Buongiono, oggi è l'8 luglio.
L'8 luglio 1988 il tribunale penale di Trento emette la sentenza sul caso della Strage di Stava.
Stava è una cittadina in provincia di Trento alle pendici del Monte Prestavèl, ricco di fluorite.
La prima indicazione scritta circa l’attività mineraria sul monte Prestavèl risale al 1528. La miniera veniva sfruttata in modo saltuario per la produzione di galena argentifera. Lo sfruttamento industriale per l’estrazione di fluorite iniziò nel 1934.
Venne gestita dopo la seconda guerra mondiale dalla società Montecatini, alla quale subentrarono fino al 1978 società del gruppo Montedison e quindi dei gruppi Egam ed Eni. Dal 1980 al 1985 fu gestita dalla società Prealpi mineraria.
Fino al 1961 alla miniera di Prestavèl si accedeva con delle gallerie scavate nel versante del monte Prestavèl che affaccia sulla valle del rio Gambis. Dal 1935 al 1961 la lavorazione del minerale veniva effettuata in località Miniera lungo la strada che da Cavalese porta al passo di Lavazè. La fluorite veniva separata dalle altre rocce con le quali si trova in natura, mediante un sistema gravimetrico che non richiede l'uso di acqua. Era fluorite pura al 75-85 per cento, utile per l'industria siderurgica.
Attorno al 1960 la Montecatini decise di costruire un impianto di flottazione al fine di ottenere fluorite pura al 97-98 per cento, utile per l'industria chimica. Rispetto al sistema gravimetrico, un impianto di flottazione necessita di molta acqua e, a poca distanza, di un luogo dove innalzare la discarica per il deposito e la decantazione del fango residuato della lavorazione. Entrambe queste prerogative non esistevano nella valle del rio Gambis e fu deciso quindi di spostare la lavorazione in Val di Stava.
Nel 1961 furono costruiti un impianto di flottazione sul fianco della montagna a quota 1420 metri sul mare, un acquedotto, una teleferica per il trasporto del materiale estratto in miniera e una seggiovia per il trasporto dei minatori dagli impianti di lavorazione agli imbocchi delle gallerie della miniera posti a quote diverse fra 1550 e 1787 metri sul mare.
L'acquedotto partiva dalla presa d'acqua sul rio Stava e aveva una portata di 65 litri al secondo che si riduceva tuttavia nei mesi invernali. Altra acqua veniva quindi pompata direttamente dal rio Stava mediante una conduttura posta poco a monte dei Masi di Stava. Altra ancora veniva prelevata direttamente in miniera e portata con un tubo all'impianto di flottazione: è l'acqua che ancora oggi si vede uscire dalla galleria della miniera a quota 1.550.
Negli anni sessanta del secolo scorso lavoravano in miniera e presso gli impianti di trattamento oltre 120 fra minatori, operai e tecnici. Nell’impianto di trattamento venivano lavorate oltre 150 tonnellate di tout-venant al giorno, la potenzialità era di 200 tonnellate al giorno. Gli impianti di Prestavèl furono utilizzati anche per lavorare la roccia estratta dalle miniere di Monte Quaira-Kooreck, di Case a Prato-Wieserhof, di Corvara-Rabenstein, di Vallarsa-Brantental in provincia di Bolzano e di Torgola in provincia di Brescia.
La miniera e gli impianti sono stati chiusi subito dopo la catastrofe del 19 luglio 1985.
Alle ore 12. 22' 55'' del 19 luglio 1985 cede l'arginatura del bacino superiore che crolla sul bacino inferiore che a sua volta crolla.
La massa fangosa composta da sabbia, limi ed acqua scende a valle ad una velocità di quasi 90 chilometri orari e spazza via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontra fino a raggiungere la confluenza con il torrente Avisio.
Poche fra le persone investite poterono sopravvivere.
Lungo il suo percorso la colata di fango provocò la morte di 268 persone, la distruzione completa di 3 alberghi, 53 case d'abitazione e 6 capannoni; 8 ponti furono demoliti e 9 edifici gravemente danneggiati.
Uno strato di fango tra 20 e 40 centimetri ricopriva un'area di 435.000 metri quadri circa per una lunghezza di 4,2 chilometri.
Dalle discariche fuoriuscirono circa 180 mila metri cubi di materiale ai quali si aggiunsero altri 40-50 mila metri cubi provenienti da processi erosivi, dalla distruzione degli edifici e dallo sradicamento di centinaia di alberi.
Quello del 19 luglio 1985 in Val di Stava è uno dei più gravi disastri al mondo dovuti al crollo di discariche a servizio di miniere e rimane a tutt'oggi, con 268 morti e danni per oltre 133 milioni di Euro, una delle più gravi catastrofi industriali accadute in Italia.
In oltre 20 anni le discariche non furono mai sottoposte a serie verifiche di stabilità da parte delle società concessionarie o a controlli da parte degli Uffici pubblici cui compete l'obbligo del controllo a garanzia della sicurezza delle lavorazioni minerarie e dei terzi.
Nel 1974 il Comune di Tesero chiese conferme sulla sicurezza della discarica.
Il Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento incaricò della verifica di stabilità la stessa società concessionaria (la Fluormine, appartenente allora ai gruppi Montedison ed Egam) che la effettuò nel 1975.
Pur trascurando una serie di indagini indispensabili, la verifica permise di accertare che la pendenza dell'argine del bacino superiore era "eccezionale" e la stabilità era "al limite".
Nella sua prima relazione il tecnico incaricato della verifica sembra in sostanza affermare: "strano che non sia già caduto".
Tuttavia la risposta della Fluormine al Distretto minerario e di questo al Comune fu positiva e portò all'ulteriore accrescimento che avvenne con una minor pendenza dell'argine.
"La Commissione ministeriale d'inchiesta ed i periti nominati dal Tribunale di Trento hanno accertato che "tutto l'impianto di decantazione costituiva una continua minaccia incombente sulla vallata".
"L'impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l'esistenza di intere comunità umane.
L'argine superiore in particolare era mal fondato, mal drenato, staticamente al limite. Non poteva che crollare alla minima modifica delle sue precarie condizioni di equilibrio".
La causa del crollo è stata individuata nella cronica instabilità delle discariche, ed in particolare del bacino superiore, che non possedevano coefficienti di sicurezza minimi necessari a evitare il franamento.
Le cause dell'instabilità sono state individuate in particolare:
nel fatto che i limi depositati non erano consolidati a causa della natura acquitrinosa del terreno su cui sorgevano le discariche che non consentiva la decantazione dei fanghi, dell'errata costruzione dell'argine del bacino superiore che non consentiva un adeguato drenaggio al piede, della costruzione del bacino superiore a ridosso del bacino inferiore: crescendo, l'argine venne a poggiare in parte sui limi non consolidati del bacino inferiore, peggiorando così ulteriormente il drenaggio e la stabilità;
nell'altezza e nella pendenza eccessive del rilevato: l'argine del bacino superiore aveva un'altezza di 34 metri, la pendenza raggiungeva l'80 per cento, pari ad un angolo di 40 gradi, le discariche erano costruite su un declivio con pendenza media del 25 per cento circa;
nella decisione di accrescere l'argine con il sistema "a monte", il più rapido e il più economico ma anche il più insicuro;
nell'errata collocazione delle tubazioni di sfioro delle acque di decantazione: sul fondo dei bacini e attraverso gli argini.
Il processo di primo grado si svolse a Trento e si concluse l’8 luglio 1988 con la condanna di 10 imputati giudicati colpevoli dei reati di disastro colposo e omicidio colposo plurimo e cioè:
- dei responsabili della costruzione e gestione del bacino superiore che crollò per primo: i direttori della miniera e alcuni responsabili delle società che intervennero nelle scelte circa la costruzione e la crescita del bacino superiore dal 1969 al 1985,
- dei responsabili del Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento che omisero del tutto i controlli sulle discariche.
Il procedimento penale si è concluso dopo altri 4 gradi di giudizio con la seconda sentenza della Corte di Cassazione, emessa il 22 giugno 1992, che ha confermato le condanne pronunciate in primo grado. Le pene di reclusione sono state ridotte e condonate nel corso dei vari gradi di giudizio. Nessuno dei condannati ha scontato la pena detentiva.
Vennero condannate al risarcimento dei danni in veste di responsabili civili per la colpa dei loro dipendenti:
- le società che nello stesso periodo ebbero in concessione la miniera di Prestavel o intervennero nelle scelte relative alle discariche: Montedison Spa, Industria marmi e graniti Imeg Spa per conto della Fluormine Spa, Snam Spa per conto della Solmine Spa, Prealpi Mineraria Spa,
- la Provincia Autonoma di Trento.
Il risarcimento del danno di 739 danneggiati per complessivi oltre 132 milioni di Euro è stato liquidato quasi per intero in via transattiva nel 2004 da Edison, Eni-Snam, Finimeg e Provincia Autonoma di Trento. Prealpi Mineraria, nel frattempo fallita, non risulta avere mai versato alcuna somma ai danneggiati. Il risarcimento per la perdita di vite umane è stato quantificato come quello per infortuni stradali. Nell’ambito della transazione sono stati interamente rimborsati gli importi anticipati dallo Stato e dalla Provincia Autonoma di Trento per i soccorsi, il ripristino e la ricostruzione.
Al di là delle azioni ed omissioni penalmente rilevanti, concorsero al disastro di Stava una serie di comportamenti che vanno oltre la sfera giuridica e si caratterizzano principalmente nell'aver anteposto alla sicurezza dei terzi la redditività economica degli impianti sia da parte delle società concessionarie che degli Enti pubblici istituzionalmente preposti alla tutela del territorio e della sicurezza delle popolazioni.
L’area interessata dalla colata di fango fu bonificata immediatamente dopo il crollo, mentre l’area che ospitava i bacini di decantazione fu bonificata tre anni dopo.
Il Governo, con decreto legge 24 settembre 1985 n. 480 convertito nella legge 662 del 21 novembre 1985, stanziò 30 miliardi di Lire per la ricostruzione. I fondi vennero erogati con la legge provinciale della Provincia Autonoma di Trento n. 10 del 1° aprile 1986.
I fondi furono erogati ai proprietari ed agli eredi dei proprietari delle aziende e degli immobili distrutti a titolo di anticipazione sul risarcimento del danno patrimoniale e l’Ente pubblico subentrò nel diritto al risarcimento del danno da far valere nei confronti dei responsabili civili.
I contributi furono vincolati all’obbligo di ricostruire gli immobili nel territorio del comune di Tesero e di documentare le spese sostenute. I contributi per la ricostruzione delle case d’abitazione furono assegnati in base al volume degli immobili distrutti.
Gli importi anticipati dallo Stato e dalla Provincia Autonoma di Trento sono stati interamente rimborsati nel 2004 nell’ambito della transazione alla quale hanno aderito i responsabili civili Edison, Eni-Snam, Finimeg e Provincia Autonoma di Trento. La transazione ha previsto infatti il pagamento di 23 milioni di Euro per le somme anticipate dallo Stato e di 19 milioni per le somme anticipate dalla Provincia Autonoma di Trento.
L’erogazione dei contributi per la ricostruzione degli edifici e degli alberghi distrutti fu affidata al Comune di Tesero che costituì un apposito ufficio per la ricostruzione. L’erogazione dei contributi per il ripristino delle attività industriali, artigianali e commerciali fu gestita direttamente dalla Provincia Autonoma di Trento.
La ricostruzione, completata nell’arco di quindici anni circa, e il recupero ambientale dell’area colpita ci hanno riconsegnato una Val di Stava nuova e intatta.
Molti edifici sono stati ricostruiti su terreni diversi da quelli sui quali sorgevano gli immobili distrutti. Della Val di Stava originaria rimangono oggi solo le fotografie e il ricordo di chi la conobbe un tempo.
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