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Il
nome rivela le origini celtiche del luogo: Fortunacus ha desinenza -aco
che è contrazione di mag, ovvero casa presso un'acqua. Infatti vi è qui
una fonte di acqua perenne.
Secondo altri, il nome rimanderebbe alla dea Fortuna, a memoria di un tempio dedicato alla divinità pagana.
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VI-III sec. a.C., i Celti invadono la pianura padana e la zona degli
Appennini; tra i loro numerosi insediamenti vi è anche Fortunago.
•
V-VIII sec. d. C., dopo la caduta dell'impero romano le tribù germaniche
si insediano nell'Italia del nord; tra queste i Longobardi, che
stabiliscono la loro capitale a Pavia. Grazie a loro si diffonde nelle
terre dell'Oltrepò pavese l'uso della carne conservata, da cui discende
la nobile arte della produzione di insaccati.
• 950, Fortunacus appartiene con i comuni limitrofi al Comitato di Tortona, sottoposto a Oberto, marchese della Liguria.
• 1047, una bolla episcopale fa supporre che il feudo sia passato sotto la giurisdizione del Vescovo di Pavia.
•
1164, Federico Barbarossa consegna il feudo al principato di Pavia e,
in particolare, ai nobili Malaspina, difensori degli interessi
imperiali. Un diploma di Enrico IV del 1191 conferma la sudditanza di
Fortunago a Pavia ed è il più antico documento tuttora conservato del
borgo.
• 1362, Fortunago è preso da Luchino Dal Verme, capitano dei Visconti.
•
1470, Pietro dal Verme ottiene l'investitura feudale da Gian Galeazzo
Maria Sforza, ma nel 1485 muore avvelenato da Ludovico il Moro. Questi
l'anno seguente assegna i suoi possedimenti nel Pavese al cognato
Gerolamo Riario, signore di Imola e Forlì.
• 1546, i Riario vendono a
Cesare Malaspina il feudo, che torna così sotto gli antichi signori,
rimanendovi fino all'estinzione del feudalesimo.
• 1713, con il
trattato di Utrecht l'Oltrepò passa sotto la dominazione austriaca e,
una trentina d'anni dopo, è ceduto ai Savoia. Alla fine del '700, con la
rivoluzione napoleonica, passa sotto la giurisdizione francese e infine
torna ai Savoia.
• 1859, la provincia di Pavia entra nel regno d'Italia.
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Non ci si aspetti di trovare, in questo paesello, particolari tesori architettonici e storiciC'è, è vero, una torre, che è quel che resta dell'antica rocca, insieme a un tratto di mura. C'è la chiesa parrocchiale della seconda metà del Cinquecento. C'è un oratorio risalente al XVII secolo. Ma l'ingresso nell'Olimpo dei Borghi più belli d'Italia Fortunago lo deve a un attento e funzionale recupero delle atmosfere del passato.
Le facciate
tutte in pietra a vista, i serramenti di legno in tinta naturale, la
pavimentazione delle strade in mattonelle di porfido, l'illuminazione
curata e soffusa, le panchine di legno, i cestini in ghisa, l'attenzione
estrema per il verde pubblico, rendono questo paese adagiato sulle
colline dell'Oltrepò pavese un perfetto esempio di equilibrio tra
modernità e tradizione.
Il recupero architettonico nel rispetto
delle forme e dei materiali originari implica che alluminio, tapparelle,
intonaci lisci siano banditi. Ed è così che in Fortunago rivive con
naturalezza e semplicità quel piccolo mondo antico fatto di eventi
minimi e di nostalgia per ciò che non c'è più.
Buon gusto ovunque: la pietra viva degli esterni, i fiori ai balconi, i
ceri in chiesa, le siepi tagliate, gli insetti nei campi di mele, gli
uccelli sparsi nelle vigne, la focaccia cotta sulla pietra, gli abitanti
gentili.
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E se poi si va bene a guardare, qualcosa di
interessante si trova nel borgo. Ad esempio, una sorgente di acqua
minerale proprio dietro al ristorante dove si beve del buon vino. O il
trittico a tempera su legno nella secentesca chiesa di S. Giorgio, con
la tavola centrale firmata Pesina, databile XVI secolo. Nella lunetta
sopra il portale c'è una pregevole Annunciazione affrescata.
Appena
sotto la chiesa si notano i resti dell'antico castello con le
fondamenta di una torre rettangolare risalente al Quattrocento e alcune
tracce di mura.
Interessante anche l'attuale municipio che deriva da un'antica casa-forte.
Ma è tutto il paese, vestito a nuovo, ad ammaliare come una vecchia poesia, una nuova canzone.
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