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sabato 23 maggio 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Il 23 maggio 1618 alcuni esponenti della nobiltà boema, non proprio contenti dell'elezione di Ferdinando II, fecero irruzione nel castello di Praga, presero un paio di persone vicine all’odiato monarca e le gettarono da una finestra. In gergo quando uno butta di proposito un altro dalla finestra si può parlare di defenestrazione o schizofrenia ossessiva degenerante, e dopo una lunga riflessione i libri di storia hanno deciso di chiamare l'avvenimento del 1618 “defenestrazione di Praga”.
Dunque il 23 maggio 1618 la famosa defenestrazione di Praga segna l'inizio della guerra dei Trent'anni, ultima guerra di religione combattuta in continente europeo.
Dal 1618 al 1648 l’Europa fu funestata da una guerra devastante, che coinvolse le maggiori potenze. Le cause profonde di questa guerra erano da ricercare nella situazione politico-religiosa della Germania all’indomani della lunga guerra di religione e della successiva Pace di Augusta del 1555.
Numerosi infatti erano i problemi lasciati aperti da questa pace, che per certi aspetti aveva accresciuto la confusione. La formula del “cuius regio eius religio” si era dimostrata poco felice in quanto i principi continuarono a passare da una confessione all’altra anche dopo il 1555, a seconda delle convenienze politiche ed economiche; inoltre la pace riconosceva come legittime solo le secolarizzazioni (= appropriazioni da parte dello Stato, quindi da parte dei principi luterani) dei beni della Chiesa cattolica avvenute entro il 1552, ma i principi continuarono ad appropriarsi dei beni dei cattolici anche dopo quella data, approfittando dei vari cambiamenti dinastici.
A complicare ancora di più la situazione c’era anche la diffusione del calvinismo, avvenuta in alcuni Stati tedeschi dopo il 1560, soprattutto in Boemia e nel Palatinato, entrambi facenti parte del gruppo dei sette Stati elettori dell’imperatore del Sacro Romano Impero di Germania (i “principi elettori”): ma la tolleranza prevista dalla pace di Augusta non era stata estesa anche al calvinismo.
Pertanto, anche dopo Augusta, le tensioni tra Stati tedeschi protestanti, minoranze calviniste e Stati cattolici continuarono a minacciare l’unità dell’impero, tanto che si formarono delle alleanze politico-militari come l’Unione evangelica e la Lega cattolica. In particolare il caso della Boemia si presentava piuttosto critico. Essa era un regno elettivo che, insieme al ducato d’Austria e al regno d’Ungheria, faceva parte dei territori dipendenti direttamente dalla famiglia imperiale.
Non riuscendo a trasformare tutto l’Impero in un vero Stato nazionale centralizzato, gli Asburgo, dopo Carlo V, avevano mirato soprattutto a rafforzare il loro potere su questi domini diretti, cercando di trasformarli in uno Stato unitario e cattolico, ma questo tentativo si scontrò con la pluralità etnica, culturale, linguistica e religiosa esistente soprattutto in Ungheria e in Boemia, in cui convivevano precariamente le tre confessioni cristiane (cattolici, luterani, calvinisti) ed anche altre Chiese, tra cui quella che risaliva a Jan Huss.
Il conflitto latente ebbe modo di manifestarsi già con la decisione dell’imperatore Mattia II (un cattolico intransigente) di designare come nuovo re di Boemia il cugino Ferdinando II d’Asburgo (che era anche erede al trono imperiale), noto per le sue posizioni decisamente assolutiste e controriformistiche: i boemi non lo accettarono come loro re. La situazione precipitò nel 1618 quando Mattia fece chiudere alcune Chiese luterane: a maggio i delegati di Mattia si incontrarono a Praga con i rappresentanti delle città boeme, ma la discussione degenerò e i tre inviati imperiali furono buttati giù dalla finestra del palazzo (appunto la cosiddetta “defenestrazione di Praga”).
Quando l’anno dopo, alla morte di Mattia, Ferdinando II divenne anche imperatore, la Dieta boema offrì la corona al duca del Palatinato Federico V, che era calvinista e capo dell’Unione evangelica. Con questi eventi iniziò di fatto la guerra dei 30 anni, un conflitto politico-religioso che, da iniziale guerra interna all’area tedesco-imperiale, si allargò presto alla Danimarca, alla Svezia e alla Francia, fino a diventare una guerra europea. E’ possibile suddividere il conflitto in quattro periodi:
1) quello palatino-boemo;
2) quello danese;
3) quello svedese;
4) quello francese.
Nella prima fase la Boemia, non ricevendo aiuti adeguati da parte degli altri Stati protestanti, fu devastata ed assoggettata totalmente al potere degli Asburgo: da segnalare la battaglia della Montagna Bianca, avvenuta nel 1620, in cui gli eserciti imperiali sconfissero nettamente le truppe protestanti boeme.
Al fianco dell’imperatore era accorsa anche la Spagna (ricordiamo che sul trono di Spagna regnava in quel periodo un ramo della famiglia Asburgo). Il regno di Boemia fu cancellato e divenne un possedimento diretto della famiglia imperiale.
Alcune decine di migliaia di boemi, che non accettarono la sottomissione al cattolicesimo e agli Asburgo, furono costretti ad espatriare. Anche il Palatinato fu invaso e conquistato e fu escluso dal novero degli Stati che avevano il diritto di eleggere l’imperatore. Violenze e stragi, commesse da una parte e dall’altra, insanguinarono l’Europa: da ricordare il massacro dei protestanti della Valtellina (1620) da parte dei cattolici aiutati dalla Spagna (il cosiddetto “sacro macello”).
La guerra si riaccese nel 1625 (seconda fase): il re danese Cristiano IV, aiutato e spinto dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’Olanda e da alcuni principati protestanti tedeschi, scese in guerra contro l’impero, ma venne ripetutamente sconfitto dalle truppe cattoliche guidate da un abile e spregiudicato generale, Alberto Wallenstein. Alla fine Cristiano IV fu costretto a firmare la pace nel 1629.
Queste vittorie indussero l’imperatore Ferdinando II a cercare di imporre a tutto il territorio della Germania la propria sovranità assolutista e ad emanare l’Editto di restituzione, in base al quale i beni cattolici che erano stati acquisiti dopo il 1552 dovevano essere restituiti alla Chiesa. Tale Editto ebbe però l’effetto di riaccendere le ostilità, mentre anche in Italia si aprì un nuovo fronte di guerra, provocato dal problema della successione al ducato di Mantova e del Monferrato, che vide contrapposti da un lato la Francia e dall’altro il ducato di Savoia e la Spagna.
Si entrò così nella terza fase della guerra (1630), con l’ingresso della Svezia di Gustavo Adolfo II, un sovrano luterano che fu convinto ad entrare in guerra dall’abile diplomazia del ministro francese Richelieu, che prospettò il grave danno politico, religioso ed economico che sarebbe derivato anche alla Svezia nel caso di una vittoria definitiva degli Asburgo.
L’esercito svedese, molto forte ed organizzato, sconfisse in due battaglie i cattolici e penetrò nel cuore della Germania: una di queste battaglie fu quella di Breitenfeld, svoltasi nel settembre del 1631, vicino a questo piccolo centro della Germania. Si trovarono di fronte da una parte l’esercito svedese-sassone guidato dal re di Svezia Gustavo Adolfo II, grande stratega militare, e dall’altro l’esercito cattolico-imperiale. Svedesi e sassoni conseguirono una brillante vittoria.
L’anno successivo si giunse allo scontro decisivo avvenuto con la battaglia di Lutzen (1632), in cui gli svedesi ebbero ancora la meglio ma il loro re morì in battaglia. Seguì un periodo di confusione politica e militare, in quanto nessuno dei contendenti riusciva a mettere definitivamente fuori gioco l’avversario, mentre gli eserciti imperversavano sui territori tedeschi uccidendo e saccheggiando: malattie, morte e povertà si diffusero dappertutto.
Dopo la sconfitta svedese di Nordlingen del 1634 si giunse alla Pace di Praga tra Svezia, Austria e principi tedeschi: Ferdinando II revocò l’Editto di restituzione.
Ma la Pace di Praga, che confermò il dominio imperiale nell’Europa centrale, non venne accettata dalla Francia, che si sentì minacciata ed accerchiata dalla potenza asburgica, per cui si aprì la quarta e ultima fase della lunga guerra (1635-1648). Contro l’imperatore e contro la Spagna si formò una coalizione che comprese la Francia, l’Olanda, la Svezia, il ducato di Savoia e i principi protestanti tedeschi.
A partire dal 1638-40 l’andamento della guerra cominciò a prendere una piega decisamente favorevole alla coalizione antiasburgica: gli olandesi distrussero la flotta spagnola (battaglia di Dover), la Francia occupò il Rossiglione, gli svedesi entrarono in Slesia e Boemia. Si giunse cosi alle battaglie conclusive: quella di Rocroi (1643), in cui le truppe francesi sbaragliarono quelle spagnole, quella di Jankovic (1645), in cui gli svedesi sconfissero gli austriaci, ed altre.
Il logoramento economico provocato dal lungo conflitto, le pestilenze, le stragi, le rivolte popolari scoppiate in varie zone e infine la consapevolezza del sostanziale fallimento del tentativo asburgico, indussero i paesi belligeranti a chiudere la guerra con una serie di trattati compresi sotto il nome di Pace di Westfalia (1648).
Essa sancì:
- la fine del sogno asburgico di creare nel cuore dell’Europa una grande monarchia nazionale centralizzata, assolutista e cattolica; la Germania venne divisa in circa 350 Stati, di cui alcuni abbastanza estesi e altri piccolissimi, che godevano di piena autonomia e sovranità;
- l’ascesa della Francia al ruolo di grande potenza: scongiurato il pericolo asburgico, alla Francia venne confermato il possesso delle tre città di Metz, Toul e Verdun e di gran parte dell’Alsazia; inoltre essa ottenne dal Piemonte la piazzaforte di Pinerolo;
- la supremazia svedese sul Mar Baltico e nel Mare del Nord e il possesso di una vasta zona di influenza nella Germania orientale;
- l’indipendenza definitiva dell’Olanda (Province unite);
- il ritorno all’indipendenza del Portogallo, non più unito alla corona di Spagna;
- il pieno riconoscimento dell’indipendenza e della neutralità perpetua della Confederazione svizzera;
- sul piano religioso venne confermato il principio del cuius regio, eius religio, che assunse però un nuovo significato, nel senso che la religione del principe diventava religione ufficiale di Stato ma i sudditi che appartenevano ad altre confessioni potevano convivere pacificamente e non erano costretti ad abiurare la loro fede o a emigrare.
A Westfalia non si raggiunse invece la pace tra Francia e Spagna, che continuarono le ostilità fino al 1659 quando, con la Pace dei Pirenei (1659), la Spagna fu costretta a cedere alcuni territori alla rivale. Il paese che ebbe i danni maggiori fu sicuramente la Germania, ossia gli Stati tedeschi, che subirono un vero e proprio tracollo demografico (si parla di circa 5 milioni di morti) ed economico, con la crisi di ogni attività produttiva (agricoltura, commercio, industria).
La Pace di Westfalia ha avuto un’importanza storica di grande rilievo almeno per due motivi:
1) sancì per la prima volta l’affermazione, nel contesto internazionale, del principio dell’equilibrio, in base al quale nessun paese poteva e doveva ingrandirsi e rafforzarsi troppo a danno degli altri, quindi bisognava attribuire e togliere territori senza intaccare quel sostanziale equilibrio di forze che si era formato in Europa all’indomani della guerra. Nei due secoli successivi il principio dell’equilibrio divenne il criterio guida a cui le nazioni si attennero per risolvere le controversie tra gli Stati e per stipulare trattati di pace;
2) con i trattati di Westfalia venne consacrata in via definitiva la nascita di un sistema politico internazionale basato sulla sovranità degli Stati nazionali: anche se permanevano alcuni imperi sovranazionali (come quello tedesco e quello ottomano), da quel momento in poi la nuova realtà politica europea andò sempre più organizzandosi intorno alla centralità dello Stato-nazione, retto per lo più da un sovrano assoluto, il cui potere era pressoché illimitato. I trattati di Westfalia quindi da un lato costituirono il punto di arrivo di un lungo processo, iniziato nel tardo Medioevo, dall’altro costituirono il punto di partenza per la consacrazione definitiva di quelle entità giuridiche e politiche che gli storici hanno chiamato Stati nazionali;
3) a Westfalia si stabilirono nuove regole politiche riguardanti il diritto internazionale e anche la guerra: in caso di guerra, bisognava promuovere sempre un’azione diplomatica, svolta per lo più in forma segreta, per tentare di risolvere il conflitto; lo stato di guerra doveva essere dichiarato ufficialmente e l’evento bellico doveva riguardare solo gli eserciti e i campi di battaglia e non le popolazioni e le strutture civili; solo gli Stati giuridicamente riconosciuti avevano il diritto di fare la guerra, erano esclusi tutti gli altri soggetti; anche nello stato di guerra rimanevano in vigore e andavano osservati quei diritti naturali non scritti come il rispetto dei prigionieri e la tutela dei vecchi, delle donne, dei bambini, degli inermi in genere.

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