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giovedì 1 febbraio 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il primo febbraio.
Il primo febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino Arturo Toscanini dirige la prima della Boheme, di Giacomo Puccini.
Intorno alla metà dell’Ottocento si sviluppa, in Francia, un atteggiamento mentale, più che un movimento, in virtù del quale gli artisti ed i giovani studenti esprimono il proprio malessere esistenziale ed il proprio anticonformismo vivendo una vita disordinata, squattrinata ed errabonda, in uno stato di intima solitudine. Il loro riferimento è il nomadismo degli zingari che, provenienti dalla Boemia, sono approdati in Francia. Colpito e coinvolto personalmente dal nuovo costume, il romanziere Henry Murger (Parigi 1822-61) ne fa materia delle sue “Scene della vita di bohème”, pubblicate a puntate sulla rivista “Corsaire” fra il 1847 ed il 1849.
L’opera autobiografica contribuisce notevolmente alla diffusione di quel modus vivendi al punto da ispirarne il nome: “bohèmien” diviene, da quel momento, il sostantivo ufficiale per indicare uno stile di vita improntato ad una libertà trasandata, spensierata, povera, a tratti malinconica, che in Italia assume il nome di “Scapigliatura”. Nel 1851 le “Scene” vengono raccolte in volume ed adattate per il teatro, con la collaborazione del drammaturgo Théodore Barrière.
Una mattina di 42 anni dopo, il 19 marzo 1893, in un caffè frequentato da artisti e letterati nel centro di Milano, si incontrano occasionalmente i compositori Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo. Amici di vecchia data, i due non si vedono da molto tempo e si immergono subito in una conversazione sui temi a loro più cari, e cioè la musica ed il teatro.
Il clima di armonia e di reciproca considerazione è destinato, però, a deteriorarsi improvvisamente quando entrambi scoprono di essere impegnati nella conversione in lirica della medesima opera teatrale: le “Scene della vita di bohème” di Murger. Da quel momento l’amicizia fra i due finisce, rimpiazzata da un’avversione reciproca che giunge a rasentare l’odio.
Il giorno successivo “Il Secolo” dà notizia dell’impegno in corso di Leoncavallo, seguito a ruota dal “Corriere della Sera” che pubblica una nota di Puccini il quale, nell’annunciare che anch’egli sta approntando una “Bohème”, rinvia ogni considerazione nel merito al giudizio finale del pubblico.
Il lavoro della collaudata coppia di librettisti Illica-Giacosa incontra mille difficoltà, non tanto per la permalosità dei due quanto per la spigolosità di Puccini, estremamente esigente oltre che titubante. L’inevitabile tensione sortisce addirittura la rinuncia di Giacosa, nel 1893, fortunatamente subito rientrata. A ciò si aggiunga il calo di entusiasmo, da parte del compositore, che nel 1894 abbandona il lavoro per dedicarsi all’opera “La Lupa”, di Verga; dopo pochi mesi, però, ritrova il fascino e l’interesse per la “Bohème”, ritornando dunque sui suoi passi. Superato brillantemente il complesso adattamento dell’opera originaria nella versione musicale, suddivisa in quattro atti, sul finire del 1895 il melodramma vede finalmente la luce.
L’opera racconta di quattro giovani bohémiens, un pittore, un poeta, un filosofo ed un musicista, che vivono insieme in una vecchia soffitta di Parigi, perennemente in arretrato con l’affitto. Una sera che Rodolfo, il poeta, si trova solo in casa, riceve la visita di una vicina, Mimì, che gli chiede aiuto per riaccendere il lume: tra i due si crea subito una profonda, intima intesa che sfocia in un travolgente amore.
Al caffè Momus, intanto – dove si intrattiene il resto del gruppo – Marcello, il pittore, incontra Musetta, sua vecchia fiamma, ed entrambi scoprono che l’antica, reciproca passione non si è mai sopita. Saranno due storie parallele e molto travagliate, fino a giungere entrambe alla separazione. Mimì, malata di tubercolosi, intanto si aggrava.
Qualche tempo dopo Musetta la incontra per le scale: la ragazza è molto debole e sta male. Musetta l’accompagna subito a casa dei quattro giovani e tutti insieme si prodigano per cercare di aiutare l’inferma. Ma Mimì muore, ed il racconto si chiude con la disperazione di Marcello che non ha mai smesso di amarla e che continua ad invocarne il nome fra lacrime e grida di dolore.
L’opera, caratterizzata da repentini passaggi dalla malinconia all’esuberanza, dalla poesia all’amara quotidianità, offre vari momenti di alta drammaticità e bellezza, come nelle arie divenute celebri “Che gelida manina” e “Sì, mi chiamano Mimí”, del primo atto; ma degne di nota sono pure le arie “Quando men vo’,” nel secondo atto, “Donde lieta uscì”, nel terzo, e “O Mimì, tu più non torni”, “Vecchia zimarra”, “Sono andati? Fingevo di dormire”, nel quarto.
Superata la divergenza di opinioni fra Puccini, che avrebbe preferito tenere la prima rappresentazione dell’opera al teatro “Costanzi” di Roma o al “San Carlo” di Napoli, e la casa Ricordi che aveva insistito per il teatro “Regio” di Torino, si opta di comune accordo per quest’ultimo. Il 1° febbraio 1896, dunque, va in scena la Prima della “Bohème” di Giacomo Puccini.
A dirigere l’opera c’è un altro grande nome del panorama musicale italiano: Arturo Toscanini, promettente ventinovenne anch’egli voluto dalla Ricordi contro il parere – anche in questo caso – di Puccini, che aveva indicato il maestro Leopoldo Mugnone. La serata va avanti senza intoppi e si conclude con un buon successo di pubblico, anche se l’autore deve fare i conti con le stroncature che la critica gli riserva sulla stampa, il giorno seguente.
Critici qualificati, fra cui Carlo Borsezio, parlano di “incidente di percorso” del maestro o di una sua “abdicazione”; di contro Puccini può confortarsi con il parere – alquanto isolato – del noto Carlo Colombiani il quale, invece, intravede nella “Bohème” una significativa crescita artistica del compositore. Col passar del tempo, e con la messa in scena dell’opera in altri prestigiosi teatri italiani, l’iniziale ostilità della critica deve cedere il passo al sempre più convinto entusiasmo del pubblico: dopo Torino, Roma, Napoli e Palermo, la “Bohème” approda in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Il suo crescente successo la iscriverà come la più nota opera del maestro lucchese e fra i capolavori della lirica italiana.
Non sappiamo se avrebbe conosciuto sorte migliore la “Bohème” di Ruggero Leoncavallo, se Puccini non avesse mai composto la sua. Certamente il compositore napoletano non ha avuto fortuna dovendosi confrontare con la genialità del rivale. La sua “Bohème”, tuttavia, andata in scena il 6 maggio 1897 al teatro “La Fenice” di Venezia, riscuote un ottimo successo ottenendo il viatico per continuare, ancora oggi, ad essere rappresentata.

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