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mercoledì 5 maggio 2021

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 5 maggio.
L'ode il Cinque Maggio fu scritta, di getto, in soli tre o quattro giorni, dal Manzoni commosso dalla conversione cristiana di Napoleone avvenuta prima della sua morte (la notizia della morte di Napoleone si diffuse il 16 luglio 1821 e fu pubblicata nella "Gazzetta di Milano"). Nonostante la censura austriaca, l'ode ebbe una larga diffusione europea grazie al Goethe che la fece pubblicare su una rivista tedesca "Ueber Kunst und Alterthum". La prima edizione avvenne nel 1823 a Torino presso il Marietti. L'ode scritta dal Manzoni, per alcune tematiche (tema del ricordo, evocazione della storia) ha delle analogie con il Coro di Ermengarda e con la Pentecoste e soprattutto ha in comune con essi, quello schema che parte da un inizio drammatico e si conclude con un moto di preghiera.
L'Ode può essere divisa in due parti, la prima che va dal prologo fino alla nona strofa, di tono epico, in cui emerge la figura storica di Napoleone, dall'ascesa alla caduta. La seconda dalla decima strofa in poi, di tono più contemplativo e lirico (si entra qui nell'animo dell'imperatore) il cui motivo conducente è la definitiva caduta di Napoleone come uomo e l'inizio del suo riscatto spirituale e religioso.
L'ode si apre con un forte inciso "Ei fu" in cui pare sia isolata la grandezza "dell'uom fatale", mentre con attonito stupore la terra accoglie la notizia della morte del potente personaggio che ha tenuto in pugno per tanti anni i destini d'Europa (è da notare il doppio significato della parola terra, vale a dire di metafora del mondo umano da una parte, e dall'altra, come campo di battaglia insanguinato dai soldati che per lunghi anni si sono combattuti).
Nella seconda e terza strofa il Manzoni dà le ragioni del motivo per cui tratta l'argomento e mette in risalto il fatto che egli abbia composto l'ode senza nessun'ombra di piaggeria o di reverenza verso l'imperatore. In questa parte sono importanti il termine "genio" di chiara reminiscenza pariniana, ma dai forti connotati manzoniani e dal diverso significato, e "forse", che conclude la quarta strofa, in cui emerge chiara la visione cristiana e provvidenziale del poeta.
Con la quinta strofa si ha l'esaltazione della potenza di Napoleone che si concluderà nel verso 54. Qui la strofa si anima e con rapidi tratti è descritta l'immagine di condottiero di Napoleone (è da notare l'alternarsi in tutta l'ode di toni descrittivi ed epici a toni più riflessivi) che si contrappone a quella del corpo immemore presente nella prima strofa. Rapidamente però il tono rallenta e diventa nuovamente contemplativo con la domanda "Fu vera gloria?", in cui Manzoni rispondendo vuol mettere in risalto, più che le grandezze terrene del condottiero, la statura morale dell'uomo: con la propria conversione, infatti, Napoleone ha dato un'ulteriore prova della grandezza di Dio che servendosi di lui ha stampato "la più vasta orma sulla terra". Le ultime tre strofe continuano con la descrizione del raggiungimento del disegno di gloria di Napoleone (settima e ottava strofa) e della sua grandezza umana (nona strofa). Particolare rilievo si deve dare ad alcuni termini in antitesi tra loro che rendono bene l'instabilità del potere e della gloria umana che caratterizzano l'ottava strofa: gloria-periglio; fuga-vittoria; reggia-esiglio; polvere-altar. Con "Ei si nomò" (v.49), cioè con l'enfatizzazione dell'uso antonomastico del pronome si conclude così la prima parte dell'ode.
Il motivo conduttore della seconda parte dell'ode é il verbo "giacque", che ha il significato della caduta definitiva di Napoleone e l'inizio del suo riscatto spirituale.
Scompare il pronome antonomastico e la figura dell'imperatore viene espressa attraverso una terza persona più comune, "E sparve, e dì nell'ozio", "E ripensò..." La strofa centrale di questa parte è la similitudine espressa nei versi 61-68.Questa è la parte fondamentale in cui avviene il ripudio delle vane glorie terrene e il sollevarsi verso l'eterno. Napoleone è come un naufrago che prima a lungo ha nuotato nel mare tempestoso della vita cercando terre remote, cioè cercando un significato della vita che le desse un senso. Ma questo suo sforzo è risultato vano, poiché solo Dio può rendere concreta la sete d'eternità è d'infinito presente nell'uomo e non le effimere glorie terrene. Anche l'ultima speranza di lasciare ai posteri la memoria di sé risulta vana. "Il cumulo di memorie" invece di lasciare la memoria eterna della propria epopea, diventano per Napoleone, un peso insopportabile, "la stanca man" che cade "sull'eterne pagine" assume il significato dell'estrema sconfitta umana. La figura di questa sconfitta è magistralmente descritta dall'immagine presente nel verso 75: "chinati i rai fulminei" (gli occhi, rai, una volta balenanti sono ora chini al suolo).
La strofa quattordicesima descrive le ultime immagini che scorrono nella mente di Napoleone prima di morire. Sono immagini nostalgiche di un passato di gloria e di battaglie, che non ritorneranno più. Questa strofa è caratterizzata dall'uso del polisindeto, cioè l'uso ripetitivo della e posta in capo al verso come il rintocco richiama costantemente gli asindeti epici (ei fu ... ei provò... ei fe' silenzio) e sembra costruire in tutta l'ode, una linea sintattica che si prolunga sino a e sparve, in cui si denota la caducità della vicenda umana di Napoleone, e si conclude con il verbo e l'avviò in cui avviene l'annullamento della volontà umana nella provvidenza divina.
Avviandoci verso la fine dell'ode c'imbattiamo nella penultima strofa in cui il poeta riprende la voce dell'oratore. Questa strofa dell'opera, dal tono biblico e profetico, è stata aspramente criticata per le sue reminiscenze di retorica ecclesiastica (ha quasi un tono da chiesa barocca).
"Sulla deserta coltrice/accanto a lui posò", è un'immagine piena di significato con cui si conclude l'ode. Il letto deserto in cui giace Napoleone, abbandonato dagli uomini, è visitato da Dio, che ha conosciuto anch'egli la morte e il dolore e perciò non abbandona mai l'uomo nei suoi attimi finali di vita. E' un'immagine che esprime una visione profondamente cristiana del destino dell'uomo.

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