Buongiorno, oggi è il primo dicembre.
Il primo dicembre 1986 si inaugura a Parigi il Musée d'Orsay.
L'edificio in cui si trova ora il museo ha avuto una bellissima vicenda costruttiva: fu edificato dapprima come stazione ferroviaria dall'architetto Victor Laloux dal 1898 al 1900 nel luogo in cui in precedenza sorgeva una caserma di cavalleria e il vecchio Palazzo d'Orsay. I lavori furono terminati in soli due anni perché la stazione d’Orsay fosse pronta per l’Esposizione Universale del 1900.
Nel 1939 le grandi linee ferroviarie furono spostate e la stazione continuò a servire solo il traffico locale. Negli anni successivi, lo stabile fu adibito a vari usi: negli anni 50 cessò il servizio.
Nel ‘61 ne fu decisa la demolizione, ma gli sforzi di molti cittadini illustri che si mobilitarono per la sua salvaguardia fecero sì che la stazione venisse risparmiata e classificata come monumento nazionale.
Nel ‘78, sotto la presidenza di Giscard d’Estaing, ne fu finalmente decisa la trasformazione in museo.
Il restauro venne affidato al gruppo ACT-Architecture, i cui componenti decisero di rispettare il più possibile la struttura e i materiali preesistenti.
Alla famosissima architetto italiana Gae Aulenti vennero invece affidati gli spazi interni e la progettazione dei percorsi espositivi (come al Pompidou).
A lei si deve la scelta della pietra calcarea chiara, che dà luminosità alle sale ottimizzando l’effetto della luce proveniente dalla volta in vetro e metallo, e nello stesso tempo rende unitario e coerente l'insieme.
Il percorso si articola su tre livelli, utilizzando la navata centrale, dove un tempo c’erano i binari, come corridoio principale su cui si aprono terrazze e passaggi.
Ad 86 anni dall'inaugurazione della stazione ferroviaria, il Museo D'Orsay venne aperto al pubblico nel 1986.
E’ dunque una storia urbana, civile, di restauro, di valorizzazione, ma anche un bell’esempio di archeologia industriale, ossia di riutilizzo di un vecchio spazio funzionale (in questo caso una stazione) come sede museale.
Il Museo d’Orsay, insieme al Louvre, è una delle tappe obbligate della visita a Parigi. E’ strano, se si pensa che il museo ospita per lo più opere rappresentative della stagione impressionista. E’ vero che attualmente la pittura di Manet, Monet, Renoir, Degas e compagni riesce a fare il pienone in tutti i musei che li mettono in mostra, ma quando esordirono gli impressionisti ebbero vita piuttosto difficile. Il nome stesso con cui sono tuttora conosciuti deriva dal commento negativo di un critico, Louis Leroy, che definì la loro una pittura effimera, legata all’“impressione” del momento, senza prestigio nel contenuto e senza rispetto per le regole accademiche nella forma.
Ad inizio-metà Ottocento alcuni pittori avevano già tentato la via del cambiamento. Per esempio già nel 1819 Theodore Géricault aveva inserito alcuni elementi rivoluzionari in un soggetto storico, cioè uno di quelli che venivano presi più sul serio: nella famosa “Zattera della medusa” infatti aveva inserito alcuni dettagli realistici, come i piedi sporchi in primo piano, qualche nudità di troppo e dettagli poco nobili come i calzini sul corpo nudo nel cadavere in primo piano.
Anche i “realisti”, auto-relegati nel 1855 nel Pavillon du Realisme, scandalizzarono con le loro tematiche sociali, Courbet con “Gli spaccapietre”, ad esempio; per capire la portata della novità basti pensare alle parole che diceva lo stesso Courbet:
“Voglio rappresentare le idee, i costumi, l'aspetto della mia epoca, secondo il mio modo di vedere; essere non solo un pittore ma un uomo; in una parola fare dell'arte viva, questo è il mio scopo”.
Era stato lo stesso Courbet a far costruire, a sue spese, il Padiglione del realismo in segno di protesta verso la giuria della I Esposizione Universale, da poco inaugurata a Parigi nel nuovo Palais de l'Industrie. La giuria, formata da pittori accademici della Scuole di Belle Arti, aveva infatti respinto i suoi due quadri più significativi: “Funerale ad Ornans”, gigantesco manifesto pittorico del realismo (314,9 x 662,8 cm) e l'altrettanto grande “Atelier del pittore”. Courbet non aveva voluto accettare passivamente il verdetto che condannava la sua pittura "democratica" ed aveva dunque deciso di sfidare il chiusissimo sistema dell'arte che non lasciava spazio a scelte divergenti da quelle che informavano il gusto accademico dominante.
Questi furono i primi germi del cambiamento dell’arte in senso realista e anti-accademico, di cui gli impressionisti si fecero definitivi portavoce.
Il museo presenta un’antologia d’eccezione delle principali forme artistiche che si sono sviluppate a Parigi tra 1848 e 1914. In questo modo colma il gap cronologico che lasciano scoperto il Louvre ed il Pompidou, arrivando il primo alla metà del XIX secolo e partendo il secondo dalle prime forme di astrattismo ed avanguardia. La maggior parte degli oggetti in mostra all’Orsay sono sculture e dipinti, ma ci sono anche molti mobili, esempi di arte decorativa, testimonianze cinematografiche ed editoriali.
Il sito web del museo è fatto, come quello del Louvre, molto bene e spiega Le possibili chance per visitare il museo: biglietti singoli, biglietti per visitatori consueti (categoria da noi inesistente), biglietti abbinati ad altri musei, laboratori per bambini e ragazzi di tutte le fasce d’età, per le scuole, per i professionisti ecc.
All’interno del museo c’è anche un auditorium, in cui si svolgono conferenze e lezioni in francese, oltre a concerti e varie altre iniziative culturali. Ovviamente c’è anche un bookshop ed una caffetteria, come ormai in molti altri musei moderni, del resto.
Per quanto riguarda la divisione spaziale delle collezioni, al pianterreno ci sono opere della II metà del XIX secolo (fino al 1870); al livello intermedio ci sono pezzi Art Nouveau dalla fine dell’800 agli inizi del 1900; il livello superiore è tutto dedicato a Impressionismo e Post-Impressionismo.
Al piano terra dominano opere come:
- il grande dipinto di Couture “I romani della decadenza”, dall’atteggiamento molle, dal gusto tardo-classico, tra neoclassicismo e decadentismo (associabile ad opere letterarie come “A rebours” di Huysmans);
- “La Source” di Ingres (1856), da sempre considerato in bilico tra neoclassicismo e romanticismo, con la sua pennellata elegante, col suo disegno raffaellesco, ma con temi a volte pieni di suggestioni romantiche (come le storie di Ossian);
- la “Caccia ai leoni” di Delacroix (1861), turbolenta opera dalle suggestioni miste, eloquente dimostrazione dell’oramai affermato gusto occidentale per l’esotico, per l’Oriente, per il mistero, per l’avventura e la bellezza che questi portano con sé nell’immaginario collettivo;
- l’ “Olympia” di Manet (1863), che rientra anch’essa nello spirito orientaleggiante di prima, ma in altri termini: certi linearismi, certi dettagli, l’utilizzo spiccato del nero fanno pensare alle stampe giapponesi che sempre di più si diffondevano nella Parigi di tardo ‘800, per non parlare dello scandalo della nudità, giustificata e giustificabile se il soggetto apparteneva a contesti lontani (geograficamente, appunto, o storicamente o perché di fantasia), scandalosa se si trattava della nudità ostentata e sfacciata di una donna moderna, dal nome parigino, presumibilmente di facili costumi.
Al piano intermedio, invece, tra gli oggetti di Art Nouveau troviamo i gioielli di Lalique, i vetri e i disegni di Guimard, progettista delle tipiche entrate curvilinee della metropolitana di Parigi, e molto altro.
Il piano superiore ci apre finalmente gli occhi ed il cuore su un mondo magico, quello delle cromie e degli scintillii degli impressionisti e degli artisti che a loro si collegano per stile, epoca d’appartenenza o per semplici suggestioni.
Tra le opere principali, il festoso “Moulin de la Galette” di Renoir (1876), tutta le serie delle “Cattedrali di Rouen” di Monet, le “Ninfee” dello stesso (molte delle quali sono ora all’Orangerie delle Tuileries, ed al Museo Marmottan), le ballerine di Degas, le nevicate di Pissarro ecc., mentre per il post-impressionismo l’ “Eglise d’Auvers” di Van Gogh; le opere di Cezanne, che dal gruppo si allontanò per tentare vie nuove, cercando sempre più di rinvenire e riprodurre forme geometriche, astraendole dalle immagini della natura e della vita quotidiana, aprendo sicuramente la via all’imminente astrattismo; e poi l’ortodosso puntinista Seurat, col suo “Le Cirque”; e ancora Gauguin con le sue donne polinesiane; poi Toulouse Lautrec, che vide e riprodusse il mondo parigino, con la sua varietà e contraddittorietà, mondano, luccicante, triste, vizioso e malato; e ancora, le meravigliose immagini naïf di Rousseau; e, per finire, “Luxe, Calme et Volupté”, capolavoro di Matisse (ma ormai siamo a Novecento iniziato).
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