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sabato 3 dicembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 3 dicembre.
Il 3 dicembre 1947, a Broadway, va in scena la prima di "Un tram chiamato desiderio", di Tennessee Williams.
Tennessee Williams è, con Arthur Miller, una delle due figure più eminenti  del teatro americano contemporaneo. Danno il cambio entrambi a Eugene O'Neil e fanno da ponte tra la generazione degli anni '30 (Clifford Odets, Maxwell Anderson, Elmer Rice, Thornton Wilder) e quella del dopoguerra. Tutti e due hanno un repertorio che continua a essere rappresentato sulle scene americane. E in passato hanno ricevuto una consacrazione internazionale grazie alla riduzione cinematografica delle loro opere, beneficiando del talento di un regista  come Elia Kazan. Ma si associano i loro nomi soprattutto  per meglio opporli. Di fronte a Miller il marxista,  accusatore e   vittima del maccartismo, l'uomo del presente e dell'azione militante, Tennessee Williams è presentato come l’intellettuale  freudiano, l'uomo della nostalgia e del sogno, che si rivolge all’immaginario collettivo tramite le immagini e i  miti. Si contrappongono  anche l'uomo del Nord all'uomo del Sud, arrivando addirittura a definire l’uno lo Scandinavo e l’altro  il Mediterraneo. Se l’intenzione è l’indicazione di  una polarità,   c'è comunque  una semplificazione eccessiva. Forse Tennessee Williams merita il titolo di “mediterraneo” a causa della sua predilezione per l'Italia, un'Italia dei grandi miti, ma anche un'Italia sensuale, eccitante, così come può rappresentarsela un americano educato nel puritanesimo. E comunque  le polarità, le opposizioni, le troviamo dentro la stessa personalità di Williams, e della sua fama. Com’è possibile, in particolare, che continui ad esercitare, ancora oggi, un così forte fascino, visto che ha praticato una forma di teatro che si può ritenere superato, o convenzionale, rispetto alle sperimentazioni newyorkesi degli anni '60? Non si potrebbe  sospettare in fondo che quest'uomo di teatro ha dovuto in parte la sua fortuna  a tutti quei  meravigliosi  interpreti del cinema che hanno saputo dare una presenza, uno spessore, una forza poetica ad un universo che avrebbe potuto, altrimenti, sembrare artificiale o ingenuo, o troppo pesantemente caricato di simboli?
Fra i drammi, o i film, che gli hanno di più decretato il  successo, c'è ovviamente Un tram chiamato desiderio (A Streetcar Named desire), che vedeva Vivien Leigh nel ruolo di Blanche Du; La rosa tatuata (The rose Tatoo), dove, di fronte a Burt Lancaster, Anna Magnani era  una siciliana più vera di una vera siciliana; Baby Doll, scritta direttamente per il cinema, e che rese famosa Carroll Baker in un ruolo di donna-bambina; La gatta sul tetto che scotta (Cat on a Hot Tin Roof), che opponeva Elizabeth Taylor a Paul Newman in una ricca piantagione del Mississippi; Improvvisamente l'estate scorsa (Suddenly Last Summer), dove Katherine Hepburn era una madre sublime e ossessiva; infine La notte dell'iguana (The Night of the Iguana), inseparabile nella nostra memoria dalla presenza inquietante di Ava Gardner e di Richard Burton.
Il mondo di Tennessee Williams  sono soprattutto quest'uomini e queste donne che,  al di  là o al di qua della psicologia tradizionale, si desiderano e si odiano, a volte senza saperlo, sempre senza volerlo, e  si dilaniano a vicenda  in un'atmosfera elegante e tragica in cui, sotto l’allure raffinata, agisce una ferocia selvaggia. Sono queste  vesti  bianche e immacolate e questi corpi che respirano affannati, i cubetti di ghiaccio che tintinnano nei bicchieri e l'alcolismo che opera le sue silenziose devastazioni. Sono questi personaggi semplificati come lo sono gli eroi dei western e quelli delle grandi tragedie, queste figure inseparabili dall’ambiente che li circonda e che è come il segno del loro destino. È un clima d'oppressione quasi atmosferica, un clima pesante che precede la  tempesta, dove gli odori forti  si mescolano con i versi stridenti degli uccelli  rapaci o le grida dei bambini, ricordando che il mondo è una giungla. Sono le musiche nostalgiche, brani jazz e note di pianoforte  che si odono lontane.
Della vita di Tennessee Williams, le sue memorie, pubblicate nel 1975 per ragioni apertamente commerciali, ci consegnano soltanto la superficie. Droga, esperienze, discussioni sfilano con monotonia in confidenze  false,  “appiattite” dal magnetofono. Non utili  per apprendere  se c'è corrispondenza tra l'uomo e l'universo chiuso, ossessivo, brutale, squilibrato che ha saputo creare. Bisogna ricorrere ad altre fonti, alla leggenda e la storia già note. Fu, si sa, un bambino delicato, allevato soprattutto da donne, con un padre collerico e spesso assente. È soltanto alla morte di questo padre, nel 1957, che Tennessee Williams si sottoporrà alla psicoanalisi. Ebbe una sorella, Rose, fragile come lui, compagna di  gioco, che fu più tardi internata  per schizofrenia: «I petali del suo spirito sono ripiegati dalla paura», scriverà  suo fratello a proposito della sua malattia. Sarà il modello della ragazza dalla fragilità di vetro soffiato, Laura, nello Zoo di  vetro (The Glass Menagerie).
«Tennessee» (Tenn per gli intimi) sarà  lo pseudonimo scelto dal giovane Thomas Lanier Williams per ricordare - dice la leggenda - la lotta dei suoi antenati contro gli indiani nello  Stato omonimo, ed annunciare quella del giovane autore che voleva essere, dell'artista pioniere…  Ha sempre mentito sulla sua età, che si ringiovaniva di tre anni a partire da un concorso letterario al quale poté partecipare grazie a questo sotterfugio. Conobbe, a Saint Louis, la povertà, ed il suo rifugio era nel Sud, dai nonni, dove ritrovava la sua infanzia. I suoi problemi successivi:  la sua timidezza morbosa, il suo gusto della solitudine, la sua paura delle donne e la sua inclinazione per i giovani uomini, la sua erranza che lo conduce incessantemente «dal  divano dello psicanalista alle spiagge dei Caraibi», alla ricerca di una riconciliazione impossibile con sé stesso e con il mondo, le sue cure di disintossicazione, il suo innamoramento per il poeta Hart Crane, che doveva suicidarsi a trentatré anni, tutto ciò certamente si radica nella sua infanzia. Il puritanesimo dei suoi avi, che associa sessualità e colpa, è fortemente ancorato in lui ed egli cercherà, nella sua vita come nella sua opera, «di risputarlo». Non è necessario  sapere di più, tranne che si mise presto a scrivere novelle, genere letterario che, si sa, ha una connessione stretta con il teatro. Il suo apprendistato del teatro propriamente detto, Tennessee Williams lo fece nel 1936 con la troupe  dei  "Mummers" di Saint Louis, che furono, disse, il suo «apprendistato professionale». C'è soprattutto l’incontro con Elia Kazan, che, oltre al suo talento, porterà alle sue pièce “il metodo” dello Actor's studio: senso behavioristico  della psicologia, accento posto sull'azione fisica, rispetto dell'ambiguità, o, meglio, del segreto dei personaggi. Il successo di questo teatro sarà, occorre sottolinearlo, un grande successo popolare.
Uno dei punti  di forza del teatro di Williams è  che la sua drammaturgia rimane ancorata in profondità  nei fantasmi soggettivi, ossessivi dell'autore,   sorretti «dalla ragnatela di una mostruosa complessità»  costituta dalle «passioni e immagini che ciascuno di noi tesse attorno a sé tra la nascita e la morte». Tutto il problema consiste, per il drammaturgo, nel rendere comunicabile  quest'equazione personale. Se vi giunge, è per mezzo di  una lingua soprattutto extra-verbale  fondata su  un  «vocabolario di immagini». Un'immagine è spesso il punto di partenza di una pièce. Così per Un tram: «Vedevo una donna seduta su una sedia, in atto di attendere invano qualcosa, forse l'amore. La luce della luna splendeva attraverso la finestra,   suggerendo  la follia. Ho scritto la scena dandole il titolo: La sedia di Bianca al chiaro di luna».  Non c'è qui una preoccupazione d’ ornamento estetico ma necessità di comunicare una visione: «In una pièce, un simbolo ha un solo scopo legittimo, quello di dire una cosa in modo più diretto, con maggior semplicità e bellezza delle parole». O anche: «Il simbolo non è nulla di diverso che la forma naturale dell'espressione drammatica».
Questa qualità visiva delle sua drammaturgia spiega l’agio  con il  quale essa si presta all'adattamento cinematografico. Notiamo tuttavia che la visione passa spesso per il tramite  della lingua, e che il gioco drammatico consiste nella  corrispondenza  tra la narrazione e l'immagine scenica; come se Williams procedesse alla messa in dramma di un racconto  propriamente romanzesco, di una proiezione della sua immaginazione. Fin dal titolo, a volte, appare la metafora centrale sulla quale è costruita la pièce,  Rosa tatuata,  La gatta sul tetto che scotta,  o La dolce ala della giovinezza. A partire da qui, le linee si tessono in ogni  senso tra le parole e le cose. Così, ad esempio, nella Rosa tatuata: tra il nome di Serafina delle Rose, quello di sua figlia Rosa, il tatuaggio sul petto del marito, che sente bruciare sul proprio seno quando concepisce un bambino, quello che il deuteragonista  si fa fare per piacerle, la camicia di seta rosa che il coro delle donne, nella scena finale, farà passare di mano in mano. È il simbolo femminile della rosa che passa dalla femmina al maschio.  me anche in  Improvvisamente l'estate scorsa, l'episodio dell'arcipelago delle Galapagos, con, sul vulcano spento, la lotta contro la morte delle  piccole tartarughe di mare: tutta la spiaggia, colore cinereo, che avanza verso il mare mentre il cielo, nero anch’esso,  rumoreggia  e gli uccelli carnivori planano  a divorare le  tartarughe.
L'ossessione principale di Tennessee Williams, se ne ce n'è una, è forse la fuga del tempo. «Il nemico, il tempo, in ciascuno di noi», tema e frase finale de La dolce ala della giovinezza  (Sweet bird of Youth), si ritrova, sotto una forma o sotto un'altra, in ciascuna delle sue pièce. Volere fermare  il tempo è una delle motivazioni dell'artista: il teatro,  diversamente  dalla vita, lo condensa il tempo. Come la meditazione, il tragico sospende l’istante. Luogo chiuso, la scena è anche un tempo  chiuso dove gli eventi conservano il loro statuto di eventi. Ma l’istante  sospeso può essere un passato risuscitato. Una pièce può intitolarsi Improvvisamente l'estate scorsa;  Zoo  di vetro può essere definita dal suo autore «una pièce della memoria», tutto essendo visto attraverso il prisma della memoria. Nostalgia e paura del futuro vanno di pari  passo  nei personaggi di Williams. Rovine o monumenti di ciò che furono, devono sopravvivere alla loro giovinezza, alla loro bellezza, e tutto ciò che resta loro è di accelerare la loro distruzione con l’alterazione mentale o la passione. Gli uomini di Williams invecchiano meglio delle donne. L’autore le coglie preferibilmente verso la trentina, quando la loro bellezza è al culmine, al momento in cui  la forza devastatrice operante  in esse rende più straziante ciò che di lì a poco  sparirà. È Chance Wayne  in Dolce ala della giovinezza o Brick in La gatta sul tetto che scotta (1955). Il fascino  di Brick  discende dal suo tratto disincantato. Fare l'amore non genera in lei  alcuna preoccupazione, ma l'indifferenza elegante, la nonchalance.  Gli uomini sono delle creature splendide, docili  animali  covati da  sguardi di  femmina, resa folle quando quelli non vogliono più saperne, e allora  è come quando i gatti non riescono più  a posare le zampe in un  tetto di  zinco arroventato dal  sole. Le donne diventano dure, nevrotiche, rovinose, frangibili come il vetro, dominatrici ed impotenti. Ma negli uomini altresì, la morte incombe, la morte magnifica, come al cinema, o la morte insidiosa della malattia, o ancora la morte da calvario, il calvario dove si trascinano queste passioni inspiegabili contro le quali combattiamo invano. Lo scioglimento finale è sempre giusto, fuori  da ogni proporzione, come nella tragedia antica. In Improvvisamente  l'estate scorsa, Sebastian, dall’appetito (sessuale)   mai soddisfatto, sarà letteralmente divorato da ragazzi magri, morti di fame e  feroci come uccelli. Gli uomini e le donne sono vittime di questa solitudine fondamentale che è il nostro destino. «Tutti siamo condannati alla reclusione solitaria dentro la nostra pelle».  «Il lirismo personale» non  è che «il grido di un prigioniero nella cella  in cui, come noi tutti, è chiuso per la durata dei suoi giorni».
Il ruolo del drammaturgo consiste nel radunare  queste solitudini inconciliabili, cercare di fare scaturire da una situazione d'attesa, o di crisi, un momento di verità, il lampo di una rivelazione un attimo prima della distruzione. Anche quando i suoi personaggi  «esistono» intensamente ̶ anche se Tennessee Williams, come dice propriamente il critico Gerald Weales «mette  delle  vere rane nei suoi giardini immaginari» ̶, questo momento di verità non è mai d'ordine psicologico. Fa piuttosto apparire, sotto la superficie pulita, i grandi archetipi dell'umanità. Anche se c'è una verità delle relazioni umane, anche se la natura degli attori riesce a sventare ogni rischio di declamazione, lo stile non è realistico, l'evidenza è d'ordine poetica.  La cosa  stupefacente  è  che Tennessee Williams riesce spesso a fare passare questo clima poetico, a rendere «il segreto» albergante  nel cuore di ciascuno con dialoghi anodini dove si mescolano il meglio ed il peggio, dove sono violate tutte le leggi d'economia della scrittura, dove si trovano battute sentenziose come: «Si è molto più soli con una persona  che amiamo  e che non ci ama più di quanto si è quanso siamo realmente soli». Certa critica francese si è spesso elevata  contro le offese al buon gusto che abbondano nella sua opera. Robert Kemp denunciava, nel 1949, in Un tram..., «questo miserabile esempio dell'arte americana». Tuttavia, i migliori registi, in Europa, sono stati attratti da Williams. Peter Brook ha messo in scena La Gatta ..., Visconti Lo zoo di vetro. Quest'opera popolare, di cui è rimasta ancora vasta traccia visiva per via dei film interpretati da miti quali Marlon Brando, Paul Newman o Liz Taylor,  è da prendere con le sue ingenuità e le sue esagerazioni. Il grottesco dopotutto fa parte della  sua  estetica romantica.
Williams fu trovato morto nella stanza dell'Hotel Elysee a New York, ove risiedeva, il 25 febbraio 1983. Sembra sia stato soffocato dal tappo di un collirio spray. In effetti l'alcolismo riduce i riflessi, tra cui quello della tosse. Secondo alcuni, la causa della sua morte sarebbe invece una overdose di alcool e barbiturici.

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