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mercoledì 25 novembre 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 25 novembre.
Il 25 novembre 2004 l'allora Presidente Carlo Azeglio Ciampi, con il consenso dell'allora guardasigilli Roberto Castelli, concede la grazia a Graziano Mesina, detto Grazianeddu, il più famoso bandito della Sardegna.
Quando finisce per la prima volta in carcere, Graziano Mesina ha appena compiuto 18 anni. Una sera di maggio del 1960, per festeggiare un gruppo di ragazzi di Orgosolo che partivano per la visita di leva, gli amici, per strada, sparano con le pistole contro i lampioni. C'è anche Graziano, che viene arrestato per porto abusivo d'armi e danneggiamenti.
«Mi chiusero in camera di sicurezza. C'era una porta massiccia con uno spioncino che ogni tanto si apriva. Un bugliolo di legno. Una branda. La mattina chiesi di uscire per i bisogni fisiologici e mi accompagnarono al bagno. Con i miei scarponi da pastore tirai tre pedate alla porta. "Sta' calmo", mi disse, bonario, il carabiniere, e si allontanò fischiettando. Quella porta non voleva cedere. Era stata rimessa a posto da poco e resisteva. Mi accorsi che sotto la branda c'erano delle stecche di ferro. Ne usai una come un piede di porco. Ricavai una fessura, l'allargai. Il muro crollò. Uscii dal portone. In casa raccolsi pane e formaggio in una bisaccia. "Me la filo", dissi a mia madre»
Era la prima delle sue nove evasioni. I guai veri cominciano pochi mesi dopo. Il 4 luglio del 1960 viene sequestrato Pietrino Crasta, un commerciante di Berchidda, piccolo paese della Gallura. Il 12 luglio una lettera anonima segnala alla questura di Nuoro che in un posto vicino a Orgosolo, Lenardeddu, c'è la prigione con l'ostaggio. Quando carabinieri e polizia arrivano, di Crasta trovano solamente il cadavere. In prigione, accusati del rapimento, finiscono tre dei fratelli Mesina: Giovanni, Pietro e Nicola, insieme ad alcuni vicini di pascolo. Graziano viene scarcerato nel gennaio del 1961, ma la sera dell'antivigilia di Natale, convinto dell’innocenza dei fratelli, entra in un bar di Orgosolo e ferisce a colpi di pistola il pastore che ha accusato la sua famiglia del sequestro e dell'assassinio di Pietrino Crasta. Torna in cella dunque con l'accusa di tentato omicidio e viene rinchiuso nel carcere di Badu `e Carros, dal quale riesce ancora una volta a scappare. E' la sera del 6 settembre 1962.
Mesina fugge e raggiunge il Supramonte di Orgosolo. Intorno all’omicidio di Crasta ad Orgosolo si era accesa una vera e propria faida: regolamento di conti legato alla gestione del sequestro e ad accuse di collaborazionismo con i carabinieri e con la polizia. Massacrato dalle fucilate, cade, nell'ottobre del 1962, anche uno dei fratelli di Graziano, Giovanni.
Mesina entra in un bar alla ricerca dei colpevoli, e spara con un mitra. Alcuni avventori sorprendono Mesina alle spalle e lo stordiscono con un colpo di bottiglia. Graziano torna in galera, viene condannato a ventisei anni. L'omicidio e l'arresto vanno sulle prime pagine dei giornali sardi e finiscono anche nelle cronache dei quotidiani nazionali. E' l'inizio di una storia che porterà Mesina a diventare una sorta di icona del banditismo sardo, la personificazione del balente, impasto di protervia e di coraggio, di crudeltà e di lealtà, di calcolo egoistico e di altruismo che non attende compensi. La Sardegna di quegli anni è una terra povera. L'attività prevalente è la pastorizia. Una pastorizia transumante, perno economico di un ordine sociale che affonda le sue radici nella storia millenaria delle zone interne dell'isola. Ma la Sardegna è anche terra che continua ad essere sfruttata e che non comprende lo stato di diritto positivo che gli viene imposto. Mesina è un balente, uno che alle leggi di uno stato che non riconosce non si piega, uno che alla prigione non si rassegna, uno che la ribellione trasformerà in capo indiscusso dell'Anonima sequestri.
Nel 1992, durante la vicenda del sequestro del piccolo Farouk Kassam, Graziano Mesina interviene in Sardegna durante uno dei suoi permessi, con la funzione di mediatore, nel tentativo di trattare la liberazione con il gruppo di banditi sardi responsabili del sequestro del piccolo ismaelita rapito a Porto Cervo il 15 gennaio e liberato a luglio. Le circostanze della liberazione non sono mai state del tutto chiarite. Alla versione della polizia e del governo, che ha sempre negato che fosse stato pagato un riscatto, si contrappone quella di Mesina ribadita in alcune interviste, secondo cui la polizia pagò circa un miliardo di lire per il rilascio dell'ostaggio, aiutando la famiglia del bambino a soddisfare le richieste dei rapitori.
Dopo la grazia Mesina lascia il carcere di Voghera ma rimane agli arresti domiciliari per 11 anni, senza mai ottenere permessi (neanche in occasione della morte della madre), per fare ritorno da uomo libero nella sua Orgosolo.
Complessivamente Mesina ha trascorso 40 anni in carcere, quasi 5 da latitante e 11 agli arresti domiciliari.
Dopo la liberazione, Mesina, tornato nella natia Orgosolo, ha intrapreso la carriera di guida turistica, accompagnando i turisti nell'esplorazione delle zone più impervie della zona, spesso teatro delle sue latitanze e delle rocambolesche fughe. Come per esempio sul Supramonte. Insieme ad altri due soci, nel 2007 ha aperto un'agenzia di viaggi a Ponte San Nicolò, in provincia di Padova.
Il 6 luglio 2015 i carabinieri del nucleo investigativo di Nuoro hanno notificato all'ex primula rossa del Supramonte un avviso di conclusa indagine per un omicidio di 41 anni fa.
Stando alle prime indiscrezioni si tratta del delitto di Santino Gungui, classe 1937, ucciso a Mamoiada a colpi di fucile calibro 16 nella notte tra il 24 e il 25 dicembre del 1974.
Gli inquirenti (l'inchiesta è coordinata dalla Procura di Nuoro) sarebbero riusciti a far luce su questo vecchio episodio grazie alle intercettazioni che due anni prima hanno portato in carcere Mesina con l'accusa di associazione per delinquere, traffico di stupefacenti e un'altra lunga serie di reati.
Nel 1974 Grazianeddu era in carcere ma - stando a quanto emerso - avrebbe commissionato il delitto di Santino Gungui per punirlo del fatto che si fosse tenuto dei soldi che avrebbe invece dovuto consegnare a suoi uomini di fiducia.
E di questo, prima del suo ultimo arresto, l'ex bandito di Orgosolo si sarebbe vantato con i complici nel traffico di droga senza sapere di essere intercettato.
Il 12 dicembre 2016 viene condannato a 30 anni di reclusione dal tribunale di Cagliari, che dispone altresì la revoca del provvedimento di grazia. Il 7 giugno 2019 viene tuttavia scarcerato per decorrenza dei termini. La Cassazione rigetta il ricorso del legale, ma il 2 luglio 2020, i carabinieri recatisi presso l'abitazione dell'uomo per notificare il verdetto e ricondurlo in carcere, non trovano nessuno. Mesina, a 78 anni, è nuovamente latitante.

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