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domenica 17 giugno 2012

#Volo in #aerostato per il #compleanno di mia #moglie, Don #De Lillo, #Underworld, #citazione

Mariam mi si appoggiò contro e rise, guardando la superficie della terra che si allargava intorno a noi. Erano le prime luci dell’alba, un tremolio argentato ai bordi del deserto. A centro metri di altezza incontrammo un leggero vento da ovest che ci sospinse verso una mezza palpebra di sole. Ma non avevamo l’impressione di muoverci. Sembrava che fosse la terra a scivolare via sotto di noi, rivelando un gruppo di roulotte, un camion su una strada asfaltata verso sud. E cani che ci abbaiavano contro – abbaiavano e saltavano, correvano urtandosi e uggiolando mentre sorvolavamo il campo di roulotte, passando da un cane all’altro, altri cani che apparivano alla periferia, contorcendosi a mezz’aria, cani venuti dal nulla a moltiplicare guaiti e ululati, un contagio da svegliare mezzo mondo.
Poi fummo sopra il territorio aperto,  bruno avorio e fitto d’ombre, e restammo sospesi nell’aria morbida, cullati in un dondolio senza peso, con la distesa del creato che sfilava via sotto di noi.
Il pilota tirò la valvola di alimentazione e sentimmo i bruciatori pulsare e ruggire e questo tornò a far ridere Mariam. Parlava e rideva incessantemente, felice e spaventata. La cesta non era grande, conteneva a malapena noi tre più taniche, valvole,  cavi, strumenti e corda arrotolata.
Ogni getto di propano spediva una fiammata grande come un uomo nella gola aperta del pallone di nylon che si gonfiava sopra di noi.
Jerry il pilota disse: - Bisogna che il vento resti esattamente com’è. Allora possiamo farcela senza problemi, credo. Ma dobbiamo essere bocù fortunati.
Questo fece ridere entrambi. Ridevamo, più leggeri dell’aria, e il pallone non sembrava tanto un prodotto della scienza, quanto una preghiera improvvisata. Jerry distanziava le fiammate e teneva d’occhio il pirometro aggiungendo quel tratto di calore che bastava a compensare il raffreddamento dentro l’involucro. Era un gioco,  un giocattolo smisurato in cui ci ritrovavamo ingabbiati, con gli occhi spalancati di fronte alle fiamme guizzanti.
Il pallone era a strisce come una grossa caramella, e quando Jerry piegò verso sud intravedemmo una strada e un veicolo, il veicolo del recupero, un furgone a strisce in tinta col pallone con un piccolo rimorchio adibito al trasporto del pallone e della cesta.
L’impeto della fiammata, l’ascesa differita e Mariam che diceva: - E’ il più bel regalo di compleanno che abbia mai ricevuto.
- Non hai ancora visto niente, - dissi io.
- Come ti è venuto in mente? – mi chiese. Questa è una cosa che ho sempre desiderato fare senza saperlo. Oppure lo sapevo, ma non fino al punto di fare progetti. Devi avermi letto nel pensiero - . Poi disse: - Non sapevo quanto bisogno avessi di uscire all’aperto e rivedere questo paesaggio. Troppo presa dal lavoro. Ma non avrei mai creduto che l’avrei fatto da quassù. Quando hai detto alle quattro del mattino, ho pensato ma che razza di compleanno sarebbe?
Adesso lo sai, - dissi. – Ma lo sai solo a metà.
Eravamo vicini, il mio braccio intorno ala sua vita, le cosce che si toccavano, mentre venivamo cullati e spinti, volteggiavamo senza girare – era un turbinio interiore, un turbinio del sangue che ci tuffava dentro una sensazione esaltata. Stringevo la mano libera intorno a una sbarra di ferro, parte della struttura rigida che collegava la cesta ai cavi, e sentivo il metallo respirare nel pugno.

[…]

La brezza ci allontanò e il pilota tirò la manetta dell’alimentazione, regalandoci un’ultima ascensione di pochi centimetri. Vedemmo un muro di nuvole profilarsi a est, molte miglia più in là, e i falchi planare con quel morto del tutto naturale che induce a pensare che siano lassù, gli stessi due uccelli, da templi biblici. C’erano pietre capovolte in un campo, grandi rocce bronzee dai fianchi scolpiti. Sentivo la presenza di mia moglie accanto a me.  Vedemmo nubi di polvere alzarsi dalle colline scure, e un paio di macchine abbandonate acquattate nell’erba del pascolo, decapottabili con il tettuccio strappato. Tutto quello che vedevamo era lucente e denso di presagi, carico della bellezza delle cose che di solito non si vedono, persino le macchine corrose dalla ruggine. Il pilota indicò un oggetto a qualche miglio di distanza e vedemmo che era il veicolo del recupero, una gocciolina che rotolava giù per una lunga strada verso il punto dove saremmo atterrati.



(Don De Lillo, Underworld, trad. di Delfina Vezzoli, Torino, Einaudi, 1999, pp.129-32)


(Immagine sopra, tratta da: http://pdg-alessandrobutteri.blogspot.it/)



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