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mercoledì 20 maggio 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 20 maggio.
Il 20 maggio nasce a Tours, in Francia, Honoré de Balzac, il maestro del romanzo realista francese del 19esimo secolo.
L’alta statura intellettuale  di Balzac  domina tutto il XIX  secolo letterario non solo della Francia. Giornalista, “industriale” fantasioso e fallimentare  perennemente indebitato, figura brillante di una società alla quale finisce per imporsi, dandy, uomo d’azione e sognatore allo stesso tempo, vittima delle contraddizioni del mondo di cui era stato l’implacabile notomizzatore, Balzac finisce col fondersi e confordersi con quel “figlio del secolo” di cui ha contribuito a costruire il mito e a diventare egli stesso una figura dei suoi romanzi. «Voi, il più poetico fra i personaggi che avete inventato» scriverà Baudelaire che lo amò, tirandone questo ritratto: «Il cervello poetico tappezzato di cifre come lo studio di un finanziere. L'uomo dai fallimenti mitologici, dalle imprese iperboliche e fantasmagoriche».
Mentre Balzac si attestava sulle “due verità” legittimiste, il trono e l’altare, Hugo riconosce in lui un autore rivoluzionario; mentre i suoi contemporanei lo prendevano per un “realista”, Baudelaire lo salutava come uno straordinario immaginario. La sua opera  accoglie queste tensioni dinamiche e critiche. Egli ne è compenetrato, ed  è questa complessità irriducibile che trasforma la «Comédie humaine» in una opera capitale  della letteratura mondiale.
Il padre di Balzac, Bernard François Balssa - senza particella nobiliare -, funzionario imperiale, figlio della rivoluzione francese, aveva sposato a cinquantun  anni una giovane donna che ne aveva diciannove: questa storia vera potrebbe essere lo  spunto per un romanzo balzacchiano. Infatti, Honoré non cesserà di rappresentare le donne mal  maritate, i drammi della vita privata, la disgregazione delle coppie. Ad un padre liberale, che confida negli ideali progressisti del suo tempo, corrisponde una madre che ama certamente poco i figli inflittigli dal matrimonio e si ripiega nella tristezza di una vita isolata. La lotteria delle nomine e degli incarichi   fanno nascere Balzac, nel  1799, a Tours: non è figlio della sua regione, e la sua Touraine sarà quella che adulto riconoscerà. Messo a  balia, quindi interno al collegio di Vendôme dagli otto ai quattordici anni, Balzac conserva della sua infanzia poche memorie felici.
Fin da 1814, la famiglia va ad abitare a Parigi, ed Honoré diventa allievo dell’attuale istituto universitario Charlemagne. Nel frattempo il padre mette al mondo un figlio adulterino e  l’autore della «Fisiologia del matrimonio» oserà dire che l’adulterio è la risposta alle sofferenze della vita coniugale.
 Quando i padri hanno dei progetti, i figli hanno dei destini. Era nella logica paterna che Honoré diventasse notaio.  Ma, completati i suoi studi di diritto, Balzac sceglie per sé il destino di  scrittore, e di mantenersi coi proventi della scrittura. È una scelta audace che richiede di rompere allo stesso tempo con una certa idea del successo borghese e con la sua famiglia. Il giovane Balzac era allora “di sinistra” e, oltre ad   aver letto Locke e  restare segnato dal suo materialismo, si interessava alle idee dei sainsimonisti . Questa scelta è anche nel solco di una vita piena di ristrettezze: Balzac va a vivere  in una mansarda, in rue Lesdiguières, e si mette al lavoro. Trasfigurata, quest’esperienza si trova in molti dei suoi romanzi: a venti anni, Balzac ha conosciuto la vita di uno studente povero e di un genio in cerca di se stesso.
Per riuscire in letteratura intorno al  1820, occorreva scrivere per il teatro, sicuramente il settore creativo più remunerativo (come oggi scrivere sceneggiature per il cinema o per la pubblicità), oppure scrivere di  storia o anche poesia, arte ancora non discreditata, che assicurava quantomeno il prestigio spirituale non certo quello materiale. Balzac tenta una tragedia, «Cromwell». È un fallimento. Per vivere, si fa romanziere fornitore di sale di lettura, e pubblica, sotto diversi pseudonimi, piccoli romanzi anti-romantici e satirici: «Jean Louis, l’ereditiera di Birague » (1822).  I suoi pseudonimi hanno una caratteristica comune, quello della nobiltà: Horace de Saint-Aubin, lord R’Hoone.
Nella sua vita privata, gli eventi urgono: le sue sorelle si sposano. Laurence, la più giovane, morirà nel 1825, abbandonata, dopo avere conosciuto un inferno coniugale. Quanto a Balzac, diventa nel 1822 l’ amante di Laure de Berny, di gran lunga più grande di lui, che gli fungerà da madre, maestra, iniziatrice al mondo, aiuto finanziario nelle imprese pericolose che presto tenterà. Se la signora Balzac è stata la prima “donna di trenta anni” (allora un’indicazione anagrafica per donne mature) che abbia incontrato, la Sig.ra de Berny è stata il modello di tutte queste donne che abitano il mondo di Balzac, donne mature, spesso disilluse, che amano – già navigate - giovani che iniziano al mondo: tale è la signora de Mortsauf («Il giglio nella valle»), o la signora de Bargeton          («Illusioni perdute»).
Con un andirivieni costante dalla vita personale alla scrittura, Balzac (ancora sotto pseudonimo e perfettamente ignoto) scrive romanzi nei quali i temi della vita privata guadagnano in importanza: «Annette ed il criminale» (1823), il «Colonnello Chabert »   (1832) e soprattutto « Wann Chlore» (pubblicato nel 1825), la cui eroina anticipa  tutte le giovani donne balzacchiane di là da venire. Inoltre «L’ultima fata»  descrive una struttura romanzesca che diventerà idealtipica  nel  suo universo romanzesco: quella della tensione tra l’ideale e la realtà, e del giovane uomo lacerato tra la donna senza cuore e l’angelo. Mancata sul piano del successo letterario, questa prima carriera avrà  la sua importanza per la costruzione del seguito.
Balzac vuole il potere e il denaro. Nell’epoca dell “Arrichitevi!” di Guizot, affonda anch’egli il suo mestolo nel brodo della società capitalistica in ebollizione, cercando di tirarne su qualcosa. Si lancia negli “affari”: stampa, fonderia. Nel 1828, è la prima catastrofe, modello di tutte le altre.  Se Joyce tenterà ragionevolmente  di sfruttare la nascente arte cinematografica  progettando l’apertura di una sala, Balzac, dalla fantasia rutilante e “ romanzesca”, perseguirà per tutta la vita progetti enormi e fantasiosi: dalla coltura degli ananas nella regione parigina allo sfruttamento in Sardegna di miniere d'argento già abbandonate  nell’Antichità…
Occorre dunque ritornare alla letteratura: questa volta Balzac tenta il romanzo storico (genere di successo all’insegna di Walter Scott), «L’ultimo Chouan», dove dà delle guerre dell’Ovest durante il periodo rivoluzionario un’immagine antiliberale sposando il punto di vista codino e legittimista; tenta anche un tipo di scrittura  quasi sociologica, «La fisiologia del matrimonio», dove descrive in modo umoristico l’istituzione coniugale, pur lasciando filtrare la gravità e la tragicità dell’argomento. Escono dunque le prime «Scene della vita privata»: alla vigilia della rivoluzione di luglio, Balzac - che inizia a firmarsi  Honoré de Balzac - è considerato lo specialista della donna e del matrimonio.
Diventa giornalista nel gruppo di Émile de Girardin e tiene una regolare rubrica di cronaca politica nel «Voleur»:  “Lettres sur  Paris”. Siamo agli albori  del giornalismo moderno, e mai quest’attività   sarà secondaria per Balzac; accompagna tutta la sua creazione, l’àncora nel presente, gli permette di riflettere sulle sue scelte politiche (vira verso  il legittimismo nel  1831), modella la sua scrittura e soprattutto lo lancia nel Tout-Paris  del momento. Il successo sembra arrivare: «La pelle di zigrino», racconto filosofico nella Parigi del 1830, è salutato dai letterati che contano.
Assecondando le tendenze mondane e la propria inclinazione, Balzac, a poco più di trent’anni, raggiunge il successo. I suoi sogni d’integrazione e di riconoscimento sono così intensi che lo conducono a frequentare gli ambienti aristocratici (il “monde”, cui aspirano tutti coloro  che la nascita ha posto nei ranghi inferiori, nel démi-monde) e a volere per amante la  marchesa di Castries.
La  nuova reputazione d’esperto in cuori femminili gli vale il ricevimento, nel 1832, di una lettera poeticamente firmata “la straniera”. È di una contessa polacca, Eva Hanska, coniugata e dimorante in Ucraina: l’inizio di una storia romantica, che durerà fino alla morte dell’autore.
Per intanto, Balzac vive nel lusso, si veste come un dandy pur non avendone il fisico, spende con superiorità gli anticipi versatigli per le opere che non ha ancora scritto, salvo  poi sfinirsi per  consegnarle nei termini contrattuali. Corre appresso al proprio tempo, dietro le illusioni del mondo.  Lavora diciotto ore al giorno, beve torrenti di caffè, e rasenta la pazzia nel giugno del 1832. Parzialmente autobiografico è a tal proposito, il romanzo «Louis Lambert» che  porta i segni di questa crisi: Louis, figura d’intellettuale ferito, esaltato, romantico, muore pazzo. Ma tutti i suoi personaggi maschili sono febbricitanti: c’è dietro la Francia di Luigi Filippo, di Guizot, dell’ascesa del capitalismo certamente, ma c’è dietro anche il delirante, il “romanzesco”, l’enorme Balzac.
I romanzi si succedono vertiginosamente  (due, tre  all’anno), sono le prime fondamenta della mitologia balzacchiana e della sua visione singolare del proprio secolo. A «Louis Lambert»  risponde, nel 1833, l’utopia de «Il medico di campagna»: pianificare, per arginare  le forze distruttive del desiderio; agire collettivamente, per sostituire alle passioni individuali l’ordine collettivo. La Rivoluzione, per Balzac, lungi dall’ aver  messo termine alle ingiustizie ed alle disuguaglianze, le ha rafforzate.  Ha escluso,  marginalizzato migliaia di persone: eroi “popolari”, criminali per fame, giovani senza futuro, donne liberate ma indebolite dalla legislazione napoleonica. Il mondo moderno è duro; gli uomini e le donne vi soffrono. Il liberalismo è una menzogna che ha favorito l’aumento degli egoismi e la morale degli interessi. «Il medico di campagna», Benassis, è un cuore ferito, che avendo sofferto, è capace di riflettere in modo critico sulla società in cui vive: ciò che c’è più di romantico in  Balzac, è l’evidenza che il dolore fonda la coscienza. Dello stesso spirito - per ritornarne al tema delle forze distruttive della società contro l’individuo-, partecipa «La ricerca dell’assoluto», ricerca di un lucido folle smarrito nel mondo “reale”.
A quest’universo reale, lo scrittore volge sempre più le sue attenzioni: le prime “scene della vita di provincia”, «Il curato di Tours» apparso nel 1833, e l’anno successivo, «Eugénie Grandet» e «L’illustre Gaudissart», ne sono testimonianza. Balzac scrive e pubblica rapidamente: una circolarità di situazioni e di tipi  emerge nella fitta schiera dei suoi romanzi. Nel  1833, ipotizza di fare ritornare dei personaggi già creati nei suoi romanzi precedenti. Idea “brillante” secondo l’interessato stesso, che permetterà di mostrare l’unità di ciò che, nato della stessa urgenza artistica, potrà diventare un affresco del mondo moderno. È nel «Papà Goriot» (1834 -1835) che Balzac mette per la prima volta in pratica quest’innovazione, le cui conseguenze saranno fondamentali per l’invenzione della «Commedia umana». I Rastignac, i Rubempré, diventeranno gli eroi mobili di una saga sociale che non ha eguali nella narrativa moderna.
Tuttavia, mentre rafforza la sua relazione con la signora Hanska (la raggiungerà a Ginevra nel 1834, a Vienna nel1835), Balzac ne allaccia un' altra, con la contessa Visconti. Continuando a fare “affari”, compera un giornale, «La cronaca di Parigi». E scrive sempre più forsennatamente, al punto, questa volta, di mettere seriamente a repentaglio la salute: dopo la pubblicazione de  «Il giglio nella valle», nel 1836, è vittima di un attacco. Anno terribile per lui: mentre viaggia in Italia, Balzac apprende della morte della Signora de Berny, quella che chiamò sempre “Dilecta”; «La cronaca di Parigi» fa fallimento, e Balzac affronta  un pesante  processo con l’editore Bulloz.
Alla fine del 1836, si getta in una nuova avventura giornalistica e letteraria facendo uscire su  «La Presse», in dodici puntate, «La Vielle fille». Era l’inizio del «roman-feuilleton» ossia di quel romanzo di diffusione popolare, che veniva pubblicato nell’ultimo foglio (da dove il termine) dei quotidiani allo scopo di uncinare il lettore, con la  storia narrata a puntate, all’acquisto del giornale medesimo.  Balzac non poteva restare estraneo ad alcuna delle invenzioni del suo tempo in questo settore: volle per sé fino alla morte un destino di scrittore popolare, di giornalista, di editore.
Questa nascita del «roman-feuilleton», nuovo strumento per un nuovo pubblico, coincide con il pieno controllo di quello strumento che egli ha messo a punto: il romanzo balzachiano, quello ciclico coi personaggi che ritornano. Apre anche l’ultima fase della  “carriera” di Balzac e fornisce ad uno dei suoi più famosi romanzi, «Illusioni perdute»,  le esperienze ancora fresche appena vissute: la potenza della stampa e il ruolo di un’opinione pubblica con la quale occorrerà fare i conti; commercializzazione, industrializzazione dell’impresa letteraria; circolazione delle idee e delle merci, “commercio” dello spirito. La composizione e la pubblicazione delle «Illusioni perdute» si protrae per sette anni (1837 -1843), fatto che non comporta  una diminuzione dell’attività creativa di Balzac: dal 1837 alla morte, avvenuta nel 1850, scrive più di 23 romanzi, tenta anche la scrittura per il teatro e prova ancora ad avere il “suo giornale”, la «Revue parisienne» (tre numeri). I romanzi di questo scorcio  finale della sua  vita sono quelli che la posterità ha più amato: « César Birotteau », (1837) «La cugina Bette» (1846) «Il cugino Pons» (1847), passando per « Une ténébreuse affaire », «Le memorie da due giovani spose»  (1841) o «Splendori e miserie delle cortigiane» che chiude la vicenda di Lucien de Rubempré iniziata nelle «Illusioni perdute». Alcuni  dicono che è  il  rabbuiarsi  definitivo di un mondo che il movimento romantico aveva mostrato sotto le sue due facce, luce e notte: e che adesso altro non è che notte.
Ma è a partire da questo perfetto controllo della tecnica narrativa che Balzac realizza una formidabile macchina romanzesca: nel 1841 appare in un contratto il titolo di «Comédie humaine». Nel  1842, Balzac redige la prefazione, dove chiarisce le sue intenzioni sull’organizzazione dell’immensa materia narrata. È nel 1845 infine che elabora l’indice completo della sua “Commedia”, umana, visto che altri hanno scritto quella “divina”. Così come la concepisce nella sua totalità è formata da 137 romanzi, con quasi  2.000 personaggi (46 romanzi sono restati allo stato di progetto o di semplice schizzo preparatorio).
Nel frattempo, con la morte del marito della signora Hanska, il sogno cominciato sette anni prima poteva compiersi: nel 1843, Balzac parte alla volta di San Pietroburgo per raggiungervi la sua Eva, lasciando dietro di sé una scia di debiti che rischiano di farlo arrestare. Ritorna per trovare il suo lavoro, i suoi debiti, la sua fuga perenne, ma il medico gli diagnostica  una meningite cronica. Viaggia molto attraverso l’Europa con la sua Straniera, da cui spera anche di avere un bambino (ma la signora Hanska, che nel 1846 ha già quarantacinque anni, non condurrà a termine  la sua gravidanza), e trascorre i suoi ultimi due anni tra la Francia e l’Ucraina. La rivoluzione del 1848 gli ispira soltanto riflessioni negative, e, candidato alla Académie Française al  seggio di Chateaubriand, ottiene soltanto due voti. Sposa la signora Hanska il 14 marzo 1850, in Ucraina. A fine giugno, non può più scrivere. Esausto, rientra a Parigi, per morirvi il 18 agosto. Hugo, che pronunciò il suo elogio funebre al Père-Lachaise, riporta in «Cose viste» il breve scambio che ebbe con il ministro dell’Interno. Mi dice: « Era un grand'uomo». Gli dico: «Era un genio».
Balzac è l’inventore del romanzo del mondo moderno, cioè del mondo dopo la Rivoluzione. Durante tutto il XIX  secolo, e durante una buona parte del  XX, i romanzieri francesi e stranieri si sono pronunciati per o contro ciò che è rapidamente diventato il “modello balzacchiano”. Questo romanzo è totale - Balzac rivendicava lo spirito sistematico contro la tentazione del “mosaicismo” - nel senso che egli si vanta esplicitamente di un’ipotesi scientifica: Balzac vuole elaborare la tassonomia e la classificazione dei  tipi umani, come Cuvier o Geoffroy Saint-Hilaire facevano per    le specie animali. Crede che il corpo sociale sia identico alla fauna naturale. Ritiene anche che il lavoro dello scrittore, simile in ciò a quello stesso dello scienziato, sia di descrivere e spiegare: «Dovrà essere cercata all’interno della stessa società  la ragione delle  sue dinamiche», afferma nella prefazione della «Comédie humaine».
L’ambiente dove questo programma estetico deve compiersi è quello della realtà storica e sociale: romantico, Balzac sa che, dopo la Rivoluzione, ogni uomo, potente o umile, è entrato da protagonista nella storia. La storia dà a ciascuno la forma del suo destino; dispone dei cuori, delle scelte che si credevano personali. Avanza, ed ha un senso: scrivere il passato serve a comprendere il presente, o anticipare il futuro. La storia, trama del testo, è anche la vera finalità della poetica balzacchiana;  “storico fedele e completo”, “più storico che romanziere”, ma capace di trionfare dove la storia fallisce:  «Ho fatto meglio dello storico,  perché sono più libero», così Balzac si raffigura affermando ancora che il suo ruolo è di fare l’inventario della società francese e di essere il “segretario” di questa società.
Che essa sia recente (epopea napoleonica, Restaurazione),  appena distante nel  ricordo (guerra di Vandea), o anche  contemporanea (Monarchia di Luglio), la storia è ovunque: fondo, forma, dinamica del testo. Per afferrarla, il migliore strumento è il romanzo: poiché il romanzo, grazie a Balzac, è un genere totale, che contiene tutto, «l’invenzione, lo stile, il pensiero, la conoscenza, la sensazione». Flessibile, realistico o visionario, con lo sguardo teso a cogliere l’universale o il  particolare, l’artista può tutto dire e tutto illuminare, fare concorrenza non   solo allo “stato civile”, ma alla scienza: analogico e deduttivo come essa, e come essa preso d’accessi di verità.
Dacché  «ogni romanzo è soltanto un capitolo del grande romanzo della Società» (prefazione di «Illusioni perdute»), ne consegue che l’organizzazione globale di tutti i suoi libri doveva essere, per Balzac, lo strumento perfetto di quest’espressione totale del reale. Aveva una visione filosofica globale della vita, predominata dall’idea della concentrazione necessaria sull’energia, perlopiù individuale contrapposta alle forze collettive della società e della storia.  Ogni individuo, per Balzac, possiede infatti una certa quantità d’energia che l’azione o la volontà utilizzano. Che si eserciti dentro di sé o nel mondo esterno, il desiderio guida l’essere.  Quest’idea forte già  suggeriva a Balzac una concezione centripeta della sua opera. Ragionava per insiemi, per grandi movimenti, per strutture.  La «Commedia umana»  è la sistematizzazione della sua filosofia: nel  1833 escogita  l’invenzione del “ritorno dei personaggi”, messa  in atto nel «Papà  Goriot».
Nel  1834, Balzac concepisce di dare un ordine a tutta la sua opera dividendola  in tre parti:  “studi di costume”, “studi filosofici”, “studi analitici”. Nel  1835, cercando un titolo per l’intero progetto, pensa a “studi sociali”. Nel 1842 infine, trova  il titolo di “ commedia umana” e redige la prefazione famosa dove   spiega la sua visione "zoologica" dei tipi umani. Questo titolo, dall’ambizione sproporzionata, ricorda  che il mondo è un vasto teatro dove gli uomini svolgono, alla meno peggio, il loro ruolo prima di morire, ma designa anche l’opera come il modello fittizio attraverso il quale il romanziere penetra nei meccanismi e li rivela. Poiché tale è la sfida: smontare, dimostrare, appassionatamente svelare. Condurre a termine il lavoro di scavo e di disvelamento dei “moralistes” classici del Grande Secolo, ma coniugare questo lavoro di estrema raffinatezza intellettuale coi mezzi dozzinali e popolari offerti dal genere romanzo.   Gli “studi dei costumi” dovevano rappresentare “tutti gli effetti sociali”, tracciare “la storia del cuore umano punto a punto”. Dopo gli effetti, le cause: gli “studi filosofici” diranno “perché le sensazioni, perché la vita”. La ricerca dei principi infine era riservata agli “studi analitici”. A edificio ultimato, Balzac  avrebbe scritto le  “Mille e una notte dell’Occidente”, secondo la sua espressione.
Occorre prendere questo delirante progetto sul serio. Penetrare nella Commedia umana, è, in effetti, superare una soglia magica: dal fondo della provincia francese emergono figure reali e fantastiche, individualizzate all’estremo e tuttavia tipiche.  Giovani ambiziosi che il miraggio  parigino strapperà alla loro monotonia, giovani donne  distrutte da  usurai folli,  vegliardi  smisurati, donne di trenta anni che dispongono di riserve infinite d’amore, celibi, nobili rispettabili ma smarriti nel  ricordo di altre età, filantropi disperati venuti a cercare l’ombra ed il silenzio... Dietro le persiane chiuse, nelle dimore minuziosamente visitate, descritte - poiché, per Balzac, i luoghi producono e rivelano le persone -, drammi si annodano, rancori e odi serpeggiano, passioni si scatenano.
A una  provincia delle eredità, dell’accumulo dei beni, dell’ombra e delle fortune sedimentate  risponde una Parigi in piena metamorfosi, scintillante. Città di tutte le tentazioni, di tutte le possibilità e di tutti i fallimenti. Città abbagliante, fantastica sotto la penna  balzacchiana. Inferno, vero dio del mondo di Balzac, dove si fissano i valori degli uomini e delle cose (dove «dietro ogni angolo si nasconde un interesse») dove s’aggirano le più belle donne, dove i bellimbusti fanno le loro uscite e dove riescono soltanto gli squali, i lupi cervieri del mondo moderno.
La Commedia umana: più di 2.000 personaggi, centrifugati negli  interessi, nelle passioni, nelle sofferenze; lacerati dalla  vanità , l’ambizione, l’egoismo... Poiché le “Mille e una notte dell’Occidente” di Balzac sono politiche, sociali, economiche! Alla magia dell’Oriente risponde la realtà dell’Occidente.
Il realismo balzacchiano - alcuni hanno detto la “volgarità” balzachiana - è fatto inizialmente di una convinzione: la realtà è afferrabile dalla  scrittura. Poiché, per Balzac, essere realisti non è riprodurre “la ” realtà. Quale allora?
Il principale compito è  comprendere: che il mondo muta, che emergono nuovi soggetti, nuove forze, che la storia sconvolge  le condizioni e le mentalità, che le città si trasformano, che la borghesia non ha gli stessi valori della nobiltà... Dipingere la vita moderna, nei suoi lati  oscuri  e luminosi. Dunque parlare di denaro, poiché il denaro guida il mondo, mostro di cui nulla uguaglia la violenza distruttiva e la potenza inventiva, metafora del desiderio e del successo. Riuscire, nel mondo moderno, è realmente altra cosa che “fare fortuna”?
Descrivere dunque. Entrare nei dettagli che danno il senso: Balzac sa il potere degli abiti, la funzione dei mobili, il ruolo degli oggetti. Balzac sa che avere vuol dire essere.  Prevede che il mondo moderno sarà quello del feticismo  della merce di cui dirà Marx, che peraltro verso lo eleggerà a proprio scrittore.
Ma soprattutto occorre interpretare, comprendere, dunque reinventare: la verità della natura e quella dell’arte non sono le stesse. Per essere realistici, occorre essere surrealisti: per essere un romanziere realista, occorre essere epico e mitico, proiettare le vicende degli uomini comuni nel grande schermo del romanzo totale.  Il migliore mezzo del “realismo” balzacchiano, è l’immaginazione che stilizza, caratterizza, ricompone: Balzac prende un individuo, ne fa un tipo, passa al mito (Grandet, Vautrin, Rastignac, Goriot ed anche « la donna-di-trent’anni »...). Balzac prende una casa, ed essa diventa un corpo fantastico, affronta Parigi, e Parigi diventa labirinto ed inferno...
È per questo che al centro di tutta l’opera balzachiana si trova la riflessione sull’arte e sull’artista. Personaggio “romantico” per eccellenza, l’artista occupa  l’immaginazione di Balzac. Uomo del desiderio, dedito alla ricerca dell’assoluto, dotato di una vista acuta che sa decifrare i misteri della natura, della vita, della società, capace di svegliare le forme immerse nel nulla, demiurgo... e disperato  specchio infine, dove qualsiasi cosa viene a riflettersi.
La letteratura ha il compito di riprodurre la natura con il pensiero.  Il creatore prometeico osserva, esprime,  ricorda ed inventa: il romanzo balzacchiano è questo alambicco alchemico dove il reale trasmuta nel mito e  nel simbolo, dove emerge ciò che non si conosceva, dove l’immagine e la condensazione della scrittura rendono  visibile e leggibile ciò che era soltanto frammento, polvere, pezzetti di “realtà” prive di qualsiasi significato. Balzac è dunque  Scheherazade: con lui, le realtà prosaiche del mondo moderno, i piccoli affari della piccola borghesia, le speculazioni meschine e le passioni umane, troppo umane, sono tratte dall’ombra per essere consegnate alla poesia duratura della leggenda.


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