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L'8 giugno 1887 Herman Hollerith brevetta il calcolatore a schede perforate.
I computer di qualche decennio fa, prima ancora dell’avvento del Personal Computer, si interfacciavano con l’utilizzatore tramite schede di cartoncino di dimensioni ben codificate, simili per dimensioni e consistenza ai biglietti ferroviari cartacei di qualche anno fa. Le schede, brevettate da Herman Hollerith nel 1887, furono utilizzate con le schedatrici meccaniche e impiegate per la prima volta nel 1890 per il censimento dei cittadini degli Stati Uniti. A loro volta le schede perforate di Hollerith (che più tardi fonderà la International Business Machines, ossia l’IBM) si ispiravano alle schede metalliche del 1801 inventate da Joseph Jacquard per automatizzare il funzionamento di telai per tessitura.
Il passaggio dalle schedatrici meccaniche ai primi computer elettronici e la creazione di linguaggi evoluti decretò il successo e la diffusione del calcolo computerizzato, ma sarà ancora lunga la strada da percorrere verso il boom del personal computer dotato di tastiera autonoma pronta a dialogare direttamente con l’utilizzatore.
Per fare un esempio, per scrivere una tesi di laurea agli inizi degli anni ’70 all'università di Padova, si doveva scrivere a mano il programma in linguaggio Fortran (da “Formula Translation”, privilegiato per i calcoli scientifici), passare il tabulato ad un ufficio in cui personale specializzato (in genere femminile) provvedeva a trasferire su schede perforate le linee del programma (una scheda per ogni riga).
Una volta perforate, le schede venivano lette da una speciale macchina che trasformava le perforazioni in impulsi elettrici binari tramite contatti striscianti, che consentivano il passaggio di corrente in corrispondenza dei fori nelle schede o, successivamente, mediante lettori a fibre ottiche.
I segnali venivano quindi inviati via cavo all’Università di Bologna, dove si trovava fisicamente l’elaboratore elettronico (a Casalecchio di Reno, presso il CINECA), al quale l’Università di Padova aveva accesso ad orari prefissati. I risultati dell’elaborazione venivano poi ritrasmessi via telescrivente alla sede del servizio elaborazione dati dell’Università di Padova, dove i vari studenti o ricercatori attendevano con ansia il risultato delle loro fatiche. Spesso un banalissimo errore di trascrizione nel tabulato iniziale, come ad esempio scambiare un punto con una virgola o viceversa, causava l’interruzione del calcolo con la restituzione della scritta “Fatal Error” seguito dal “dump” della memoria del computer, costituito da una (apparentemente) caotica sequenza di numeri e lettere comprensibili solo (e non sempre) agli addetti. Tutto questo veniva seguito da una affannosa ricerca dell’errore (o di più errori…) tra le righe del programma e, con l’attesa di poter riproporre il tabulato corretto alle perforatrici, (come generalmente venivano chiamate le addette al trasferimento del tabulato alle schede perforate) se ne andavano intere giornate di lavoro.
Successivamente, furono adottati computer IBM dotati di dischi rigidi intercambiabili da ben 500kB (grandi come una pizza e spessi vari centimetri), ma essi richiedevano comunque, per essere utilizzati, il tramite delle perforatrici, la cui disponibilità doveva sempre venire diplomaticamente curata.
In sostanza, in quel tempo, indicativamente fino alla prima metà degli anni ’80, la scheda perforata, oltre che l’interfaccia uomo-computer, costituiva la ROM (le prime schede del “pacchetto” contenevano il sistema di “boot”), la RAM e il supporto per la memoria di massa (con il programma e, separatamente, i dati in input) del calcolatore (Per lungo tempo la scheda perforata sarà presente anche nell’immaginario collettivo come simbolo stesso della misteriosa potenza dei calcolatori elettronici) .
Il passaggio obbligato dei dati da inserire nel computer (allora era più in uso il nome un po’ roboante di “cervello elettronico”) attraverso le tastiere delle perforatrici rallentava molto i lavori più routinari, quali ad esempio in ambito sanitario gli esami di laboratorio o gli esami radiologici.
Ecco dunque una semplice soluzione: schede di cartoncino pre-fustellate con stampati in chiaro i dati necessari per la prenotazione, effettuabile dall’impiegato addetto direttamente nelle segreterie di reparto o agli sportelli, semplicemente forando manualmente la scheda nei punti prestabiliti mediante la semplice pressione di un apposito punzone. Le schede venivano poi raccolte ed inviate al Servizio Elaborazione Dati, per la preparazione dei tabulati con le prenotazioni e delle etichette da applicare ai vari flaconi o alle buste per la conservazione delle pellicole radiografiche.
E’ difficile ai nostri giorni rendersi conto del progresso compiuto (anche per chi ha vissuto le travolgenti tappe di questa evoluzione); al giorno d’oggi si possono trovare nelle tasche di qualsiasi ragazzino quei minuscoli oggetti , noti con il nome di “smartphone”, con sistemi di calcolo dotati di tastiere virtuali, di memorie decine di migliaia di volte più capienti, di velocità di calcolo infinitamente superiori, di schermi ad alta risoluzione a milioni di colori, completi di interfacce vocali, di fotocamera e di capacità di comunicazioni istantanee senza fili a distanza planetaria, in grado di fornirti sui due piedi una infinità di informazioni, tramite internet. E’ difficile, ma ricordare può aiutarci ad apprezzare più consapevolmente l’impressionante percorso dell’ingegno umano.
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