Buongiorno, oggi è il 18 dicembre.
Il 18 dicembre 2007 l'Assemblea Generale dell'ONU approva, con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti, la moratoria universale della pena di morte.
'L'approvazione, a maggioranza assoluta, della risoluzione sulla moratoria della pena di morte è stata una grande vittoria dell'Europa ma anche e soprattutto dell'Italia, la cui diplomazia, abilmente diretta dal ministero degli Esteri, ha svolto un'azione intelligente ed efficacissima a New York. Con la risoluzione si segna un punto fermo in una battaglia di civiltà.
La risoluzione non obbliga gli Stati a sospendere le esecuzioni capitali e tanto meno ad abrogare le leggi nazionali che prevedono la pena capitale. Li esorta a farlo. Ha dunque solo un alto valore simbolico, è solo uno strumento di pressione morale? No. Essa produce anche importanti effetti pratici, il cui significato si potrà forse percepire soprattutto nel lungo termine.
Il primo consiste nel fornire un importante strumento di legittimazione politica ai numerosi Governi che vorrebbero applicare la moratoria o addirittura abolire la pena di morte, ma sono ostacolati dall'opinione pubblica interna o da alcuni movimenti politico-religiosi, che si accaniscono a voler punire l'assassinio (ma anche altri reati meno gravi) con la morte.
Questi Governi possono ora invocare la risoluzione come autorevolissimo avallo, a livello mondiale, della loro azione a favore della moratoria. Altri Governi, che cominciano ad aver dubbi sull'opportunità della pena capitale, potranno essere indotti dalla risoluzione ONU a ridurre almeno il numero di reati implicanti quella pena, o ad introdurre garanzie processuali efficaci contro ogni arbitrio. Ad esempio la Cina ha limitato il numero di crimini per cui è comminata quella pena, ed ha attribuito alla Corte Suprema, sottraendola dunque alle corti locali, ogni decisione finale in materia. Su questa strada la Cina, che pure ha votato contro la risoluzione e continua ad essere lo Stato con il più alto numero di esecuzioni, potrà fare altri passi avanti, spinta dalla pressione dell'ONU.
Gli altri effetti pratici la risoluzione li produce nel quadro dell'ONU. Adesso la questione della pena capitale è iscritta automaticamente all'ordine del giorno di ogni Assemblea Generale, per essere discussa ogni anno. Dunque, una questione che finora era tabù in seno ai massimi organi dell'ONU, diviene finalmente oggetto "normale" di dibattito politico-diplomatico. Si ha finalmente una presa di coscienza collettiva della necessità di ingerirsi in un recesso finora impenetrabile della sovranità statale, e di parlarne liberamente.
Un altro effetto della risoluzione è che i vari organi dell'ONU sono automaticamente autorizzati a "lavorare" ed operare su questo tema. E già si sa che l'Alto Commissario per i Diritti Umani intende istituire una "task force", anche per assistere i paesi che vogliono gradualmente introdurre serie limitazioni alla comminazione della pena capitale.
Un altro effetto è non meno importante: ogni anno il Segretario Generale dell'ONU deve presentare all'Assemblea Generale un rapporto sull'attuazione della risoluzione approvata: per elaborare questo rapporto, egli deve ottenere dagli Stati membri dati e informazioni sulle esecuzioni capitali, sui reati per cui sono state effettuate, nonché sui casi di sospensione dell'esecuzione. E così paesi che finora hanno accuratamente celato quei dati, come la Cina, dove la materia è ancora un segreto di stato, devono fornirli, perché a chiederli non saranno più organizzazioni non governative, ma un autorevolissimo organo dell'ONU. Si avrà dunque una più accurata e completa informazione sulla pena di morte nel mondo e una maggiore trasparenza. Ma il fatto stesso di dover dar conto all'ONU su quel che si fa nel proprio interno, non può non costituire, per quei paesi, un incentivo psicologico e politico notevole ad adoperarsi per sospendere gradualmente questa pena disumana.
Che la risoluzione sia suscettibile di produrre questi effetti, è anche il risultato dell'abile strategia adottata dai nostri diplomatici a New York.
Essi, benché sicuri della vittoria al momento della votazione, hanno sagacemente evitato ogni trionfalismo e il muro contro muro, per prevenire lo scontro diplomatico e l'umiliazione politica degli avversari. Favorendo invece toni concilianti, isolando i "pasdaran" e intensificando il dialogo con i moderati, essi hanno privilegiato un'azione volta a convincere i sostenitori della pena capitale della necessità di discutere pacatamente di questa pena arcaica, per trovare alternative o almeno limitare la sua portata o rendere la sua esecuzione meno disumana. Uno dei risultati immediati di questa "offensiva del dialogo" si è visto in occasione del voto: gli avversari della risoluzione hanno rinunciato a tutte le manovre procedurali che avevano messo in atto un mese prima, in Commissione e - tranne Barbados, Nigeria e Singapore - non hanno usato toni aggressivi contro la risoluzione.
La risoluzione non è dunque un punto di approdo di una battaglia diplomatica, ma un punto di partenza, l'inizio di un processo politico-diplomatico da favorire con pazienza e tenacia per arrivare tra dieci o venti anni alla scomparsa definitiva del boia.
Questo successo della nostra diplomazia dimostra anche che per una media Potenza come l'Italia, c'è uno spazio importante in politica estera in cui affermarsi. E' uno spazio che si colloca non nel campo militare, strategico o geopolitico, ma piuttosto in quello della difesa di valori universali, e della promozione tenace dell'Europa come forte attore ed interlocutore politico - per ora soprattutto potenziale - a livello planetario.
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