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sabato 11 novembre 2023

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è l'11 novembre.
L'11 novembre 1918, alle 11, con la firma dell'armistizio da parte della Germania, si conclude la prima guerra mondiale.
Dopo cinque lunghi anni di una sanguinosa ed insensata guerra, la Germania guglielmina chiedeva, agli alleati, l’armistizio. La più efferata e spaventosa guerra della storia dell’umanità poteva considerarsi conclusa.
Sin dall’agosto 1914 la maggior parte degli stati del mondo erano scesi in campo: da una parte, gli imperi centrali, Impero Tedesco, Austro-ungarico ed Ottomano, dall’altra parte Impero Russo, Francia ed Inghilterra (in seguito anche Stati Uniti ed Italia).
A questo punto iniziava forse l’opera più difficile ed ardua di tutta la guerra: stabilire, a tavolino, i nuovi confini degli stati partecipanti, punendo doverosamente quei paesi, Germania in testa, che erano considerati i veri colpevoli di quell’orrenda carneficina che è passata alla storia come prima Guerra Mondiale (non dimentichiamoci a questo proposito che erano stati proprio gli austriaci ed i tedeschi ad innescare l’escalation di dichiarazioni di belligeranza che costituiranno gli schieramenti in campo).
Quegli 8 milioni e mezzo di uomini, di tutte le nazionalità e di tutti i ceti, che non sarebbero mai più tornati alle loro case, famiglie, mogli, figli, e quei 21 milioni di feriti, la maggior parte dei quali rimase invalido a vita, come segnato per sempre, pesavano infatti sulle coscienze di tutti.
Le conferenze di pace iniziarono nel 1919 e portarono alla stesura di cinque trattati.
La situazione più dura venne conferita alla Germania: l’impero, alla fine della guerra, cadde di schianto, il Kaiser costretto alla fuga. Venne subito proclamata la repubblica. Le successive condizioni furono indicibili: perdita dell’Alsazia-Lorena, cessione dei bacini della Saar alla Francia, cessione dello Schleswig alla Danimarca, smilitarizzazione della Renania, creazione del “corridoio di Danzica”, riduzione dell’esercito a 100000 uomini, cessione delle colonie, spartite tra i vincitori, e danni di guerra per 132 miliardi di marchi in oro, una cifra spaventosa e non certo raggiungibile dalla fragile economia postbellica tedesca.
La lunga lista delle condizioni servono a far capire come vennero considerate una cocente umiliazione per qualsiasi tedesco, e come facilmente vennero utilizzate, negli anni ‘20/’30, dal partito nazionalsocialista per accaparrarsi una buona fetta del consenso popolare.
In confronto l’Impero Austro-Ungarico fu trattato col guanto di velluto: anche qui il Kaiser fuggì poco dopo l’armistizio, lasciando il paese in mano ai repubblicani. L’antico stato Asburgico venne letteralmente spezzato in quattro nuove entità nazionali:
l’Austria, ridotta ad un paese di 6 milioni di abitanti, con una sproporzionata capitale, chiaramente gravitante verso la Germania; l’Ungheria divenne indipendente; la Jugoslavia, nuovo stato creato praticamente dal nulla e posto nei territori balcanici prima controllati dall’Impero; la Cecoslovacchia, altra curiosa “invenzione” di Saint-Germain, che incorporò due nazioni completamente diverse (l’industrializzata Boemia e l’agricola Slovacchia).
Sul confine orientale, per penalizzare l’Urss (nuovo stato socialista sorto dalle ceneri dell’Impero Zarista dopo la rivoluzione del ’17) e creare una zona cuscinetto con l’Europa, vennero formalmente riconosciute indipendenti le repubbliche baltiche e la Finlandia, oltre che la già citata Polonia per il corridoio di Danzica.
Anche l’Impero Ottomano infine venne penalizzato, anche se in maniera più blanda: perdette infatti molte regioni le quali, escludendo Siria, Iraq, Libano e Palestina, in massima parte riconquistò pochi anni dopo. La conseguenza più importante fu però la fine dell’egemonia Ottomana che portò alla proclamazione della repubblica Turca.
Quindi, ricapitolando, quattro grandi e potenti imperi (tre dei quali millenari) non sopravvissero a questa prova di forza, ma dovettero soccombere tra le pieghe della Storia.
Al loro posto si affacciarono sulla scena europea e mondiale nuovi stati sovrani, ombre dei predecessori, ma che conservarono il risentimento ed il rimorso nei confronti di chi aveva inflitto loro quest’umiliazione. In questo contesto era impossibile non prevedere future tensioni e malumori da parte di chi, Germania in testa, era stato più duramente penalizzato di altri. Il fatto che però fece capire veramente quanto errarono nelle valutazioni coloro che avevano stilato le condizioni di pace fu che non solo tra i vinti, ma anche tra i vincitori, esistessero malumori e proteste. Si fa qui riferimento all’Italia, che non ottenne quanto sperato e promesso alla vigilia dell’entrata in guerra, e questa mancanza spianerà la strada a malumori sociali e popolari che aiuteranno, negli anni ’20, il Fascismo ad affermarsi tra la popolazione comune.
Alle potenze vincitrici spettava un compito davvero difficilissimo: ricucire le maglie di un’Europa dilaniata per cinque anni dalla guerra più cruenta che l’uomo ricordi, ma la sensazione concreta è che si sarebbe potuto, ma soprattutto si sarebbe dovuto, fare meglio.
Se la Società delle Nazioni fosse stato un organismo credibile ed autoritario, se alla Germania fossero state dettate condizioni meno dure (e fu così soprattutto per demerito dei francesi, che avrebbero voluto distruggere per sempre l’antico nemico, ma che da qui ad una ventina d’anni se lo ritroveranno sul loro stesso suolo) nella prospettiva di costruire un futuro di pace e solidarietà tutti insieme, se all’Italia fosse stato concesso quanto promesso nel ‘15 e se l’Austria fosse rimasta uno stato forte e deciso, probabilmente non si sarebbe scatenata la seconda Guerra Mondiale, vera e propria valvola di sfogo delle tensioni sopraccitate, e l’Europa non sarebbe stata attanagliata nei successivi decenni dalla morsa dei regimi totalitari.
Ma le vie della Storia sono imperscrutabili: magari un destino peggiore, in quel caso, avrebbe colpito l’Europa. Una cosa è certa: da qualche parte ci sono 8,5 milioni di persone che pesano come macigni sulle scelte e sulle decisioni, ancora oggi, degli stati europei .

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