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giovedì 12 settembre 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 12 settembre.
Il 12 settembre 1942 affonda il Transatlantico Laconia.
L’RMS Laconia era uno splendido transatlantico dalle linee sinuose, rapido a solcare gli oceani e a infrangere le onde. Di proprietà della società Cunard Line, venne varato nel 1921, ma con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, venne requisito dalla Royal Navy, la marina britannica, e trasformato in cargo incrociatore, armato con otto cannoni da 152,4 mm e due obici da 762 mm, e, successivamente ad altre modifiche, quale trasporto truppe e nave per prigionieri di guerra. Iniziò a effettuare le sue traversate dalla Gran Bretagna fino al continente africano, trasportando le truppe inglesi che combattevano in Nord Africa contro l’Afrika Korps di Rommel e, in seguito alle vittorie nel teatro africano, ebbe la delicata missione di trasferire circa 1800 prigionieri italiani nei campi di concentramento alleati negli Stati Uniti.
Salpato nel luglio 1942 dal porto di Suez, sul Laconia vennero imbarcati 463 uomini dell’equipaggio, 268 soldati britannici, ottanta passeggeri (per lo più donne e bambini, membri delle famiglie dei soldati britannici o dei membri dell’equipaggio) e 103 soldati polacchi destinati al servizio di guardia degli oltre 1800 prigionieri italiani. Nella notte del 12 settembre 1942, il Laconia, ormai lontano dalle coste dell’Africa, in pieno Oceano Atlantico, mentre faceva rotta verso gli Stati Uniti, venne avvistato dal periscopio del sommergibile tedesco U156, comandato dal Capitano di Vascello Werner Hartenstein: alle ore 20.10, al largo dell’Isola di Ascensione, il transatlantico venne raggiunto da un siluro del sommergibile, sul lato di dritta; pochi istanti dopo, la nave venne raggiunta da un secondo siluro e, alle 21.11, innalzando la sua prua al cielo stellato della notte atlantica, affondò di poppa.
Durante le fasi dell’affondamento, però, le guardie polacche chiusero tutti i boccaporti delle stive dove erano tenuti prigionieri gli Italiani: molti di loro morirono affogati nel ventre d’acciaio della nave. Alcuni dei sopravvissuti, inoltre, diranno che i Polacchi di guardia, pur di non fare fuggire i prigionieri, fecero uso delle loro armi in dotazione e aprirono il fuoco. Una volta che la nave affondò negli abissi, Werner Hartenstein ordinò di fare rotta sul luogo dell’affondamento, per recuperare gli eventuali naufraghi: la sorpresa dell’equipaggio del sommergibile tedesco fu enorme quando udirono grida di aiuto in italiano tra i rottami affioranti. Recuperati i naufraghi, l’U156 trasmise al comando degli U-Boot la notizia e l’Ammiraglio Karl Doentiz ordinò ad altri due sottomarini tedeschi di raggiungere Hartenstein e recuperare i naufraghi; fu, inoltre, inviato il Sommergibile Cappellini, della Regia Marina italiana, comandato dal Tenente di Vascello Marco Revedin in supporto ai Tedeschi.
Il 16 settembre 1942, l’U156, con le scialuppe dei naufraghi a rimorchio, venne avvistato da un velivolo alleato mentre navigava in superficie: nonostante l’invio di messaggi radio “in chiaro” sulle frequenze inglesi di non attaccare il sommergibile poiché impegnato in una missione di soccorso (tra i naufraghi, vi erano anche soldati e marinai inglesi, donne e bambini), l’aereo sganciò due bombe che, cadendo nelle vicinanze dell’U-boot, solo fortunosamente non causarono danni. Il giorno seguente, avvistati due cargo francesi, i naufraghi furono trasbordati sulle due navi mercantili, così da lasciare liberi i sommergibili tedeschi impegnati, fino ad allora, nella missione di salvataggio; il 18 settembre, infine, le navi francesi, a loro volta, trasferirono i sopravvissuti sul Sommergibile Cappellini, che era ormai sopraggiunto. Alla fine di tutto, si contarono tra le 1600 e le 1700 vittime, per la stragrande maggioranza prigionieri di guerra italiani. Per quanto riguarda il destino dell’eroico comandante Hartenstein, il 12 marzo 1943 venne affondato da un aereo statunitense, mentre si trovava in navigazione nell’Oceano Atlantico.

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