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lunedì 5 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #Mariobattacchi



Buongiorno, oggi è il 5 agosto.
Il 5 agosto 1944 si ebbe la "strage di Castello".
Firenze, 5 agosto 1944: l’ora della liberazione della città si avvicina inesorabile. Le truppe di occupazione tedesche, esauste e abbrutite per i pesanti combattimenti sostenuti fino allora, sono ormai consapevoli che la guerra in Italia è perduta. Alle nove di quel sabato sera, sette soldati tedeschi si recano in via Vittorio Locchi a Castello. Bussano alla porta di Anna Pieri e chiedono del vino alla donna. Questa risponde di non averne e li invita ad andarsene. Ma quelli chiedono dove sia suo marito. La donna spiega che è morto combattendo per Mussolini, in realtà era morto prima della guerra. I tedeschi entrano di forza nella casa: qui ci sono suo fratello con moglie e figli, più sua cugina, Maria Omaralgi. I militari chiudono tutti i presenti in stanze diverse ad eccezione di Anna e Maria. Questa è portata in una stanza da un soldato, ma non è in salute: ha problemi ai polmoni, perciò non viene toccata. In sei tentano di violentare Anna, mentre uno prende le difese della donna invano. Lei reagisce a calci e morsi tentando l’estrema difesa, mentre quegli animali le strappano i vestiti di dosso. Vengono estratte le pistole dalle fondine, uno impugna la baionetta e la mette alla gola della donna, dicendo: "Dacci la fica o ti ammazziamo!" Anna replica decisa: "Preferirei che mi ammazzassi!" Nella concitazione del momento parte un colpo di pistola: il proiettile trapassa la manica del vestito di Anna, all’altezza del gomito. Lei perde i sensi. Quando si riprende, fa finta di essere ancora svenuta e vede i soldati intenti a bendare il braccio destro di un camerata. Quindi, dopo aver liberato le persone chiuse nelle stanze, i tedeschi lasciano la casa. Poco dopo due soldati entrano al numero 10 di via Giuliano Ricci, sede del comando tedesco. Uno è ferito al braccio destro. Nell’ufficio è presente Giorgio Pipoli, un civile che fa da interprete per i tedeschi. Il ferito dichiara all’ufficiale che un italiano gli ha sparato in strada, tra Firenze e Castello. L’ufficiale va in un’altra stanza a telefonare. Quando torna dice: "Ho telefonato al comandante e mi ha detto di procedere nel posto dove il soldato è stato ferito e di uccidere dieci italiani". A dare l’ordine deve essere stato il capitano Kuhne, del comando di villa Petraia. La verità è taciuta dal militare ferito, perché se rivelata la pena prevista per lui è la morte per impiccagione. Così il pagamento del prezzo di una vile menzogna viene imposto alla popolazione civile. Alla giusta pena per il suo perverso comportamento quel soldato tedesco ha preferito condannare degli innocenti. 
Così alle 22:20 circa due, trecento abitanti di Castello rifugiatisi nell’Istituto Chimico Farmaceutico Militare in via Reginaldo Giuliani, sentono delle esplosioni all’esterno provenienti dalla parte del cancello dello stabilimento. Silvano Fiorini di diciannove anni, un ex marinaio che si trova all’interno, va alla porta: irrompono alcuni soldati tedeschi. Inizia a discutere con loro, lo colpiscono ma lui continua a urlare fin quando uno di loro gli spara in bocca: il proiettile esce dal retro della testa. Questo ragazzo è la prima vittima di quell’azione. Segue un lancio di bombe lacrimogene che crea il caos nello scantinato. I tedeschi ordinano agli uomini di uscire. Qualcuno tenta la fuga: Beppino Mazzola, di ventisette anni, raggiunto da un colpo alla schiena muore poco dopo. Un gruppo di uomini viene subito messo al muro nel cortile dell’Istituto e qui fucilato, in ossequio alla regola: dieci italiani per ogni tedesco ucciso. Regola peraltro disattesa nella circostanza, in quanto cadono in dodici: dieci fucilati, più il Fiorini e Beppino Mazzola. Ecco i nomi degli altri dieci assassinati per mano tedesca: lacomelli Francesco, Tiezzi Tullio, Biondo Giorgio, Lippi Mario, Nardi Vittorio, Bracciotti Ugo, Graniti Francesco, Bartoli Aldo, Uvale Attilio, Lepri Michele. Due delle vittime erano partigiani. L’indagine condotta sul campo dal sergente Thomas Smedley, della 78a sezione del SIB (British Special Investigation Branch) e terminata il 18 giugno 1945, si conclude con l’accertamento della responsabilità del crimine a carico degli uomini del 1 Para Eng Bn. 4, nelle persone del maggiore Grundman (comandante del/Para Regt 10) e dei capitano Kuhne (comandante 1 Para Eng Bn e 1 Para Regt 10). Unico motivo della rappresaglia: il ferimento di un soldato tedesco da parte di un italiano per la strada.
La firma del crimine fu quella dei paracadutisti tedeschi del battaglione genieri acquartierati presso numerose case a Castello, con comandi e sottocomandi a Villa Pollaiola, Villa Petraia, via Giuliano Ricci 10, via del Sodo 6. Soldati del 1 Para Eng. Batt. furono direttamente implicati nella strage, benché nessun nome di essi sia mai venuto fuori, ad eccezione di quelli dei due ufficiali comandanti che comunque non presero parte direttamente all’azione, comandata a quanto appreso dalle testimonianze raccolte nel libro 5 agosto 1944, la strage di Castello, da un sergente maggiore.

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