Buongiorno, oggi è il 3 dicembre.
Il 3 dicembre 1947, a Broadway, va in scena la prima di "Un tram chiamato desiderio", di Tennessee Williams.
Tennessee Williams è, con Arthur Miller, una delle due figure più eminenti del teatro americano contemporaneo. Danno il cambio entrambi a Eugene O'Neil e fanno da ponte tra la generazione degli anni '30 (Clifford Odets, Maxwell Anderson, Elmer Rice, Thornton Wilder) e quella del dopoguerra. Tutti e due hanno un repertorio che continua a essere rappresentato sulle scene americane. E in passato hanno ricevuto una consacrazione internazionale grazie alla riduzione cinematografica delle loro opere, beneficiando del talento di un regista come Elia Kazan. Ma si associano i loro nomi soprattutto per meglio opporli. Di fronte a Miller il marxista, accusatore e vittima del maccartismo, l'uomo del presente e dell'azione militante, Tennessee Williams è presentato come l’intellettuale freudiano, l'uomo della nostalgia e del sogno, che si rivolge all’immaginario collettivo tramite le immagini e i miti. Si contrappongono anche l'uomo del Nord all'uomo del Sud, arrivando addirittura a definire l’uno lo Scandinavo e l’altro il Mediterraneo. Se l’intenzione è l’indicazione di una polarità, c'è comunque una semplificazione eccessiva. Forse Tennessee Williams merita il titolo di “mediterraneo” a causa della sua predilezione per l'Italia, un'Italia dei grandi miti, ma anche un'Italia sensuale, eccitante, così come può rappresentarsela un americano educato nel puritanesimo. E comunque le polarità, le opposizioni, le troviamo dentro la stessa personalità di Williams, e della sua fama. Com’è possibile, in particolare, che continui ad esercitare, ancora oggi, un così forte fascino, visto che ha praticato una forma di teatro che si può ritenere superato, o convenzionale, rispetto alle sperimentazioni newyorkesi degli anni '60? Non si potrebbe sospettare in fondo che quest'uomo di teatro ha dovuto in parte la sua fortuna a tutti quei meravigliosi interpreti del cinema che hanno saputo dare una presenza, uno spessore, una forza poetica ad un universo che avrebbe potuto, altrimenti, sembrare artificiale o ingenuo, o troppo pesantemente caricato di simboli?
Fra i drammi, o i film, che gli hanno di più decretato il successo, c'è ovviamente Un tram chiamato desiderio (A Streetcar Named desire), che vedeva Vivien Leigh nel ruolo di Blanche Du; La rosa tatuata (The rose Tatoo), dove, di fronte a Burt Lancaster, Anna Magnani era una siciliana più vera di una vera siciliana; Baby Doll, scritta direttamente per il cinema, e che rese famosa Carroll Baker in un ruolo di donna-bambina; La gatta sul tetto che scotta (Cat on a Hot Tin Roof), che opponeva Elizabeth Taylor a Paul Newman in una ricca piantagione del Mississippi; Improvvisamente l'estate scorsa (Suddenly Last Summer), dove Katherine Hepburn era una madre sublime e ossessiva; infine La notte dell'iguana (The Night of the Iguana), inseparabile nella nostra memoria dalla presenza inquietante di Ava Gardner e di Richard Burton.
Il mondo di Tennessee Williams sono soprattutto quest'uomini e queste donne che, al di là o al di qua della psicologia tradizionale, si desiderano e si odiano, a volte senza saperlo, sempre senza volerlo, e si dilaniano a vicenda in un'atmosfera elegante e tragica in cui, sotto l’allure raffinata, agisce una ferocia selvaggia. Sono queste vesti bianche e immacolate e questi corpi che respirano affannati, i cubetti di ghiaccio che tintinnano nei bicchieri e l'alcolismo che opera le sue silenziose devastazioni. Sono questi personaggi semplificati come lo sono gli eroi dei western e quelli delle grandi tragedie, queste figure inseparabili dall’ambiente che li circonda e che è come il segno del loro destino. È un clima d'oppressione quasi atmosferica, un clima pesante che precede la tempesta, dove gli odori forti si mescolano con i versi stridenti degli uccelli rapaci o le grida dei bambini, ricordando che il mondo è una giungla. Sono le musiche nostalgiche, brani jazz e note di pianoforte che si odono lontane.
Della vita di Tennessee Williams, le sue memorie, pubblicate nel 1975 per ragioni apertamente commerciali, ci consegnano soltanto la superficie. Droga, esperienze, discussioni sfilano con monotonia in confidenze false, “appiattite” dal magnetofono. Non utili per apprendere se c'è corrispondenza tra l'uomo e l'universo chiuso, ossessivo, brutale, squilibrato che ha saputo creare. Bisogna ricorrere ad altre fonti, alla leggenda e la storia già note. Fu, si sa, un bambino delicato, allevato soprattutto da donne, con un padre collerico e spesso assente. È soltanto alla morte di questo padre, nel 1957, che Tennessee Williams si sottoporrà alla psicoanalisi. Ebbe una sorella, Rose, fragile come lui, compagna di gioco, che fu più tardi internata per schizofrenia: «I petali del suo spirito sono ripiegati dalla paura», scriverà suo fratello a proposito della sua malattia. Sarà il modello della ragazza dalla fragilità di vetro soffiato, Laura, nello Zoo di vetro (The Glass Menagerie).
«Tennessee» (Tenn per gli intimi) sarà lo pseudonimo scelto dal giovane Thomas Lanier Williams per ricordare - dice la leggenda - la lotta dei suoi antenati contro gli indiani nello Stato omonimo, ed annunciare quella del giovane autore che voleva essere, dell'artista pioniere… Ha sempre mentito sulla sua età, che si ringiovaniva di tre anni a partire da un concorso letterario al quale poté partecipare grazie a questo sotterfugio. Conobbe, a Saint Louis, la povertà, ed il suo rifugio era nel Sud, dai nonni, dove ritrovava la sua infanzia. I suoi problemi successivi: la sua timidezza morbosa, il suo gusto della solitudine, la sua paura delle donne e la sua inclinazione per i giovani uomini, la sua erranza che lo conduce incessantemente «dal divano dello psicanalista alle spiagge dei Caraibi», alla ricerca di una riconciliazione impossibile con sé stesso e con il mondo, le sue cure di disintossicazione, il suo innamoramento per il poeta Hart Crane, che doveva suicidarsi a trentatré anni, tutto ciò certamente si radica nella sua infanzia. Il puritanesimo dei suoi avi, che associa sessualità e colpa, è fortemente ancorato in lui ed egli cercherà, nella sua vita come nella sua opera, «di risputarlo». Non è necessario sapere di più, tranne che si mise presto a scrivere novelle, genere letterario che, si sa, ha una connessione stretta con il teatro. Il suo apprendistato del teatro propriamente detto, Tennessee Williams lo fece nel 1936 con la troupe dei "Mummers" di Saint Louis, che furono, disse, il suo «apprendistato professionale». C'è soprattutto l’incontro con Elia Kazan, che, oltre al suo talento, porterà alle sue pièce “il metodo” dello Actor's studio: senso behavioristico della psicologia, accento posto sull'azione fisica, rispetto dell'ambiguità, o, meglio, del segreto dei personaggi. Il successo di questo teatro sarà, occorre sottolinearlo, un grande successo popolare.
Uno dei punti di forza del teatro di Williams è che la sua drammaturgia rimane ancorata in profondità nei fantasmi soggettivi, ossessivi dell'autore, sorretti «dalla ragnatela di una mostruosa complessità» costituta dalle «passioni e immagini che ciascuno di noi tesse attorno a sé tra la nascita e la morte». Tutto il problema consiste, per il drammaturgo, nel rendere comunicabile quest'equazione personale. Se vi giunge, è per mezzo di una lingua soprattutto extra-verbale fondata su un «vocabolario di immagini». Un'immagine è spesso il punto di partenza di una pièce. Così per Un tram: «Vedevo una donna seduta su una sedia, in atto di attendere invano qualcosa, forse l'amore. La luce della luna splendeva attraverso la finestra, suggerendo la follia. Ho scritto la scena dandole il titolo: La sedia di Bianca al chiaro di luna». Non c'è qui una preoccupazione d’ ornamento estetico ma necessità di comunicare una visione: «In una pièce, un simbolo ha un solo scopo legittimo, quello di dire una cosa in modo più diretto, con maggior semplicità e bellezza delle parole». O anche: «Il simbolo non è nulla di diverso che la forma naturale dell'espressione drammatica».
Questa qualità visiva delle sua drammaturgia spiega l’agio con il quale essa si presta all'adattamento cinematografico. Notiamo tuttavia che la visione passa spesso per il tramite della lingua, e che il gioco drammatico consiste nella corrispondenza tra la narrazione e l'immagine scenica; come se Williams procedesse alla messa in dramma di un racconto propriamente romanzesco, di una proiezione della sua immaginazione. Fin dal titolo, a volte, appare la metafora centrale sulla quale è costruita la pièce, Rosa tatuata, La gatta sul tetto che scotta, o La dolce ala della giovinezza. A partire da qui, le linee si tessono in ogni senso tra le parole e le cose. Così, ad esempio, nella Rosa tatuata: tra il nome di Serafina delle Rose, quello di sua figlia Rosa, il tatuaggio sul petto del marito, che sente bruciare sul proprio seno quando concepisce un bambino, quello che il deuteragonista si fa fare per piacerle, la camicia di seta rosa che il coro delle donne, nella scena finale, farà passare di mano in mano. È il simbolo femminile della rosa che passa dalla femmina al maschio. me anche in Improvvisamente l'estate scorsa, l'episodio dell'arcipelago delle Galapagos, con, sul vulcano spento, la lotta contro la morte delle piccole tartarughe di mare: tutta la spiaggia, colore cinereo, che avanza verso il mare mentre il cielo, nero anch’esso, rumoreggia e gli uccelli carnivori planano a divorare le tartarughe.
L'ossessione principale di Tennessee Williams, se ne ce n'è una, è forse la fuga del tempo. «Il nemico, il tempo, in ciascuno di noi», tema e frase finale de La dolce ala della giovinezza (Sweet bird of Youth), si ritrova, sotto una forma o sotto un'altra, in ciascuna delle sue pièce. Volere fermare il tempo è una delle motivazioni dell'artista: il teatro, diversamente dalla vita, lo condensa il tempo. Come la meditazione, il tragico sospende l’istante. Luogo chiuso, la scena è anche un tempo chiuso dove gli eventi conservano il loro statuto di eventi. Ma l’istante sospeso può essere un passato risuscitato. Una pièce può intitolarsi Improvvisamente l'estate scorsa; Zoo di vetro può essere definita dal suo autore «una pièce della memoria», tutto essendo visto attraverso il prisma della memoria. Nostalgia e paura del futuro vanno di pari passo nei personaggi di Williams. Rovine o monumenti di ciò che furono, devono sopravvivere alla loro giovinezza, alla loro bellezza, e tutto ciò che resta loro è di accelerare la loro distruzione con l’alterazione mentale o la passione. Gli uomini di Williams invecchiano meglio delle donne. L’autore le coglie preferibilmente verso la trentina, quando la loro bellezza è al culmine, al momento in cui la forza devastatrice operante in esse rende più straziante ciò che di lì a poco sparirà. È Chance Wayne in Dolce ala della giovinezza o Brick in La gatta sul tetto che scotta (1955). Il fascino di Brick discende dal suo tratto disincantato. Fare l'amore non genera in lei alcuna preoccupazione, ma l'indifferenza elegante, la nonchalance. Gli uomini sono delle creature splendide, docili animali covati da sguardi di femmina, resa folle quando quelli non vogliono più saperne, e allora è come quando i gatti non riescono più a posare le zampe in un tetto di zinco arroventato dal sole. Le donne diventano dure, nevrotiche, rovinose, frangibili come il vetro, dominatrici ed impotenti. Ma negli uomini altresì, la morte incombe, la morte magnifica, come al cinema, o la morte insidiosa della malattia, o ancora la morte da calvario, il calvario dove si trascinano queste passioni inspiegabili contro le quali combattiamo invano. Lo scioglimento finale è sempre giusto, fuori da ogni proporzione, come nella tragedia antica. In Improvvisamente l'estate scorsa, Sebastian, dall’appetito (sessuale) mai soddisfatto, sarà letteralmente divorato da ragazzi magri, morti di fame e feroci come uccelli. Gli uomini e le donne sono vittime di questa solitudine fondamentale che è il nostro destino. «Tutti siamo condannati alla reclusione solitaria dentro la nostra pelle». «Il lirismo personale» non è che «il grido di un prigioniero nella cella in cui, come noi tutti, è chiuso per la durata dei suoi giorni».
Il ruolo del drammaturgo consiste nel radunare queste solitudini inconciliabili, cercare di fare scaturire da una situazione d'attesa, o di crisi, un momento di verità, il lampo di una rivelazione un attimo prima della distruzione. Anche quando i suoi personaggi «esistono» intensamente ̶ anche se Tennessee Williams, come dice propriamente il critico Gerald Weales «mette delle vere rane nei suoi giardini immaginari» ̶, questo momento di verità non è mai d'ordine psicologico. Fa piuttosto apparire, sotto la superficie pulita, i grandi archetipi dell'umanità. Anche se c'è una verità delle relazioni umane, anche se la natura degli attori riesce a sventare ogni rischio di declamazione, lo stile non è realistico, l'evidenza è d'ordine poetica. La cosa stupefacente è che Tennessee Williams riesce spesso a fare passare questo clima poetico, a rendere «il segreto» albergante nel cuore di ciascuno con dialoghi anodini dove si mescolano il meglio ed il peggio, dove sono violate tutte le leggi d'economia della scrittura, dove si trovano battute sentenziose come: «Si è molto più soli con una persona che amiamo e che non ci ama più di quanto si è quanso siamo realmente soli». Certa critica francese si è spesso elevata contro le offese al buon gusto che abbondano nella sua opera. Robert Kemp denunciava, nel 1949, in Un tram..., «questo miserabile esempio dell'arte americana». Tuttavia, i migliori registi, in Europa, sono stati attratti da Williams. Peter Brook ha messo in scena La Gatta ..., Visconti Lo zoo di vetro. Quest'opera popolare, di cui è rimasta ancora vasta traccia visiva per via dei film interpretati da miti quali Marlon Brando, Paul Newman o Liz Taylor, è da prendere con le sue ingenuità e le sue esagerazioni. Il grottesco dopotutto fa parte della sua estetica romantica.
Williams fu trovato morto nella stanza dell'Hotel Elysee a New York, ove risiedeva, il 25 febbraio 1983. Sembra sia stato soffocato dal tappo di un collirio spray. In effetti l'alcolismo riduce i riflessi, tra cui quello della tosse. Secondo alcuni, la causa della sua morte sarebbe invece una overdose di alcool e barbiturici.
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