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giovedì 5 giugno 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 5 giugno.

Il 5 giugno 1945 viene fucilato a Roma il criminale fascista Pietro Koch.

Pietro Koch nasce a Benevento il 18 agosto 1918.

Nella primavera del 1943 fu chiamato alle armi nel 2º reggimento Granatieri, ma dopo lo sbandamento nazionale si spostò a Firenze e si iscrisse al Partito Fascista Repubblicano ed entrò nel “Reparto Speciale di Sicurezza” di Mario Carità.

Si mise subito in evidenza con la cattura del colonnello Marino, già aiutante del generale di corpo d’armata Mario Caracciolo di Feroleto, l’ex comandante della V Armata che aveva tentato la difesa di Firenze. Caracciolo, uno dei pochi generali che si erano opposti ai tedeschi, si era rifugiato a Roma presso il convento vaticano di San Sebastiano, sotto tutela di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Il capitano delle SS di via Tasso, autorizzò Koch a violare il territorio Vaticano, così la sua banda, attraverso uno stratagemma e l’appoggio esterno delle SS, riuscì ad arrestare il generale.

Le SS, dopo averlo schedato lo lasciarono a Koch che lo trasferì a Firenze presso la sede della cosiddetta Banda Carità.

Il risultato di questa azione gli permise di avere le autorizzazioni dal capo della Polizia della RSI di Salò, Tullio Tamburini, per costituirsi un suo reparto speciale. Una volta costituita la squadra speciale, che prese la denominazione ufficiale di “Reparto Speciale di Polizia Repubblicana”, si aggregarono anche diversi elementi della Banda Carità fino ad arrivare a circa una settantina di unità tra i quali anche dei sacerdoti. La formazione ottenne alcuni rapidi e clamorosi successi con irruzioni e perquisizioni nelle sedi della Chiesa. La sede del reparto si attestò nella palazzina di via Principe Amedeo 2, presso la pensione Oltremare, a Roma.

Tra gennaio e maggio 1944 la banda decimò le file degli antifascisti di Roma, tra i quali ben 23 esponenti del Partito d’Azione, che subì la pressione maggiore, di cui 21 furono fucilati alle Fosse Ardeatine

Quando, nel giugno del 1944, Roma fu liberata dagli Alleati Koch si unì al convoglio di Eugen Dollmann diretto a nord mentre la sua banda fuggì a Milano. Il Reparto Speciale, inquadrato nelle SS italiane, si insediò presso Villa Fossati (tra le vie Paolo Uccello e Masaccio), che in città sarà nominata come “Villa Triste”, attrezzandola con filo spinato, riflettori e sirene. Alcuni locali furono adibiti a stanze di tortura. Quasi tutti i componenti di Roma raggiunsero Milano, solamente alcuni furono arrestati e condannati a morte durante la loro fuga, come il questore Pietro Caruso. A Milano si inserirono anche nuovi elementi, come l’attore Osvaldo Valenti (l’uomo di collegamento fra Koch e il principe Borghese della Xª MAS), il conte-industriale Guido Stampa e altre donne (Lina Zini e Camilla Giorgiatti). (Dalla deposizione testimoniale di Luchino Visconti agli atti del processo Koch)

Koch, attraverso numerosi arresti e interrogatori brutali, ottenne in breve tempo il nome di Franco Calamandrei, Luigi Pintor, Lisa Giua Foa e nel 1944 la banda arrestò anche Luchino Visconti. Tutti loro sono stati ferocemente torturati, tranne Lisa Giua perché incinta. I metodi di tortura e le tecniche d’interrogatorio della banda divennero tristemente famosi e, vista la generalità di testimonianze concordi, quasi codificati:« Quando venni arrestato il Koch diede ordine che venissi fucilato nella notte. Per otto giorni, rinchiuso nel cosiddetto “buco” della pensione Jaccarino, attesi che la sentenza, continuamente confermata dall’aguzzino, fosse eseguita. Una sera Caruso  venne in visita alla pensione e Koch, per divertirsi un poco, gli mostrò due patrioti che avevano appena finito di subire la tortura. Successivamente venni trasferito a quello che nel gergo della Jaccarino veniva definito “l’ammasso”: uno stanzone fetido, con un po’ di paglia in terra. ».

(Dalla deposizione testimoniale di Luchino Visconti agli atti del processo Koch)

L'interrogatorio avveniva nella stanza di rappresentanza di Koch alla presenza di numerosi poliziotti; se un arrestato non parlava, cioè non rivelava chi fosse e quale fosse la propria attività politica, le percosse erano immediate con: lo schiaffo scientifico, la capriola (lancio della vittima contro il muro), la corsa (un percorso da denudato dalla doccia alle celle tra due file di poliziotti che colpivano). Perché la violenza mantenesse vigore e forza gli agenti si davano il cambio; le percosse avvenivano con fruste di cuoio, con nervi di bue, con i caricatori (carichi delle cartucce); l’isolamento avveniva nel cosiddetto buco, cioè in locali angusti e soffocanti; la sospensione dei torturati: venivano legati con corde e issati in modo che il corpo non toccasse terra e lasciati così per ore; la doccia bollente: le vittime venivano denudate e spinte con manici di scopa sotto un getto d’acqua bollente; qualche testimonianza ha riferito anche dell’uso del manico di scopa come variante per violenze e abusi sessuali; la messinscena dell’esecuzione per terrorizzare le vittime: una vera esecuzione fermata all’ultimo momento. 

Tra gli indagati fascisti del Reparto speciale ci furono sia fascisti intransigenti come Roberto Farinacci, che fascisti moderati come il direttore de La Stampa Concetto Pettinato. Furono svolte dagli uomini di Koch anche indagini interne nei confronti dei membri della "Muti" che esercitavano una certa rivalità nei confronti della squadra speciale. Il gruppo dirigente fascista si sentì minacciato dall'autonomia di Koch e riuscì così ad avere l'avallo di Mussolini per smantellare la banda con un'azione di forza, condotta il 25 settembre 1944 proprio da parte della Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, al comando del Questore Alberto Bettini. Secondo alcune fonti il reparto era implicato anche in un traffico di cocaina. Villa Fossati fu circondata, circa cinquanta componenti della banda vennero arrestati e fu sequestrato tutto il bottino accumulato nei mesi di attività. Il 17 dicembre 1944 Koch fu arrestato e rinchiuso al carcere di San Vittore a Milano. Successivamente, nonostante le proteste di Kappler, il Reparto fu smantellato. 

Con l’aiuto dei tedeschi, Koch riuscì ad evadere il 25 aprile 1945 e da Milano si spostò a Firenze, allo scopo di ricongiungersi con Tamara Cerri, che, dopo l’arresto a Villa Fossati, era stata liberata e aveva raggiunto la sua famiglia a Firenze, per essere nuovamente catturata dagli alleati. Avuta notizia dell’arresto, il 1º giugno si presentò alla questura del capoluogo toscano dichiarando: “Se avete arrestato Tamara Cerri perché vi dica dov’è Koch, potete liberarla. Koch sono io, arrestatemi”. Subito tradotto a Roma, fu processato dopo una rapida istruttoria di due giorni, con procedura d’urgenza.

Il processo si aprì il 4 giugno nell’aula magna della Sapienza, l’interrogatorio dell’imputato e le deposizioni dei testimoni dell’accusa (l’ex-questore Morazzini e il commissario di polizia Marittoli) e a discarico (Luchino Visconti, la cui deposizione finì invece per prodursi in un ulteriore capo d’accusa) occuparono due ore; la requisitoria del PM e l’arringa difensiva di Federico Comandini, nominato avvocato d’ufficio quale Presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma, presero circa mezz’ora. Alle 11:55 l’imputato fu condotto in camera di sicurezza e alle 12:17 rientrò in aula, dando la corte lettura del dispositivo della sentenza. Condannato alla pena capitale, fu giustiziato presso il Forte Bravetta alle ore 14:21 del 5 giugno 1945. 

La sua esecuzione fu filmata da Luchino Visconti.


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