidi di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Michele Reina, Calò venne condannato all'ergastolo insieme ai boss Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Francesco Madonia e Nenè Geraci. Sempre nel 1995, nel processo per l'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della mobile Boris Giuliano e del professor Paolo Giaccone, Calò fu condannato all'ergastolo insieme a Bernardo Provenzano, Salvatore Riina, Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Nenè Geraci e Francesco Spadaro. Nel 1996 fu nuovamente condannato all'ergastolo per l'omicidio del giudice Antonino Scopelliti insieme ai boss Salvatore Riina, Francesco Madonia, Giuseppe Giacomo Gambino, Giuseppe Lucchese, Bernardo Brusca, Salvatore Montalto, Salvatore Buscemi, Nenè Geraci e Pietro Aglieri.
Nel 1997, nel processo per la strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta, Calò venne condannato all'ergastolo insieme ai boss Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Raffaele Ganci, Nenè Geraci, Benedetto Spera, Nitto Santapaola, Bernardo Provenzano, Salvatore Montalto, Giuseppe Graviano e Matteo Motisi[16]. Lo stesso anno, nel processo per l'omicidio del giudice Cesare Terranova, Calò ricevette un altro ergastolo insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Salvatore Riina, Nenè Geraci, Francesco Madonia e Bernardo Provenzano.
Inoltre nel 2004 viene accusato dal collaboratore Salvatore Cancemi di aver strangolato i due figli del pentito Tommaso Buscetta, scomparsi nel 1982 e mai più ritrovati.
Attualmente si trova in carcere a Bollate.
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