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venerdì 6 giugno 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 6 giugno.

Il 6 giugno 1453, secondo la tradizione cattolica, ha luogo il Miracolo Eucaristico di Torino.

Questa storia inizia a metà del 1400 a Exilles, un paese della Val di Susa in cui è sita una poderosa fortificazione. Allora non era territorio sabaudo, bensì francese: era uno di quei paesi di confine che le vicende storiche portano a fortificarsi per respingere gli assalti ora di una ora dell'altra fazione.

Perciò spesso truppe piemontesi e savoiarde saccheggiavano la cittadina. E’ in questo incerto contesto che la notte del 3 giugno 1453 alcuni ladri entrarono nella chiesa del paese di San Pietro Apostolo e tra le altre cose sottrassero l’ostensorio custodito nel tabernacolo e nel cui interno era contenuta l’ostia consacrata. Dopo aver nascosto la refurtiva in un sacco di granaglie posto su di un mulo si diressero verso Torino dove intendevano venderla. E’ difficile capire se i ladri fossero professionisti che avevano approfittato della confusione o occasionali furfanti facenti parte di truppe mercenarie e irregolari. Attraversato l’incerto confine giunsero in Piemonte dove quei giorni vi era scarsa attività di polizia poiché l’epidemia di peste del 1451 (endemica in quegli anni ) serpeggiava e le guardie daziarie guardavano con riluttanza le merci in transito per la paura di contagiarsi con oggetti infetti. Cosi superarono facilmente il posto di controllo di Susa per poi nascondersi in un bosco nei pressi di Bussoleno per far riposare e pascolare l’animale.

Per sicurezza  transitarono per disagevoli viottoli campestri per evitare incontri con le guardie a cavallo. Sul loro mulo vi era una refurtiva che se scoperta li avrebbe condotti a morte certa con l’accusa di convivenza con il diavolo avendo recato offesa al corpo di Gesù. Evitarono la stazione di posta delle diligenze di Rivoli luogo di compravendite, poiché ritennero pericoloso trattare con i  ricettatori del luogo. Torino allora era una città rurale di circa 5000 abitanti dove maiali e galline giravano per le strade insieme a mandrie mucche e greggi di pecore. Ancora circondata dalle mura di origine romana conservava vie tortuose e selciate. Quattro erano le porte principali: Porta Castello già Decumana o Pretoria  (conglobata ora nel Palazzo Madama), Porta Segusina, posta all’incrocio fra via Garibaldi e Corso Siccardi, Porta Marmorea, situata all’incrocio fra via Santa Teresa e Arsenale e la Porta Palatina detta anche Doranea perché guardava verso la Dora, l’unica ancora esistente. Era un caldo pomeriggio quando entrarono in città da Porta Segusina. Percorsero un tratto di via Dora Grossa (l’attuale via Garibaldi),  e raggiunsero piazza San Silvestro o piazza del grano (oggi Piazza Corpus Domini).

Era il 6 giugno del 1453, qualche minuto prima delle cinque pomeridiane. A quel punto il mulo si bloccò sul posto ed a nulla valsero i tentativi di far rialzare l’ animale da parte dei ladri. Mentre la bestia subiva una bella dose di bastonate senza batter ciglio dal sacco di granaglie uscirono diversi oggetti preziosi  fra i quali l’ostensorio che miracolosamente cominciò a sollevarsi da terra fino all’ altezza del secondo piano delle case che circondavano la piazza.  

L’ostia sembrava un piccolo sole ed emanava raggi abbaglianti. Mentre si verificava questo singolare fenomeno, un ragazzo che si appurò fosse un chierichetto in duomo corse ad avvertire il vescovo Monsignor Ludovico dei marchesi di Romagnano che, dopo aver prelevato  un calice dalla cattedrale di San Giovanni, si diresse velocemente presso Piazza del Grano. Intanto l’ostia che era uscita dall’ostensorio ancora sospeso in aria lentamente scese verso il basso entrando nel calice che Monsignor Romagnano stringeva fra le mani. Grida e canti di gioia  segnarono la fine dello straordinario avvenimento. Approfittando della calca i ladri riuscirono a dileguarsi, prima di essere scoperti. Al miracolo assistettero molte persone che senza indugi confermarono il fatto. Si hanno i nomi di numerosi testimoni del miracolo registrati in un documento autenticato da un notaio e nell’archivio della confraternita dello Spirito Santo si conserva una relazione del fatto. Per ricordare lo straordinario evento fu posto sul sito un pilone commemorativo. Negli anni a seguire sul posto si registrarono numerosi miracoli. Nel 1510 il pilone venne demolito e fu costruita una chiesa, opera affidata all’architetto Michele Sanmicheli (1484-1559). L'oratorio del Sanmicheli, di piccole dimensioni (tre arcate di lunghezza totale inferiore a 11 metri, 6 metri e mezzo di altezza e 3,30 di profondità, con un altare centrale) venne completato nel 1529, per essere poi distrutto nel 1609 per far posto a una chiesa più grande.

Infatti per sciogliere un voto fatto dalla città di Torino in occasione dell’ epidemia di peste del 1598, nel 1603 si diede inizio alla costruzione dell’attuale basilica. Il cantiere fu affidato ad Ascanio Vitozzi che già stava ridisegnando Torino per volontà del duca Carlo Emanuele I di Savoia. L’interno ad unica navata termina con il maestoso altare maggiore realizzato nel 1664 da Francesco Lanfranchi.

 Suggestivo è l’utilizzo di marmi rossi e neri con inserti di bronzo dorato e colonne tortili. Alla facciata in marmo scandita da tre ordini e decorate con statue di Bernardo Falconi lavorò anche Amedeo di Castellamonte.  Quasi al centro della chiesa, circondata da una cancellata di ferro battuto, si trova la lapide scritta in latino dettata da Emanuele Thesauro (1592-1675) e che ricorda il miracolo dell’ ostia:

Qui cadde il giumento che trasportava

Il corpo divino

Qui la sacra ostia scioltasi dai lacci

Si librò nell'aria

Qui nelle mani supplichevoli dei torinesi

Discese clemente

Qui dunque il luogo sacro al prodigio

Memore supplice chino

Venera e temi

Il 6 di giugno dell'anno del Signore 1453

Il futuro Santo Giuseppe Benedetto Cottolengo il 2 settembre del 1827 in questa chiesa ebbe l’intuizione dalla quale scaturì l’istituzione indissolubilmente legata al suo nome, cioè la Piccola Casa della Divina Provvidenza; egli iniziò la sua opera davanti alla chiesa in una casa detta della Volta Rossa.  A questa storia se ne è aggiunta un altra più recente: il calice in argento del suddetto miracolo che aveva raccolto l’ostia, dalla forma semplice, dotato di un’elegante bolla sullo stelo e un piede a base esagonale era conservato fino agli anni quaranta del novecento nella chiesa del Corpus Domini; fu nascosto da un premuroso sacerdote (il prevosto del capitolo del duomo, il canonico Don Luigi Benna),  che ritenne di metterlo al sicuro. Individuò pare un punto sicuro del Duomo di Torino, fece scavare in una parete una piccola nicchia sufficiente a contenere la reliquia, poi fece murare il nascondiglio. Nel dicembre del 1944 il sacerdote venne colto da morte improvvisa per polmonite senza aver rivelato a nessuno, almeno fra quanti oggi potessero ricordarlo, il punto in cui il calice era stato occultato e cosi da allora non si ha più notizia di dove sia finito o dove sia stato nascosto. Questo è Il "Graal" torinese, che aspetta ancora di essere ritrovato. Speriamo un giorno di poterlo ritrovare.

giovedì 5 giugno 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 5 giugno.

Il 5 giugno 1945 viene fucilato a Roma il criminale fascista Pietro Koch.

Pietro Koch nasce a Benevento il 18 agosto 1918.

Nella primavera del 1943 fu chiamato alle armi nel 2º reggimento Granatieri, ma dopo lo sbandamento nazionale si spostò a Firenze e si iscrisse al Partito Fascista Repubblicano ed entrò nel “Reparto Speciale di Sicurezza” di Mario Carità.

Si mise subito in evidenza con la cattura del colonnello Marino, già aiutante del generale di corpo d’armata Mario Caracciolo di Feroleto, l’ex comandante della V Armata che aveva tentato la difesa di Firenze. Caracciolo, uno dei pochi generali che si erano opposti ai tedeschi, si era rifugiato a Roma presso il convento vaticano di San Sebastiano, sotto tutela di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Il capitano delle SS di via Tasso, autorizzò Koch a violare il territorio Vaticano, così la sua banda, attraverso uno stratagemma e l’appoggio esterno delle SS, riuscì ad arrestare il generale.

Le SS, dopo averlo schedato lo lasciarono a Koch che lo trasferì a Firenze presso la sede della cosiddetta Banda Carità.

Il risultato di questa azione gli permise di avere le autorizzazioni dal capo della Polizia della RSI di Salò, Tullio Tamburini, per costituirsi un suo reparto speciale. Una volta costituita la squadra speciale, che prese la denominazione ufficiale di “Reparto Speciale di Polizia Repubblicana”, si aggregarono anche diversi elementi della Banda Carità fino ad arrivare a circa una settantina di unità tra i quali anche dei sacerdoti. La formazione ottenne alcuni rapidi e clamorosi successi con irruzioni e perquisizioni nelle sedi della Chiesa. La sede del reparto si attestò nella palazzina di via Principe Amedeo 2, presso la pensione Oltremare, a Roma.

Tra gennaio e maggio 1944 la banda decimò le file degli antifascisti di Roma, tra i quali ben 23 esponenti del Partito d’Azione, che subì la pressione maggiore, di cui 21 furono fucilati alle Fosse Ardeatine

Quando, nel giugno del 1944, Roma fu liberata dagli Alleati Koch si unì al convoglio di Eugen Dollmann diretto a nord mentre la sua banda fuggì a Milano. Il Reparto Speciale, inquadrato nelle SS italiane, si insediò presso Villa Fossati (tra le vie Paolo Uccello e Masaccio), che in città sarà nominata come “Villa Triste”, attrezzandola con filo spinato, riflettori e sirene. Alcuni locali furono adibiti a stanze di tortura. Quasi tutti i componenti di Roma raggiunsero Milano, solamente alcuni furono arrestati e condannati a morte durante la loro fuga, come il questore Pietro Caruso. A Milano si inserirono anche nuovi elementi, come l’attore Osvaldo Valenti (l’uomo di collegamento fra Koch e il principe Borghese della Xª MAS), il conte-industriale Guido Stampa e altre donne (Lina Zini e Camilla Giorgiatti). (Dalla deposizione testimoniale di Luchino Visconti agli atti del processo Koch)

Koch, attraverso numerosi arresti e interrogatori brutali, ottenne in breve tempo il nome di Franco Calamandrei, Luigi Pintor, Lisa Giua Foa e nel 1944 la banda arrestò anche Luchino Visconti. Tutti loro sono stati ferocemente torturati, tranne Lisa Giua perché incinta. I metodi di tortura e le tecniche d’interrogatorio della banda divennero tristemente famosi e, vista la generalità di testimonianze concordi, quasi codificati:« Quando venni arrestato il Koch diede ordine che venissi fucilato nella notte. Per otto giorni, rinchiuso nel cosiddetto “buco” della pensione Jaccarino, attesi che la sentenza, continuamente confermata dall’aguzzino, fosse eseguita. Una sera Caruso  venne in visita alla pensione e Koch, per divertirsi un poco, gli mostrò due patrioti che avevano appena finito di subire la tortura. Successivamente venni trasferito a quello che nel gergo della Jaccarino veniva definito “l’ammasso”: uno stanzone fetido, con un po’ di paglia in terra. ».

(Dalla deposizione testimoniale di Luchino Visconti agli atti del processo Koch)

L'interrogatorio avveniva nella stanza di rappresentanza di Koch alla presenza di numerosi poliziotti; se un arrestato non parlava, cioè non rivelava chi fosse e quale fosse la propria attività politica, le percosse erano immediate con: lo schiaffo scientifico, la capriola (lancio della vittima contro il muro), la corsa (un percorso da denudato dalla doccia alle celle tra due file di poliziotti che colpivano). Perché la violenza mantenesse vigore e forza gli agenti si davano il cambio; le percosse avvenivano con fruste di cuoio, con nervi di bue, con i caricatori (carichi delle cartucce); l’isolamento avveniva nel cosiddetto buco, cioè in locali angusti e soffocanti; la sospensione dei torturati: venivano legati con corde e issati in modo che il corpo non toccasse terra e lasciati così per ore; la doccia bollente: le vittime venivano denudate e spinte con manici di scopa sotto un getto d’acqua bollente; qualche testimonianza ha riferito anche dell’uso del manico di scopa come variante per violenze e abusi sessuali; la messinscena dell’esecuzione per terrorizzare le vittime: una vera esecuzione fermata all’ultimo momento. 

Tra gli indagati fascisti del Reparto speciale ci furono sia fascisti intransigenti come Roberto Farinacci, che fascisti moderati come il direttore de La Stampa Concetto Pettinato. Furono svolte dagli uomini di Koch anche indagini interne nei confronti dei membri della "Muti" che esercitavano una certa rivalità nei confronti della squadra speciale. Il gruppo dirigente fascista si sentì minacciato dall'autonomia di Koch e riuscì così ad avere l'avallo di Mussolini per smantellare la banda con un'azione di forza, condotta il 25 settembre 1944 proprio da parte della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, al comando del Questore Alberto Bettini. Secondo alcune fonti il reparto era implicato anche in un traffico di cocaina. Villa Fossati fu circondata, circa cinquanta componenti della banda vennero arrestati e fu sequestrato tutto il bottino accumulato nei mesi di attività. Il 17 dicembre 1944 Koch fu arrestato e rinchiuso al carcere di San Vittore a Milano. Successivamente, nonostante le proteste di Kappler, il Reparto fu smantellato. 

Con l’aiuto dei tedeschi, Koch riuscì ad evadere il 25 aprile 1945 e da Milano si spostò a Firenze, allo scopo di ricongiungersi con Tamara Cerri, che, dopo l’arresto a Villa Fossati, era stata liberata e aveva raggiunto la sua famiglia a Firenze, per essere nuovamente catturata dagli alleati. Avuta notizia dell’arresto, il 1º giugno si presentò alla questura del capoluogo toscano dichiarando: “Se avete arrestato Tamara Cerri perché vi dica dov’è Koch, potete liberarla. Koch sono io, arrestatemi”. Subito tradotto a Roma, fu processato dopo una rapida istruttoria di due giorni, con procedura d’urgenza.

Il processo si aprì il 4 giugno nell’aula magna della Sapienza, l’interrogatorio dell’imputato e le deposizioni dei testimoni dell’accusa (l’ex-questore Morazzini e il commissario di polizia Marittoli) e a discarico (Luchino Visconti, la cui deposizione finì invece per prodursi in un ulteriore capo d’accusa) occuparono due ore; la requisitoria del PM e l’arringa difensiva di Federico Comandini, nominato avvocato d’ufficio quale Presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma, presero circa mezz’ora. Alle 11:55 l’imputato fu condotto in camera di sicurezza e alle 12:17 rientrò in aula, dando la corte lettura del dispositivo della sentenza. Condannato alla pena capitale, fu giustiziato presso il Forte Bravetta alle ore 14:21 del 5 giugno 1945. 

La sua esecuzione fu filmata da Luchino Visconti.


mercoledì 4 giugno 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 4 giugno.

Il 4 giugno 1994 Marco Pantani vince la tappa Lienz - Merano del Giro d'Italia, la sua prima vittoria da ciclista professionista.

Il grande campione del ciclismo italiano Marco Pantani nasce il 13 gennaio 1970 a Cesena.

Vive a Cesenatico: esordisce come professionista il 5 agosto 1992 con la squadra "Carrera Tassoni", con cui correrà fino al 1996. La prima vittoria arriva nel 1994, al Giro d'Italia, nella tappa di Merano. Lo stesso anno Marco Pantani vince anche la tappa dell'Aprica, e il suo nome comincia a farsi conoscere.

Nel 1995 arriva la vittoria nella tappa di Flumsberg al Giro di Svizzera, ma sono le due tappe (Alpe D'Huez e Guzet Neige) al Tour de France a imporlo con forza all'attenzione del grande pubblico e dei media.

Anziché utilizzare il classico berrettino, Pantani corre con una bandana colorata sul capo: il mito del "Pirata" nasce lì, sulle salite del Tour.

Nello stesso anno vince il bronzo ai Campionati del mondo di Duitama in Colombia, ma è in agguato il primo dramma della sua carriera: il terribile incidente alla Milano-Torino. Le circostanze lo costringono a lunghe cure e a saltare un'intera stagione.

Torna nel 1997 e riprende le gare passando alla squadra Mercatone Uno. La sfortuna tuttavia sembra ancora perseguitarlo: una caduta al Giro d'Italia (25 Maggio, tappa di Cava dei Tirreni) lo costringe al ritiro. Si riprende in tempo per partecipare al Tour de France dove vince la tappa dell'Alpe D'Huez e di Morzine.

Il 1998 è l'anno di una straordinaria impresa: Marco Pantani, indomabile in salita, vince il Giro d'Italia (si impone nelle tappe di Piancavallo e Montecampione) e subito dopo vince il Tour de France. In Francia vince le tappe di Plateau de Beille e Les Deux Alpes, prima di arrivare al Parco dei Principi, a Parigi, da trionfatore in maglia gialla.

Con questa impresa Pantani entra a pieno merito nell'élite dei campionissimi che hanno vinto Giro e Tour nello stesso anno.

Il 1999 comincia alla grande: Pantani sembra destinato a dominare ancora in Italia e all'estero. Al Giro si prende la maglia rosa e vince quattro tappe (Gran Sasso, Oropa, Pampeago, Madonna di Campiglio).

Proprio sulle rampe della strada che sale da Pinzolo verso la località delle Dolomiti di Brenta se ne va solo, alla sua maniera, con uno scatto secco, per tutti irresistibile. Sarà l'ultimo vero, romantico, gesto atletico del vero Marco Pantani.

Il mattino successivo alla trionfale vittoria di Madonna di Campiglio, Pantani viene fermato: un controllo anti-doping rivela che il suo ematocrito è troppo alto, fuori norma.

Qui inizia il dramma personale dell'uomo Marco Pantani: l'atleta si proclama innocente, lascia la carovana del Giro che credeva già suo; la corsa riparte senza di lui.

La determinazione dell'atleta Pantani si rivelerà pari alla fragilità dell'uomo. Pantani è completamente distrutto. Inizia una parabola discendente che vede Pantani incapace di frenare la propria discesa verso una crisi interiore. La fatica di ritrovarsi è insostenibile.

L'inattività agonistica che va dal 5 giugno 1999 sino al 22 febbraio 2000 e dal 24 febbraio al 13 maggio 2001, sarà probabilmente la sua condanna. Tuttavia Marco non rinuncia: prova a reagire e a tornare come prima.

Rientra per il Giro del Giubileo con partenza da Roma, ma non riesce a terminarlo. Partecipa anche al Tour e vince le tappe del Mont Ventoux, cima leggendaria, e di Courchevel.

Poi ancora incertezze sul futuro. Dimostra di voler tornare a buoni livelli e chiude il suo ultimo Giro, nel 2003, al quattordicesimo posto, malgrado l'ennesima sfortuna di una brutta caduta.

Non partecipa al Tour successivo e si ricovera in una clinica vicino Padova, a Giugno, per disintossicarsi e per curare le sue frequenti crisi depressive.

Viene trovato morto il giorno 14 febbraio 2004 in un residence di Rimini, nel quale da alcuni giorni si era trasferito; la causa: overdose di eroina. La Gazzetta dello Sport titolava in modo semplice e rispettoso: "Se n'è andato". Il dramma dell'uomo e la sua tragica fine incontrano l'immenso cordoglio del mondo sportivo - e non solo - che unanimemente si trova d'accordo nel voler ricordare del grande campione le gesta sportive, le emozioni e l'orgoglio.

Il 4 giugno 2005 è stata inaugurata in piazza Marconi a Cesenatico la statua in bronzo, a grandezza naturale, che ritrae il campione Marco Pantani mentre pedala in salita. A causa di una legge datata 1923 che non permette di intitolare monumenti a personaggi scomparsi da meno di 10 anni, la statua non riportava alcuna targa. In seguito il monumento gli è stato definitivamente dedicato.

All'inizio del mese di agosto 2014 viene riaperta l'inchiesta sulla morte del Pirata: il campione romagnolo non si sarebbe suicidato, così la procura indaga per omicidio pur non essendovi alcun indiziato.

martedì 3 giugno 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 3 giugno.

Il 3 giugno 2017 in piazza San Carlo, a Torino, oltre 30mila persone si sono date appuntamento per assistere alla proiezione della finale di Champions League tra bianconeri e Real Madrid, in programma a Cardiff. 

Alle 22.15, il  Real Madrid segna il terzo gol: la delusione in piazza San Carlo è grande. La Juventus è sotto per 3-1 e sta per dire addio al sogno di conquistare la Champions League.  Quattro giovani approfittano dello scoramento dei tifosi per tentare una rapina con lo spray urticante. Uno di loro poggia il dito sulla bomboletta che ha portato da casa e spruzza in aria una sostanza urticante che colpisce le persone che gli sono accanto. Lo spray al peperoncino spruzzato in aria provoca la fuga delle persone che si trovano accanto ai quattro rapinatori. È il panico: a migliaia cercano di scappare dalla piazza ma molti di loro cadono a terra e vengono calpestati dalla folla impazzita.

I rapinatori fuggono a loro volta ma vengono ripresi dalle telecamere: le tracce si perdono in via XX Settembre. In piazza c'è sangue ovunque. Nessuno dei presenti, quasi tutti ragazzi, sa spiegare cosa sia davvero accaduto. C'è chi parla di un attacco terroristico, qualcuno addirittura sostiene di aver udito frasi pronunciate in arabo. 

l bilancio è da incubo: oltre 1500 feriti, alcuni gravissimi. Fra questi Erika Pioletti, 38 anni, in piazza per vedere la partita insieme al compagno. Erika morirà in ospedale dopo dodici giorni di agonia. Un’altra donna, Marisa Amato, morirà il 25 gennaio 2019 per le ferite riportate in piazza: era rimasta tetraplegica.

Dieci le persone colpite - dopo alcuni mesi dalla tragedia - dai provvedimenti dell’autorità giudiziaria torinese nell’ambito dell’inchiesta. Per sei scattò la custodia cautelare in carcere. Si tratta di una banda di giovani tra i 18 e i 20 anni. Quattro dei dieci, erano presenti in piazza San Carlo la sera del 3 giugno. Il primo a confessare è stato Sohaib Bouimadaghen, nato a Cirié nel 1998, cittadino italiano residente a Torino.  Gli indagati, inizialmente 21, sono diventati 15, accusati di omicidio, lesioni e disastro colposi. Tra i primi vertici istituzionali ad essere coinvolti nell’inchiesta anche la allora sindaca di Torino Chiara Appendino, il suo ex capo di gabinetto Paolo Giordana, l’ex questore di Torino Angelo Sanna, il suo ex capo di gabinetto Michele Mollo e i dirigenti di Turismo Torino, l’ente comunale che materialmente organizzò la manifestazione: il presidente Maurizio Montagnese e il suo vice Danilo Bessone.

Per i fatti del 3 giugno a Torino ci sono stati più tronconi di indagine. Il complesso processo è iniziato nel 2018. Il 17 maggio 2019, i ragazzi responsabili dello scatenarsi del panico a scopo di rapina sono stati condannati a 10 anni di carcere dal Tribunale di Torino per omicidio preterintenzionale.

Per Chiara Appendino e Paolo Giordana la corte d'assise d'appello di Torino il 20 gennaio 2025 ha confermato le condanne e disposto una pena di un anno, 5 mesi e 23 giorni di carcere.

lunedì 2 giugno 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 2 giugno.

Il 2 giugno 1897 Mark Twain, in seguito alle voci che circolavano sulla sua morte, dichiarò sul New York Journal che "la notizia della mia morte è una esagerazione".

Samuel Langhorne Clemens, noto con lo pseudonimo di Mark Twain, nasce nella città di Florida, nello stato del Missouri, il 30 novembre 1835. La madre è calvinista, il padre è dedito alla vita avventurosa. Cresce nella città di Hannibal: nel 1847 muore il fratello; Samuel ha solo dodici anni ed è costretto ad abbandonare gli studi per guadagnarsi da vivere e sostenere la famiglia. Lavora come tipografo presso il giornale del fratello scomparso.

Il mestiere lo porta ad alimentare l'interesse per la letteratura; inizia così a scrivere alcune novelle le quali verranno pubblicate proprio dai giornali presso i quali era impiegato.

In questi anni ottiene il brevetto di pilota per i battelli a vapore che percorrono il fiume Mississippi.

Gli anni dal 1857 al 1861 sono caratterizzati proprio da una vita condotta sul Mississippi, che lascerà tracce profonde nello spirito del narratore, e che diventerà un tema ricorrente nelle sue opere.

Twain iniziò a utilizzare il suo pseudonimo principale dopo aver lavorato a bordo dei battelli che navigavano sul Mississippi: il termine "Mark" fa riferimento alla misurazione della profondità delle acque (ma è ambivalente essendo anche un nome proprio), mentre "Twain" è la forma arcaica (old english) di "Two" (due), quindi il barcaiolo gridava "Mark Twain!" o meglio "by the Mark Twain!" che significa "dal segno [la profondità] è due tese" ovvero "l'acqua è profonda 12 piedi, è sicuro passare".

Il suo primo libro è una raccolta di novelle intitolata "Il ranocchio saltatore" (1865).

Desideroso di cercar fortuna, Mark Twain si trasferisce in California e diviene un cercatore d'oro, minatore, giornalista nonché reporter a San Francisco. Visita le Hawaii e viaggia in Africa, Francia e Italia.

Da queste esperienze nasce il suo secondo libro "Gli innocenti all'estero".

Dopo il successo dei suoi primi lavori nel 1870 Mark Twain sposa Olivia Langdon e si trasferisce a Hartford, nello stato del Connecticut, dove rimarrà sino al 1891.

Dopo il 1894, con l'intensificarsi della sua attività di conferenziere, i suoi viaggi si moltiplicano.

Sebbene fosse di carattere pessimista, Mark Twain è noto e conosciuto come scrittore dall'irresistibile umorismo. Il suo lato negativo con il passare degli anni andrà accentuandosi, anche a causa dei gravi lutti che colpiscono la sua famiglia: nel 1893 muore la figlia Susan; nel 1904 la moglie; nel 1909 la figlia Jane.

Egli scrisse nel 1909: "Sono arrivato con la cometa di Halley nel 1835. Tornerà l'anno prossimo e io me ne andrò con lei". Così avvenne: il 21 aprile 1910, il giorno successivo al passaggio della cometa, sarà stroncato da un infarto cardiaco, all'età di 74 anni.

Twain e molti membri della sua famiglia sono sepolti in una collina boscosa nel Woodlawn National Cemetery, ad Elmira, nello stato di New York; la sepoltura si trova, per volontà della figlia, a 12 piedi di profondità (3,7 metri), cioè "due tese" da cui appunto aveva tratto il soprannome "Mark Twain".

Tutta l'opera di Mark Twain, ispirata alle vicende e ai luoghi in cui visse e che visitò, è da considerarsi autobiografica. La sua opera viene comunemente divisa in quattro gruppi: le impressioni di viaggio ("Gli innocenti all'estero"); i ricordi d'infanzia e della prima giovinezza ("Le avventure di Tom Sawyer", 1876, "Le avventure di Huckleberry Finn", 1884); vita sul Mississippi; le narrazioni satiriche ambientate nel Medioevo e nel Rinascimento ("Un americano alla corte di Re Artù").

Mark Twain, al massimo della sua notorietà, fu con tutta probabilità la maggiore celebrità americana del suo tempo.

domenica 1 giugno 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il primo giugno.

Il primo giugno 1980 iniziano le trasmissioni della Cable News Network.

Il canale all-news più famoso degli Stati Uniti è la CNN, acronimo di Cable News Network. L’emittente televisiva è stata fondata il giorno 1 giugno del 1980, da Ted Turner e Reese Schonfeld ed è una divisione della Turner Broadcasting System, di proprietà della Time Warner. Nel mondo del giornalismo la CNN è davvero una potenza, perché grazie al satellite, è vista in 100 Paesi differenti, da più di 40 milioni di abbonati.

La forza comunicativa della CNN ha di fatto cambiato il modo di fare informazione, introducendo per la prima volta un canale tematico dove poter vedere notizie 24 ore su 24. Per avere questo servizio, in Italia, abbiamo dovuto attendere più di 20 anni e forse non siamo ancora realmente riusciti a compiere il miracolo. Possiamo, però, definire la nostra CNN, Sky TG24. La Rete americana ha avuto anche un distaccamento italiano, durato dal 1999 al 2003, grazie a un accordo con il gruppo L’Espresso-la Repubblica, che ha permesso la realizzazione del sito internet CNNitalia.it, uno dei primi, nato in un periodo sfortunato, a cavallo della famosa bolla speculativa di Internet. Nel 2011, la casa Usa ha deciso di tornare a investire nel Belpaese e ha siglato una partnership con l’agenzia giornalistica TM News, diretta da Claudio Sonzogno.

La CNN dà lavoro a moltissimi giornalisti: la sua sede di Atlanta, il quartiere generale, ospita più di 600 professionisti, che non producono solo informazioni web, ma sono formati per raccontare in diretta tv gli eventi. Ricordiamo, infatti, che i primi a dare la notizia dello scoppio della Guerra del Golfo sono stati proprio i giornalisti CNN: nello specifico il merito è di Peter Arnett, il miglior inviato della Rete, che è riuscito a trasmettere con una parabola satellitare, da un hotel di Bagdad, le prime immagini delle truppe americane che attaccavano l’esercito di Saddam Hussein (era il 17 gennaio del 1991).  Oltre ad Arnett, la CNN inviò in Iraq anche una troupe di tecnici da set cinematografico, perché Arnett da solo non poteva manovrare le telecamere analogiche, estremamente pesanti e complesse, e al tempo stesso andare in onda. Oggi, forse, questa cosa non sorprende più nessuno, perché la tecnologia ha fatto passi da gigante, ma allora il reportage live della CNN ha fatto la storia.

La CNN è organizzata per canali d’informazione tematici. Abbiamo, infatti, quello di economia, di sport e di spettacolo e poi quello di news 24 ore su 24 che raccoglie gli eventi più importanti della giornata. Tra i personaggi che hanno segnato l’immagine della Rete, c’è sicuramente il giornalista Larry King, che ha condotto per 25 anni il suo speciale The Larry King Show, un salotto televisivo dove gli ospiti (dagli attori ai politici) si confessavano in diretta tv. Il programma, che ha chiuso il sipario alla fine del 2010, è stato il primo vero talk show americano.

L’avventura de The Larry King Show è iniziata 3 giugno del 1985 e si è confermato fin da subito un gradissimo successo, superando nel corso degli anni le 40 mila interviste. Possiamo dire che metà degli Usa che conta (e non solo) si è seduta davanti a  Lawrence Harvey Zeiger, questo il vero nome di Larry King.  Il giornalista, noto per la sua cifra ironica, per le sue domande al vetriolo e le sue bretelle, ha, infatti, avuto l’onore di chiacchierare con tutti i Presidenti della Casa Bianca e di indicare, nel 2007, Barack Obama come prossimo inquilino della stanza ovale. Ma davanti a lui, si sono seduti anche la Lady di Ferro, la signora Margaret Thatcher, il premier russo Vladimir Putin, il papà di Michael Jackson, quasi tutte le star di Hollywood e della musica, come Lady Gaga.

Nel 2010, il mitico King è stato mandato in pensione a 77 anni compiuti e una carriera incredibile e la CNN ha deciso di sostituirlo con Piers Morgan, ex editore del Mirror.


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