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martedì 13 agosto 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 13 agosto.
Il 13 agosto 1800 nasce a Pisa il grande egittologo Ippolito Rosellini.
Compiuti gli studi presso i padri Serviti, a Pisa e Firenze, nel 1817 si iscrisse all’Università di Pisa, dedicandosi in particolare, sotto la guida di Cesare Malanima, allo studio dell’ebraico, lingua che fu la base della sua formazione orientalistica. Dopo aver ottenuto la laurea in teologia (5 giugno 1821), si trasferì a Bologna per perfezionarvi lo studio delle lingue orientali con il celebre poliglotta Giuseppe Gaspare Mezzofanti. A Bologna l’educazione clericale ricevuta andò sempre più sbiadendosi nel clima culturale vivacissimo della città, che vide la nascita di durevoli e intensi rapporti d’amicizia (con il fisico ed etruscologo Francesco Orioli, l’incisore Francesco Rosaspina, il barnabita Luigi Ungarelli), nonché di brevi relazioni sentimentali.
L’egittologia, disciplina di cui Rosellini divenne il fondatore in Italia, muoveva allora i primi passi: appena nel settembre 1822, Jean-François Champollion aveva comunicato all’Académie des inscriptions et belles-lettres a Parigi la sua Mémoire sur les hiéroglyphes phonétiques, con cui rendeva pubblici i principi di base del suo sistema di decifrazione del geroglifico. La nuova geniale teoria, destinata a fondare l’egittologia scientifica moderna ma all’epoca accanitamente contrastata, non era sfuggita a Rosellini, curioso e insaziabile lettore: un suo appunto (conservato in Pisa, Biblioteca universitaria, Fondo Rosellini, 283-bis, 19), mostra come già nel 1823 avesse letto la traduzione fattane da Domenico Valeriani nell’Antologia di Firenze e di lì a poco l’articolo critico dello stesso Valeriani. La duplice lettura gli fornì l’impulso ad approfondire l’argomento, schierandosi presto tra i suoi sostenitori.
Terminati gli studi, Rosellini rientrò a Pisa nel 1824, dove fu nominato professore, a soli ventiquattro anni, dapprima di lingue e letterature orientali, poi, dall’autunno 1825, anche di egittologia: i corsi, di taglio comparativo e appassionata eloquenza, attraevano un uditorio numeroso. Gli impegni accademici si accompagnarono da subito all’attività di pubblicista sul Nuovo Giornale dei letterati, nel quale non di rado espresse opinioni liberali, affrontando temi cari al Risorgimento, e sull’Antologia. Sorprende, in un uomo giunto a un passo dall’abito talare, la veemenza contro la posizione retriva della Chiesa sulla scienza e sulla decifrazione dei geroglifici.
Nel 1825 apparvero i suoi primi lavori egittologici e avvenne l’incontro con Champollion: inizio di un sodalizio scientifico, suggellato da una profonda e leale amicizia, che doveva decidere della sorte di entrambi e della neonata disciplina. Champollion sognava da tempo di organizzare una spedizione in Egitto che documentasse le iscrizioni dei monumenti egiziani e le rendesse finalmente accessibili alla ricostruzione storica, grazie alla chiave della sua decifrazione. L’alleanza con l’energia e l’entusiasmo di Rosellini e l’apertura del granduca di Toscana gli permisero la realizzazione dell’impresa e il superamento delle resistenze fino ad allora incontrate in Francia. Il piano della spedizione, elaborato in comune dai due studiosi e presentato nel 1827 ai rispettivi governi, fu subito approvato in Toscana, inducendo così il riluttante Carlo X ad accordare a sua volta il proprio finanziamento.
Il progetto della prima grande impresa archeologica internazionale, che metteva in opera due Commissioni parallele, la francese, sotto la guida di Champollion, e la toscana, diretta da Rosellini, prevedeva il rilievo dei monumenti e la copia di tutte le iscrizioni dell’Egitto e della Nubia, la possibilità di compiere scavi e di acquistare antichità. I comuni obiettivi – scientifici e materiali – erano delineati per la prima volta con visione mirabilmente moderna del valore storico-archeologico e non solo antiquario degli oggetti. L’accordo stabiliva la condivisione completa dei dati scientifici raccolti.
In quello stesso 1827, mentre la progettazione della spedizione andava definendosi, l’Ippolito pronto a infiammarsi per mille donne – come uno scettico Champollion commentava nella lettera del 10 maggio 1827 alla poetessa livornese Angelica Palli («Il est en proie pour la 50ème fois à une passion violente et sviscerata pour un objet qui est, à l’ordinaire, tel qu’il n’en a jamais rencontré dans sa vie. [...] c’est la 20ème personne que mon professeur veut épouser») – trovò infine l’amore della vita a Parigi in Zenobia, figlia del celebre compositore Luigi Cherubini.
Dal matrimonio, inizialmente contrastato ma infine celebrato a Parigi il 30 ottobre 1827, nacquero quattro figli: Ida (nata nel 1831, morta a soli tre mesi), Eugenio (nato nel 1833), Angela (nata nel 1837) e Giovambattista (nato nel 1842).
La spedizione franco-toscana, partita con tredici membri da Tolone il 31 luglio 1828 e trattenutasi in Egitto e Nubia fino all’autunno del 1829, gettò le basi della moderna egittologia: furono documentati centinaia di monumenti, testi, scene, che rappresentano oggi la testimonianza preziosa di ciò che allora era visibile e non sempre si è conservato. Il solo materiale della Commissione toscana, oggi conservato nella Biblioteca universitaria di Pisa, comprende circa 1400 disegni originali dei suoi pittori e 14 volumi manoscritti di osservazioni, copie di testi e appunti vari di Rosellini, in parte ancora inediti. Due distinte collezioni di antichità furono inoltre messe insieme, una per il Louvre (102 pezzi) e una per la Toscana (1878 pezzi), oggi nel Museo egizio di Firenze.
I due egittologi avevano concordato di pubblicare in comune l’opera, suddividendosi l’amplissima materia, ma il progetto non andò in porto: il 4 marzo 1832 Champollion morì e sulle spalle di Rosellini, rimasto suo unico continuatore ed erede spirituale, ricadde il peso dell’intero lavoro. Nonostante il dolore profondo per la morte dell’amico e la schiacciante responsabilità, Rosellini condusse a termine l’opera in dodici anni: i Monumenti dell’Egitto e della Nubia comprendevano 9 volumi in ottavo e 3 atlanti in folio massimo. L’ultimo volume apparve postumo.
Rosellini morì, infatti, a soli 43 anni il 4 giugno 1843.
Il lavoro estenuante, pagato a caro prezzo, fu turbato, oltre che dall’ostilità di numerosi colleghi e studiosi – tra cui quella mai sopita del fratello maggiore del decifratore, Jacques-Joseph Champollion, detto Champollion-Figeac – anche da varie preoccupazioni: il governo si era limitato a prestargli la somma preventivata e inattese difficoltà finanziarie avevano aggravato la situazione. Il granduca stesso sembrò divenire, progressivamente nel tempo, indifferente e lontano, forse irritato dagli indugi nella pubblicazione. Se tale raffreddamento fosse stato influenzato anche dalle voci su un coinvolgimento di Rosellini nel movimento cospirativo, non è noto: nel 1832 e 1833 venne implicato, ma scagionato, nelle accuse di complotto mosse a Dionigi Leondarakis, direttore della casa editrice Niccolò Capurro & Co., di cui Rosellini era divenuto il maggiore azionista per sovrintendere alla pubblicazione dei Monumenti. Nel 1833 una relazione all’auditore di Governo lo citava come capo toscano dei «Veri Italiani», la società segreta fondata da Filippo Buonarroti nel 1831. Mancano tuttavia altre testimonianze a riprova di un suo ruolo nel movimento insurrezionale; la sola certezza è la simpatia che in genere apertamente manifestò per le idee liberali. Un suo articolo di geografia, che toccava la questione a lui cara dell’Unità d’Italia, pubblicato nel giornale L’educatore del povero (poi chiuso d’autorità nel 1833 dal granduca, su pressione dell’Austria), era incorso nella censura governativa. Allo stesso modo, non mancò mai di offrire il suo sostegno agli esuli politici, come mostra la corrispondenza con l’amico Orioli o con Alessandro Poerio.
La sua opera fu riconosciuta dai contemporanei quale pietra miliare nella storia della nascente egittologia. Il grande egittologo tedesco Carl Richard Lepsius, che a Pisa ne fu allievo, nella celebre Lettre à m. le professeur H. Rosellini sur l’alphabet hiéroglyphique del 1837 disse dei Monumenti: «[la Grammaire égyptienne di Champollion] sarà per sempre l’opera fondamentale della filologia egiziana, così come la descrizione dei Monumenti dell’Egitto e della Nubia lo sarà per l’archeologia egiziana intesa nel senso più ampio del termine».

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