Buongiorno, oggi è il 4 luglio.
Il 4 luglio 1957 la Fiat presenta alla stampa la "Nuova 500".
La più amata dagli italiani... quale altra espressione, così banalmente efficace, riesce nell'opera ardua di definire sinteticamente la 500. La "Nuova 500", come Casa Fiat la presentò sessant'anni fa. La storia di questo "ovetto" è la storia dell'Italia del secondo dopoguerra. Di un paese che, stanco degli stenti di un conflitto mondiale in cui si era cacciato suo malgrado, retoricamente "sognava l'America". Era semplicemente l'inseguimento di un sogno di benessere diffuso, di tranquillità sociale, che in quegli anni finalmente faceva capolino. È in questo contesto che la 500 si affaccia sul mercato: su un mercato fatto di "proletari" che sognavano di pensionare la "Vespa" per una vera quattro ruote e di una borghesia che pian piano, dopo essersi fatta la "millecento", cercava una macchinetta per far muovere il rampollo neopatentato. Un quadretto dalle tinte pastello, come le illustrazioni che riempivano le riviste del tempo, dalle cui pagine in quell'Estate del '57 la Nuova 500 si fece conoscere al grande pubblico.
Considerando la genesi delle auto moderne, quasi non ci si capacita di quanto sia stata lunga e complessa la nascita di una vetturetta semplice come la 500.
Le prime avvisaglie di una nuova, rivoluzionaria, utilitaria Fiat risalgono addirittura al 1939. Spinta evidentemente dal Fascismo, la Fiat rincorreva sin dagli anni Venti il concetto di auto per tutti. Il tutto si concretizzò prima con la Balilla e poi la 500 "Topolino", ma in entrambi i casi il risultato riuscì in parte. Si era alla continua ricerca "dell'auto minima perfetta" per motorizzare l'Italia e la casa torinese era particolarmente attenta a tutte le novità progettuali al riguardo. In quegli anni in Fiat vi era una scuola di pensiero che sperimentava con enfasi, ad esempio, la trazione anteriore anche se i prototipi venivano puntualmente bocciati dalla dirigenza. Da ricordare al riguardo il progetto 100, sviluppato approfonditamente solo nel 1947 e anch'esso condannato al dimenticatoio.
In ogni caso, oggi, possiamo dire che quest'eccesso di prudenza è stato tutt'altro che negativo: fu proprio a causa di questo ostracismo da parte dei vertici che Dante Giacosa, a capo dell'ufficio tecnico Fiat, nell'impostare la nuova vetturetta concentrò i suoi sforzi nel massimizzare al massimo l'efficienza delle tecnologie esistenti, piuttosto che lasciarsi andare ad azzardati voli pindarici come la trazione sulle ruote davanti.
Nel 1953, arrivò dalla Deutsche Fiat - filiale tedesca della Casa torinese nata da una costola della NSU - un progetto per una vetturetta "semi motociclistica", sulla falsariga della Glas Goggomobil. L'idea c'era, sviluppata si con troppa semplicità, ma carica di spunti interessanti. Da quel momento, Giacosa decise che i tempi erano maturi per dare i natali al progetto 110, l'auto che avrebbe sostituito l'anziana Topolino. Esempio di grande pragmatismo (qualità alla quale sono paradossalmente estranei molti tecnici moderni), la 110 nacque a partire dalla meccanica: un bicilindrico quattro tempi di circa mezzo litro, raffreddato ad aria, con disposizione posteriore-trasversale e trazione posteriore. Era il massimo per la tecnica dell'epoca: rendimento relativamente elevato, disposizione meccanica razionale ed estrema facilità produttiva. Dello sviluppo se ne occupò il giovane ingegnere Giovanni Torrazza. L'impostazione telaistica era la medesima della nascente 600, con sospensioni anteriori a ruote indipendenti, bracci trasversali superiori, balestra trasversale inferiore e ammortizzatori telescopici e a ruote indipendenti, bracci trasversali, molloni elicoidali e ammortizzatori telescopici sul posteriore. Intorno alla meccanica, Dante Giacosa impostò, personalmente, la carrozzeria. Voleva essere sicuro del risultato - e del compiacimento del "professore" Vittorio Valletta - per questo realizzò due maquette: la prima di chiara derivazione 600, mentre la seconda con una personalità più distinta, ma sempre legata agli stessi canoni estetici. Valletta scelse, per realizzare il prototipo definitivo, il modello che più si discostava dall'esordiente 600. A questo seguì di poco il disegno della 110 in versione Lusso. Per tutte le proposte, le linee erano estremamente rastremate e tondeggianti, non per vezzo estetico, ma per limitare al massimo la superficie di lamiera. Altre caratteristiche erano la potenza di almeno 13 cv, la velocità di almeno 85 km/ora, il consumo medio di 4 litri e mezzo per 100 km, il peso inferiore ai 400 kg e lo spazio per due persone.
In una storica riunione a Stupinigi, realizzata per approvare i "nuovi tipi", l'ufficio tecnico presentò alla dirigenza le 110 in versione normale e "lusso", le rinnovate 1100 e 1400, le 600 con tetto apribile e la Multipla e la 1900 GranLuce. I protipi dell'utilitaria furono subito approvati e nacquero ufficialmente la Fiat Nuova 500 e l'Autobianchi Bianchina: forse il primo vero esempio di sinergie produttive in ambito automobilistico. Era il 18 ottobre del 1955.
Narra Giacosa, nelle sue memorie, che in quella riunione qualche dirigente espresse senza mezzi termini il dubbio amletico che l'affliggeva: ovvero il gap tra la 110 Fiat e la 110 Autobianchi, con la prima sicuramente meno desiderabile della seconda. Il sillogismo dell'innominato dirigente sarebbe terminato, secondo Giacosa, con un'azzardata proposta di invertire i ruoli, ovvero producendo la 500 con il marchio Autobianchi e la Bianchina con il marchio Fiat. Fortunatamente si deliberò diversamente, anche se è difficile immaginare gli sviluppi di un tale, ipotizzato, scenario. Ben presto i prototipi della 110 Fiat e Autobianchi solcarono le strade intorno a Torino e già dal 1956 la stampa specializzata diffuse le prime foto delle 110: prototipi di fatto molto simili alla versione definitiva.
Finalmente nell'Estate del 1957 la vettura era pronta. Il nome: "Fiat Nuova 500" (per differenziarla dalla 500 originaria, ovvero la Topolino) e per certi versi era realmente una vettura nuova. Innanzitutto il design: in 2 metri e 97, Giacosa riuscì a realizzare una carrozzeria proporzionata, originale e moderna: una specie di ovetto con un esile tettino in tela tanto geniale che gli valse il premio "Compasso d'Oro 1959", onorificenza dedicata al design industriale.
Grazie alla tecnica costruttiva del telaio, la vettura pesava circa 470 kg a vuoto. Il motore, con 479 cc, erogava 13 cv, misurati a norme Cuna, lanciava la vetturetta a 85 km/h e consumava in media 4,5 litri di benzina "normale" ogni 100 km: praticamente tutto come previsto dai capitolati. Per i bagagli c'era il vano sotto il cofano anteriore (in parte occupato dal serbatoio da 20 litri) o lo spazio alle spalle dei sedili anteriori. Tuttavia il prezzo di 465.000 Lire apparve subito eccessivo, visto il disarmante minimalismo che contraddistingueva la nuova piccola torinese.
L'abitacolo era solo per due adulti (dietro vi era una francescana panchetta...), strumentazione ridottissima raccolta in un unico strumento davanti al guidatore, comando delle frecce al centro plancia, finestrini fissi con i soli deflettori anteriori apribili, tergicristallo privo di movimento di ritorno automatico e la trousse di attrezzi raccolta in una sacca di liuta. Troppo poco a troppi soldi, anche per palati facili come i nuovi automobilisti degli anni Cinquanta. Così dopo soli tre mesi la Fiat presentò la rinnovate 500.
Questa volta le versioni sono due: Normale, con dotazione di serie arricchita dai vetri discendenti e da finiture più accurate; affiancata dall'Economica, in pratica identica al modello originario, con l'aggiunta dei due posti posteriori. Un piccolo aggiornamento meccanico, permise di guadagnare due cavalli e di raggiungere i 90 orari. La 500 Normale costava 490.000 Lire, mentre la Economica circa 25.000 Lire meno rispetto al prezzo d'esordio. Fu l'inizio di una lunga carriera fatta di pochi, indovinati aggiornamenti che faranno della 500 la "Regina" incontrastata delle utilitarie.
Già nel '58 la Fiat intuendo il potenziale "sportivo" della sua utilitaria (sancito dalle tante versioni Abarth e Giannini che si succederanno nel corso degli anni), realizzò la 500 Sport, spinta da un nuovo motore di 499.5 cc per oltre 21 cv e 105 km/h di velocità massima. La Sport, con solo due posti secchi, si riconosceva per la fascia rossa sotto la linea di cintura ed era disponibile con tetto rigido in metallo (Berlina) o in versione Tetto Apribile, ovvero con la metà anteriore della capote apribile e la posteriore in metallo, leggermente rialzata per rendere meglio abitabili i posti dietro. In pratica la configurazione classica che caratterizzerà la 500 fino a fine carriera.
Il 1960 fu l'anno della 500D. Denominata ufficialmente ancora "Nuova 500" presentava leggere modifiche alla fanaleria, in ossequio al nuovo Codice della Strada, e il motore della Sport depotenziato a 17.5 cv. Aumento di prestazioni (95 km/h), peso, a 500 kg, capacità del serbatoio (portata a 22 litri) e purtroppo anche consumi (4.8 l/100 km).
Con la 500F, del 1965, la piccola torinese raggiunse la maturità. Il motore rimase lo stesso, ma un aumento di peso di circa 20 kg e una nuova taratura del motore, con mezzo cavallo in più, fecero peggiorare esponenzialmente i consumi, fino a 5.5 litri per 100 km. Come contropartita, la 500F si presentava quasi come "ristilizzata". Le portiere non erano più controvento, ma incernierate anteriormente con cerniere incassate, il parabrezza crebbe leggermente in dimensioni. In generale, l'intera vettura fu interessata da una serie di tante, impercettibili modifiche, ai materiali e alla finitura. Il successo della 500F, indusse la Fiat ad impostare una versione ancor più raffinata, la 500L, Lusso.
Identica alla F nella meccanica, all'esterno si riconosceva essenzialmente per la presenza di nuovi profili cromati e di elegantissimi rostri tubolari ai paraurti (e dal nuovo logo "Fiat 500L"). Ma in realtà la maggior parte delle novità erano all'interno. La plancia, fino a quel momento verniciata in tinta, presentava un rivestimento in materiale sintetico, mentre la classica strumentazione circolare fu soppiantata da uno strumento rettangolare (ripreso dalla 850 berlina) con annesso indicatore del livello carburante, posto dietro ad un volante ridisegnato. La nuova selleria vantava accostamenti e tinte molto eleganti (su sedili reclinabili) e un piccolo mobiletto portaoggetti precedeva la leva del cambio. Intanto si pensava già alla possibile sostituta, realizzata vestendo la medesima base meccanica con una carrozzeria più squadrata. Era la Fiat 126 del 1972.
Il '72 fu anche l'anno dell'ultima 500, la R, "Rinnovata". Razionalizzata nei contenuti, e spinta dal motore depotenziato della 126 (594 cc per 18 cv), apparve come un nostalgico tentativo di mantenere in vita un modello che ha fatto il suo tempo, e che era inesorabilmente condannato alla pensione, che arrivò nel 1975 dopo 2.677.313 unità.
Alla fine della 500, sopravvisse solo la particolare versione "Giardiniera", versione familiare impostata nel 1960 sulla base della 500D e con un telaio leggermente modificato nelle dimensioni (passo e lunghezza totale aumentati), e con un motore ridisegnato per poter essere disposto orizzontalmente. Quest'unità sarà riesumata per costituire la base del motore 704cc della 126 Bis del '87 e della successiva Cinquecento ED del 1991. Della produzione della Giardiniera se ne occupò dal 1966 l'Autobianchi di Desio (che realizzò anche un'analoga versione della Bianchina). Dal 1975 al 1977, terminata la commercializzazione della 500 Fiat, le ultime Giardiniera vennero commercializzate come "Autobianchi Giardiniera", dalla rete della Casa di Desio.
Malgrado i proclami decadenti degli anni Settanta, il tempo renderà giustizia alla piccola 500, che riuscirà a sopravvivere non solo alla 126, ma anche alla miriade di altre utilitarie che nel corso dei suoi cinquant'anni di vita hanno cercato di offuscarne l'immagine. Nulla è riuscito a scalfirla ed a fermarne la corsa: Lei è ancora lì, in centinaia di migliaia di esemplari vivi e vegeti, usata quotidianamente senza patemi grazie alla sua proverbiale affidabilità e limitata solo dal populismo di certe amministrazioni e dall'irritante miopia del consumismo "ecologico".
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