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domenica 10 maggio 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 10 maggio.
Il 10 maggio 1933 avvenne nella piazza di Berlino Opernplatz il tristemente noto rogo dei libri.
Goebbels lanciò la sua campagna propagandistica contro i libri "non tedeschi" e contro la cosiddetta "arte degenerata". Si trattava di una iniziativa senza precedenti, che rivelava, se mai ve ne fosse stato ancora bisogno, il grado di imbarbarimento della vita politica e culturale tedesca dopo l'avvento del regime nazista. L'intento dichiarato di Goebbels era quello di cancellare qualunque testimonianza delle «basi intellettuali della Repubblica di Novembre», eliminando fisicamente le tracce più rilevanti che gli intellettuali tedeschi del XIX e del XX secolo avevano dato allo sviluppo della moderna cultura europea.
Nei roghi finirono migliaia di opere letterarie e artistiche di autori che secondo la rozza e incolta ideologia del nuovo regime avevano "corrotto" e "giudaizzato" una presunta "cultura tedesca" pura: opere di autori lontani nel tempo, come Heinrich Heine (1797-1856) e Karl Marx (1818-1883), ma soprattutto dei grandi intellettuali del periodo weimariano: gli scrittori Thomas Mann, Heinrich Mann, Bertolt Brecht, Alfred Döblin, Joseph Roth, i filosofi Ernst Cassirer, Georg Simmel, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Max Horkheimer, Ernst Bloch, Ludwig Wittgenstein, Max Scheler, Hannah Arendt, Edith Stein, Edmund Husserl, Max Weber, Erich Fromm, Martin Buber, Karl Löwith, l'architetto Walter Gropius, i pittori Paul Klee, Wassili Kandinsky e Piet Mondrian, gli scienziati Albert Einstein e Sigmund Freud, i musicisti Arnold Schönberg e Alban Berg, i registi cinematografici Georg Pabst, Fritz Lang e Franz Murnau e centinaia di altri artisti e pensatori che avevano gettato le basi intellettuali dell'intera cultura del Novecento.
Diventata "Judenrein" ("depurata dagli ebrei") e depurata da quella che i nazisti ritenevano essere l'"influenza giudaica" sull'"intellettualismo esagerato", la Germania hitleriana divenne, dopo il 1933, un vero e proprio deserto culturale. I pochissimi intellettuali che, per una iniziale simpatia verso il nuovo regime, restarono in Germania (è il caso di Martin Heidegger, uno dei più importanti filosofi del Novecento), videro presto spegnerla e dovettero rassegnarsi ad una cieca neutralità, chiudendo occhi e orecchie per non vedere e non sentire quanto accadeva intorno a loro. I migliori tra gli intellettuali tedeschi se ne andarono dal Paese, spesso precipitosamente, talvolta costretti (è il caso di Einstein e di Freud). Ebbe inizio, nel 1933, il più massiccio esodo intellettuale che la storia moderna abbia conosciuto: una vera e propria diaspora dell'intelligenza tedesca.
La piazza è stata in seguito ribattezzata nel 1947 dalle autorità della RDT (Repubblica Democratica Tedesca) August Bebel Platz, in onore del cofondatore del Partito operaio socialdemocratico, per non ricordare il famigerato rogo del 33.
Al centro della piazza vi è tutt’oggi un pannello di vetro nel pavimento che lascia intravedere una camera piena di scaffali vuoti. Accanto è posta una targa che riporta una citazione di Heinrich Heine “Chi brucia i libri, presto o tardi arriverà a bruciare esseri umani” . Il poeta tedesco, nato a Düsseldorf  il 13 dicembre 1797 e morto a Parigi il 17 febbraio 1856, era di origini ebraiche e fu anche un importante filosofo collocato nelle file della sinistra hegeliana. Le sue lungimiranti parole si possono ora leggere attraverso quella lastra di vetro su di una targa ricordante l’accaduto.

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