L'11 febbraio 2004 Sergio Cragnotti viene arrestato per il crac della Cirio.
La fotografia finale della Cirio di Sergio Cragnotti, l’avevano scattata i commissari giudiziali nel 2003, depositando all’indomani del crac il loro rapporto in Tribunale. Un’azienda che nel 1998 oltre a produrre pomodori aveva iniziato a fabbricare emissioni obbligazionarie. Tante, tantissime che alla fine arriveranno fino a 1,125 miliardi di euro. Allora, nell’estate del 2003 quel numero sembrava iperbolico, ma a dicembre dello stesso anno venne scolorito dal fallimento della Parmalat di Calisto Tanzi, un buco da oltre 14 miliardi di euro. Due storie di mala finanza italiana che si sono intrecciate fra loro, per affari e per nomi. Le compravendite di giocatori tra le due società di calcio dei loro patron, la Lazio e il Parma, e di aziende, una su tutte la Centrale del Latte di Roma.
In mezzo tra le due società si barcamenava un banchiere, Cesare Geronzi, che a detta dei magistrati, pilotava a suo piacimento il credito, favorendo ora l’una ora l’altra azienda, a seconda dello stato di decozione. Sì, perché se la Parmalat era fallita fin dagli inizi degli anni ‘90, ai tempi della quotazione in Borsa, la Cirio non stava meglio. Navigava in acque molto agitate già nel ‘98, al momento dell’avvio del piano di emissione dei bond, il cui collocamento venne utilizzato al 50% per rimborsare le banche finanziatrici. Un dirottamento pilotato di risorse, cui si somma anche l’incasso di un asset prezioso come la Centrale del Latte. I calcoli della procura di Roma sono implacabili. Sul mercato finivano 1,125 miliardi di bond. E nelle tasche di Banca di Roma 308 milioni, del SanPaolo Imi 82 milioni, di Intesa 49 milioni, della Lodi 34 milioni, della Bnl, Cariparma e Factorit 16 milioni, e importi minori per altri istituti, tutti soldi «in larga misura provenienti dalla cessione alla Parmalat della Eurolat, contenente il settore latte di Cirio». Qui in mezzo sguazzava Geronzi, descritto dall’accusa come il simbolo di un sistema bancario rapace e spietato, pur di salvaguardare i propri interessi, ma soprattutto il proprio potere. L’operazione Eurolat sarebbe stata solo un escamotage per far entrare liquidità in un gruppo ormai fallito, la Cirio, e destinata a rimborsare i crediti del sistema bancario in spregio ad altri creditori. L’ex numero uno di Banca di Roma sarebbe stata la mente di questa operazione in quanto principale creditore e socio di Cragnotti. Le prove contro di lui sono i verbali di Tanzi e Fausto Tonna, ex direttore finanziario di Parmalat e «i verbali delle sedute del Comitato esecutivo della banca», riunioni nelle quali Geronzi era sempre presente.
Ma i soldi dei risparmiatori sono stati anche sperperati da Sergio Cragnotti e dai figli, il primogenito Andrea, Elisabetta e Massimo, dal genero e direttore finanziario, Filippo Fucile e da buona parte dei consiglieri che si sono succeduti sulle poltrone di comando del gruppo Cragnotti. Sempre secondo i commissari, 190 milioni furono utilizzati per finanziare le perdite della SS Lazio (la procura parla di 141 milioni di pagamenti preferenziali), 171 per sostenere parte dell’Offerta pubblica d’acquisto della Del Monte e 169 per investimenti e oneri di gestione.
Le condotte criminose evidenziate dalla Procura a carico dei Cragnotti sono dettagliate. Per saldare i propri debiti personali da 2,6 milioni di euro verso il gruppo Marcegaglia e da 5 milioni verso Enichem, Cragnotti non esita a distrarre soldi dalla cassaforte lussemburghese della Cirio. Per arredare una casa, il patron della Cirio trasferisce a se stesso «beni mobili di arredamento e antiquariato» in carico al gruppo a un valore inferiore a quello di bilancio (4 miliardi di lire contro 7,3 miliardi), e ciò nonostante, non li paga, perché il debito viene stornato su un’altra società controllata dalla Cirio. E la Cirio pagava anche le rate della barca di Cragnotti, la Admiral 30, oppure dava lauti bonus ai “manager”. Nel 2000, al figlio Andrea viene riconosciuto un premio da 500 milioni di lire e al genero Filippo Fucile tra ottobre 2000 e febbraio 2001 un premio una tantum di 400mila euro. Alla moglie, la Cirio elargisce un prestito per comprare un terreno in Toscana, poco più di due miliardi di lire. Per non parlare poi dei soldi svaniti nei paradisi fiscali. Nelle British Virgin Island sarebbero finiti 155 miliardi di lire, altri 500 miliardi in Lussemburgo, 350 milioni di dollari in Brasile. Per i pm tutti soldi spariti nel nulla.
Il 5 luglio 2011 la prima sezione penale del tribunale di Roma condanna Sergio Cragnotti e Cesare Geronzi rispettivamente a 9 anni e 4 anni di reclusione. Il processo era cominciato il 14 marzo 2008. Nessuno degli imputati eccellenti era presente in aula. Tra i 35 imputati figurano: l’ex ad della Popolare di Lodi Giampiero Fiorani (assolto); la moglie di Cragnotti, il genero Filippo Fucile (4 anni e 6 mesi) e i figli Andrea (4 anni), Elisabetta (3 anni) e Massimo (3 anni). Le contestazioni sono, a vario titolo, bancarotta fraudolenta o preferenziale, distrattiva e truffa. L’accusa aveva chiesto di condannare Cragnotti a 15 anni, Geronzi a 8 anni e Fiorani a 6 anni di reclusione.
Il 5 ottobre 2017 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a quattro anni di reclusione per il banchiere Cesare Geronzi. Tre anni sono coperti da indulto. La sentenza è definitiva.
La Cassazione ha confermato quasi totalmente il verdetto del 10 aprile 2015 dalla Corte d’Appello di Roma. Solo Sergio Cragnotti ha ottenuto «l’annullamento con rinvio alla Corte d’Appello di Roma per nuovo esame del capo I lettera “E” relativo alla vicenda “Bombril” per la quale aveva riportato 7 anni di reclusione divenuti poi 8 anni e 8 mesi con gli altri reati».
Definitive inoltre le condanne per il figlio di Cragnotti, Andrea, che aveva 2 anni e 4 mesi di reclusione coperti da indulto e confermata la prescrizione per bancarotta preferenziale per gli altri due figli di Cragnotti Elisabetta e Massimo che in appello avevano ottenuto l’assoluzione per le altre imputazioni.
La Cassazione inoltre ha confermato la condanna a 3 anni e 10 mesi di reclusione per Filippo Fucile, genero di Cragnotti (anche per lui 3 anni coperti da indulto), confermata anche la condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione per Ettore Quadrani, consigliere di Cirio (anche per lui 3 anni coperti da indulto). Sentenza irrevocabile di condanna a 2 anni di reclusione, coperti da indulto, anche per gli ex funzionari della Banca di Roma Pietro Celestino Locati e Antonio Nottola.
Nessun commento:
Posta un commento