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mercoledì 24 luglio 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 24 luglio.
Il 24 luglio 1882 muore Carlo Mayr.
Nacque a Ferrara il 3 ott. 1810 da Giuseppe e da Maddalena Beltramini. Il padre discendeva da una famiglia originaria della Baviera e di condizione piuttosto agiata giunta in Italia all’inizio del XVIII secolo.
Studente molto brillante, Mayr frequentò l’Archiginnasio di Ferrara per poi laurearsi in giurisprudenza con il massimo dei voti e intraprendere, dal 1831, la professione legale con grande successo. Quand’ancora frequentava le scuole superiori, entrò in contatto con alcuni esponenti della carboneria e non molto tempo dopo si affiliò alla Giovine Italia. Sempre nel 1831 partecipò ai moti scoppiati nei Ducati di Parma e Modena e poi estesisi alle limitrofe Legazioni pontificie. Fu proprio in quel periodo che comprese quanto fosse importante l’instaurazione di un regime rispettoso della libertà e dei diritti degli individui. Perciò, da avvocato, fu sempre pronto a difendere in tutti i tribunali dello Stato patrioti e liberali e anche per questo fu presto sottoposto ad attiva sorveglianza da parte della polizia cittadina.
Nel 1848, allo scoppio dei moti, era maggiore della guardia civica, corpo per il cui mantenimento insieme con il cugino Francesco Mayr si era battuto contro il legato pontificio, il cardinale G. Ugolini. In particolare aveva fatto parte di una commissione che aveva trattato con gli Austriaci e condotto in porto la resa delle fortezze di Ferrara e Comacchio.
Non prese parte attiva ai combattimenti, segnalandosi piuttosto come preside della sua città, veste nella quale promosse l’emancipazione degli ebrei dal ghetto; successivamente fu membro della giunta provvisoria costituitasi dopo l’uccisione di Pellegrino Rossi. Inoltre, verso la fine del giugno 1848 aveva assunto la direzione provvisoria della Gazzetta di Ferrara, «foglio politico, scientifico e letterario», di orientamento liberale, fondato qualche settimana prima da F. Mayr, allora a Roma quale membro del Consiglio dei deputati. Tramite la fittissima corrispondenza intrattenuta con lui, Carlo era sempre al corrente di quanto avveniva nella capitale.
Ben lungi dall’apprezzare la svolta moderata di Pio IX, il Mayr mantenne viva l’agitazione a Ferrara come vicepresidente del Circolo nazionale chiedendo tra l’altro nel novembre 1848 un rafforzamento della guarnigione cittadina contro probabili ritorni austriaci. Nel gennaio del 1849 a Ferrara si insediò una commissione di governo formata da tre membri, tra cui il Mayr. Nelle elezioni del 21 gennaio, con una votazione plebiscitaria – in cui risultò il primo eletto – entrò come deputato nell’Assemblea costituente di quella che di lì a poco sarebbe divenuta la Repubblica Romana, nel cui governo, per volere di G. Mazzini, ricoprì la carica di ministro dell’Interno. Quando le truppe francesi invasero il territorio della Repubblica, non esitò a imbracciare le armi e, per il suo valore, venne dichiarato dall’Assemblea romana «benemerito della Patria» e fu insignito di una medaglia d’oro.
Al ritorno del papa Mayr fu costretto all’esilio: dopo essere stato in Grecia, Turchia, Inghilterra, Francia e Toscana, si stabilì in Piemonte, dove – ormai abbandonate le idee repubblicane – fu nominato presidente del Comitato generale di emigrazione. Nel 1859, allo scoppio della guerra con l’Austria, tornò nella sua città e fu nominato intendente di Forlì, dove era necessario contenere le spinte repubblicane. Venne poi chiamato come ministro dell’Interno da L.C. Farini, capo di un governo provvisorio che resse l’Emilia prima che fosse annessa al Regno sabaudo.
Deputato all’Assemblea delle Romagne, il M. fu relatore della proposta di annessione al Piemonte e, ottimo organizzatore, fu il regista della prima visita ufficiale di Vittorio Emanuele II a Napoli, tanto che il re ne lodò pubblicamente l’operato. Alle elezioni per la VII legislatura (1860) – l’ultima del Regno di Sardegna – risultò eletto deputato per il collegio di Ferrara, ma l’elezione fu annullata, essendo egli allora intendente generale di Bologna, posto dove lo aveva voluto C. Cavour. La legislatura, però, durò solo pochi mesi; nella successiva (1861) fu rieletto nello stesso collegio al ballottaggio, con 300 voti su 387 votanti.
La sua attività di parlamentare lo portò a occuparsi in prevalenza di problemi giuridici: per esempio intervenne con decisione nei dibattiti sull’abolizione di quanto ancora restava del sistema feudale. Su tale argomento parlò una prima volta il 14 febbr. 1861, sostenendo l’urgenza dell’approvazione di una legge sulla possibilità di affrancare l’enfiteusi in sostituzione di quella sarda allora applicata nel Regno, che riteneva «improvvida, […] cattiva per giudizio universale». Il 10 maggio 1861, nel dibattito sull’abolizione dei vincoli feudali in Lombardia, sollecitò la rapida approvazione di un’unica disciplina di riforma per tutto il territorio nazionale. Nella seduta del 30 apr. 1861 presentò un’interpellanza al ministro guardasigilli, G.B. Cassinis, riguardo la necessaria riforma dei codici. Secondo il M., infatti, erano molteplici i problemi che accompagnavano l’estensione dei codici sardi a tutto il territorio nazionale: le «mutate condizioni politiche», infatti, non li rendevano più adatti a soddisfare le esigenze della popolazione, che «sopportava questo stato anormale ed ibrido della legislazione con impazienza, […] credendolo provvisorio, e desiderava di sortirne il più presto possibile». Occorreva, a suo dire, una riforma radicale, non essendo più possibile procedere all’approvazione di leggi speciali per le singole province; e, a evitare un lavoro di scarsa qualità, la Camera, dettati i principî fondamentali, avrebbe dovuto nominare commissioni di esperti con il compito di redigere un testo di legge da sottoporre poi all’approvazione del Parlamento. Il M. era anche convinto che fosse urgente abolire qualsiasi vincolo che limitasse la libera circolazione della proprietà.
Nel 1863 motivi di salute lo costrinsero a rassegnare le dimissioni, che la Camera accettò nella seduta del 29 gennaio. In verità era ormai assorbito dalla carica di prefetto (di provenienza politica) che ricoprì ininterrottamente dal 1859 al 1877 e che lo vide destinato a varie sedi. Cominciò come intendente a Forlì nel 1859 e come intendente generale a Bologna (1860-61) nella delicata fase delle annessioni. Come prefetto fu poi destinato a Caserta (1861-64), Alessandria (1864-67), Genova (1867-72), Venezia (1872-76) e infine, su designazione della Sinistra da poco giunta al potere, a Napoli (1876-77). Delle esperienze fatte come suddito pontificio gli era rimasta una fortissima avversione verso il ceto ecclesiastico; tale sentimento, una volta a capo della suddette province, indirizzò molti dei suoi atti amministrativi, inducendolo a curare in particolare il ricambio di funzionari e impiegati pubblici (a Caserta mise uomini di provata fede liberale nei posti chiave della prefettura) e intervenendo – anche attraverso la manipolazione delle liste degli iscritti al voto – nel voto municipale. Non sempre questa azione ebbe successo: a Venezia, per esempio, i clericali vinsero sia nel 1873 sia nel 1874; ma questo non fece che aumentare la sua fedeltà alle istituzioni e il bisogno di difenderle dagli attacchi della reazione.
Meno accanimento sembra ponesse nel contrastare i fenomeni eversivi. Come prefetto di Genova, nel 1870, evitò l’arresto di Mazzini, arrivando anche a domandare all’allora presidente del Consiglio, G. Lanza, quale fosse il titolo giuridico che giustificasse tale provvedimento. Lanza rispose in modo sprezzante, definendo Mazzini il responsabile di tutte le sommosse repubblicane, e ordinò di indagare sul comportamento negligente del Mayr. Quando Mazzini fu poi arrestato e condotto alla fortezza di Gaeta, Mayr continuò, comunque, a interessarsi al suo caso.
Due anni più tardi, al momento della morte di Mazzini, il Mayr, che era ancora prefetto della città ligure, gestì con grande efficienza la non facile emergenza dei funerali. Tuttavia, come osservato da A. Grilli, con gli anni era cambiato: in una lettera al figlio Scipione del 17 marzo 1872 parla della morte di Mazzini limitandosi a deprecarne l’uso strumentale fattone dai partiti estremisti, senza alcuna partecipazione emotiva e lamentando, anzi, i fastidi che aveva dovuto subire.
Commendatore e membro dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro fin dal 1861, il 6 dic. 1868 era stato nominato senatore per la 5ª e la 17ª categoria. La sua attività all’interno della Camera alta fu, però, piuttosto modesta: le sole energie che vi spese furono volte allo snellimento degli impedimenti burocratici che non poco complicavano l’attività del Senato. Quando cessò dall’incarico di prefetto (30 ott. 1877) fu nominato presidente di sezione del Consiglio di Stato.
Carlo Mayr morì a Roma, il 24 luglio 1882.
Sposato con una Bertelli, fu padre di tre figlie e di Scipione, militare di carriera che, dopo aver preso parte alle guerre del Risorgimento, fu anche scudiero onorario di Umberto I.

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