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mercoledì 5 giugno 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 5 giugno.
Il 5 giugno 1224 Federico II di Svevia fonda l'università di Napoli.
È dal 1992 che l’Università di Napoli è stata intitolata a Federico II, a sottolineare le sue antichissime origini, risalenti al 5 giugno 1224, quando l’imperatore svevo, nonché re di Sicilia, da Siracusa emanò l’editto istitutivo. A differenza che a Bologna e in altre città, lo Studio napoletano nacque con un atto imperiale, volto a formare i gruppi dirigenti necessari al governo dello Stato. Questa origine laica non avrebbe però impedito pesanti intromissioni della Chiesa nella sua vita culturale. La storia plurisecolare dell’Università di Napoli ebbe molti momenti oscuri e battute d’arresto, ma anche slanci innovativi che attirarono sui suoi docenti l’attenzione del mondo universitario e accademico europeo. Anche nelle fasi più difficili mai perse la forza di attrazione su una popolazione studentesca provinciale che nella formazione universitaria vedeva delle prospettive di ascesa sociale e di elevazione culturale. Napoli fu l’unica città meridionale sede di studi universitari (a parte la scuola medica salernitana) fin dopo l’Unità. Ciò contribuì alla sua crescita demografica e al suo prestigio di città capitale. A Napoli studiarono Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca. Particolarmente importante fu la scuola di diritto civile, soprattutto la feudistica, che ebbe risonanza europea. Dopo l’avvento degli spagnoli, ai primi del Cinquecento, lo Studio napoletano non subì più sospensioni e chiusure, tranne brevi periodi legati a moti, pesti e carestie. Le sue condizioni rimasero però stentate, senza una sede fissa, e con stipendi tra i più bassi in Italia e in Europa. L’assolutismo regio e i timori ecclesiastici di diffusione dei movimenti di riforma religiosa portarono a un clima di pesante controllo sulle istituzioni culturali. Una bolla pontificia del 1564 impose a tutti i lettori e dottori dell’università il giuramento di fede cattolica. A questo il viceré Ossuna nel 1618 aggiunse il giuramento di fede nell’Immacolata Concezione. Il viceré Fernandez de Castro conte di Lemos (1610-1616), fece costruire un’apposita sede fuori della porta di Costantinopoli (l’attuale Museo nazionale). L’edificio ospitò gli Studi fino al 1680, quando fu destinato a uso militare e l’Università fu di nuovo trasferita in S. Domenico.  Alla fine del Seicento, la ripresa delle istituzioni accademiche favorì lo sviluppo delle scienze e la diffusione delle maggiori correnti innovative del pensiero europeo, che subito suscitarono l’intervento repressivo della Chiesa (i processi ai cosiddetti «ateisti»). Il rinnovamento culturale esterno all’Università rese sempre più evidente la necessità di una riforma degli studi, che fu ripetutamente dibattuta nel corso del XVIII secolo. Un progetto di Celestino Galiani del 1732 per il potenziamento degli studi scientifici, l’introduzione di insegnamenti meno dottrinari, come la Storia ecclesiastica e il diritto della natura e delle genti, la perequazione degli stipendi, l’attribuzione all’Università stessa della facoltà di dottorare, sottraendola ai Collegi. Ma solo dopo l’avvento di Carlo di Borbone, nel 1734, fu possibile realizzare alcune delle sue proposte. La maggiore novità di quegli anni fu l’istituzione della cattedra di «meccanica e di commercio», cioè di economia politica, la prima in Europa, affidata nel 1754 ad Antonio Genovesi. Il suo insegnamento, svolto in italiano e fondato sui principali testi del pensiero economico e politico europeo, formò migliaia di giovani che a loro volta diffusero le nuove conoscenze nelle province, in scuole private o nelle scuole regie create dopo l’espulsione dei Gesuiti (1767).  Nel 1777 lo Studio fu trasferito nell’edificio del Salvatore o Gesù Vecchio, già sede del Collegio Massimo gesuitico. Dopo alcuni interventi parziali, una trasformazione radicale e per larga parte irreversibile fu realizzata durante il cosiddetto Decennio francese (1806-1815), con Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. La nuova Università si articolava nelle cinque facoltà di lettere e filosofia, matematica e fisica, medicina, giurisprudenza, teologia. Collegati all’Università e diretti da professori erano l’osservatorio astronomico, l’orto botanico, i musei di mineralogia e di zoologia. All’Università erano collegati anche il Collegio medico-cerusico presso l’Ospedale degli Incurabili e la clinica ostetrica. La Scuola veterinaria, già fondata da Ferdinando IV nel 1798,  fu ristabilita da Murat nel 1812. L’Università riaprì le porte a decine di scienziati e letterati costretti all’esilio dopo gli eventi rivoluzionari del 1799. Creato il 6 marzo 1848 il Ministero della Pubblica Istruzione, l’Università fu posta alle sue dipendenze. Una Commissione provvisoria, della quale fecero parte Salvatore Tommasi, Francesco De Sanctis, Luca de Samuele Cagnazzi, si mise a lavorare per il suo riordinamento. Ma le aule erano svuotate dagli eventi politici, molti studenti erano partiti volontari per la guerra o impegnati sulle barricate. La reazione portò a nuove destituzioni, al carcere e all’esilio, e a un ancor più severo controllo politico sul mondo della cultura. Nel 1852 si pensò a dotare l’Università di un santo protettore, S. Tommaso d’Aquino, effigiato su medaglia dorata da portare al collo con il nastro celeste dell’Immacolata. Nel 1857 furono imposti agli studenti provenienti dalle province una carta di soggiorno da rinnovare ogni due mesi e un certificato di pietà religiosa. Napoli arrivava all’unificazione italiana con una Università «decaduta e deserta», come scriveva Alfredo Zazo a settecento anni dalla sua fondazione. Dopo l’Unità, Francesco De Sanctis, Direttore e poi Ministro della Pubblica istruzione, si disse fermamente intenzionato a «fare dell’Università di Napoli la prima Università di Europa». De Sanctis difese alcuni aspetti peculiari della tradizione universitaria napoletana, contro una rigida uniformazione alla legge Casati del 1859. Le leggi Bonghi e Coppino del 1875 e 1876 uniformarono poi lo statuto dell’Università napoletana a quello delle altre Università italiane. Mentre la popolazione studentesca raddoppiava, portandola al terzo posto in Europa dopo Berlino e Vienna, restavano gli annosi problemi delle sedi, cliniche, laboratori scientifici, nonché delle risorse finanziarie: tema costante delle prolusioni e delle relazioni inaugurali dei rettori negli anni seguenti, nonché della loro azione presso il Ministero. Il colera del 1884 mise a nudo le terribili conseguenze dell’alta concentrazione in quartieri malsani, dove erano ubicate anche le sedi universitarie: queste divennero parte integrante del piano per il Risanamento della città, e della relativa legge del 15 gennaio 1885. Il 16 dicembre 1908 fu solennemente inaugurato il nuovo edificio sul Corso Umberto. Secondo i dati forniti dal rettore Giovanni Paladino, l’Ateneo napoletano aveva allora 6471 studenti, che lo collocavano tra i più popolosi in Europa.  Nuovi indirizzi furono fissati con la riforma Gentile del 1923. Molti professori aderirono al Manifesto di Croce del 1925 e numerose manifestazioni studentesche furono organizzate tra il 1923 e il 1930. Ma con il rettore Arnaldo Bruschettini (1927-1931), della Facoltà giuridica, si ebbe l’esplicita adesione alle direttive del partito fascista su La funzione politica dell’Università, come recitava il titolo della sua relazione del 1928-29. Attivata l’Opera Universitaria, contributi furono erogati al Gruppo Universitario Fascista e alla Milizia Fascista Universitaria. Anche l’Università di Napoli fu colpita dalle leggi razziali. Studenti e docenti continuarono a crescere nonostante il plurisecolare monopolio napoletano degli studi universitari fosse stato infranto nel 1925 dalla nascita dell’Ateneo di Bari. Le devastazioni della guerra colpirono direttamente l’Ateneo. Laboratori e gabinetti scientifici furono requisiti dagli alleati. L’edificio centrale di Corso Umberto fu incendiato dai tedeschi il 12 settembre 1943. Nel 1944 il nuovo rettore Adolfo Omodeo, poi scomparso nel 1946, presentava un bilancio catastrofico. Dopo Gaetano Quagliariello, toccò a un altro storico, Ernesto Pontieri, rettore tra il 1950 e il 1959, affrontare il compito immane della ricostruzione, mentre il numero degli studenti balzava dai 14.398 iscritti del 1940-41 a 20.033 nel 1950-51 e 26.514 nel 1951-52. Mutava profondamente l’Università, che non solo per il numero degli studenti ma anche per la loro provenienza sociale perdeva definitivamente il carattere elitario che aveva conservato nell’Ottocento.  Ristrutturazioni, restauri, progettazione e costruzione di nuove sedi caratterizzarono la politica universitaria dei vent’anni successivi. Con dieci Facoltà, due Policlinici, circa 75.000 studenti, più della metà dei quali a Medicina, Giurisprudenza e Scienze, quello di Napoli negli anni Settanta era ormai un Mega-ateneo, che la creazione di nuove Università (Salerno 1968, Basilicata 1979) non valse a decongestionare: dagli anni Ottanta la popolazione studentesca avrebbe superato le 100.000 unità, per poi attestarsi intorno a questa cifra anche dopo la nascita, nel 1992-93, di un secondo Ateneo. Non solo per i numeri, ma anche e soprattutto per le profonde trasformazioni del contesto sociale e culturale di provenienza, nel 1968 il filosofo Pietro Piovani, grande educatore di schiere di studenti, decretava la fine dell’Università nazionale moderna nata nell’età napoleonica, in precario equilibrio tra scienza e professione. Non «si può pretendere – scriveva – che l’Università fornisca un’universalità che la cultura circostante non possiede». 

martedì 13 dicembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 13 dicembre.
Il 13 dicembre 1250 muore Federico II di Svevia.
Federico II di Svevia, re di Sicilia, fu colto edificatore, protettore delle arti e grande rinnovatore per i suoi sostenitori, ma anche temibile nemico della cristianità, per i pontefici che lo avversarono. Fu un personaggio affascinante, dal grande spessore politico e culturale, che seppe dare vigore e orgoglio alle genti del Meridione italiano. Le sue tracce sono oggi ancora rintracciabili.
Federico Ruggero nasce a Jesi il 26 dicembre 1194, sotto una tenda innalzata nella piazza, come aveva voluto la madre, Costanza d' Altavilla, figlia di Ruggero Il Normanno, Re di Sicilia, e moglie dell'Imperatore Enrico VI, della grande dinastia tedesca degli Hohenstaufen, figlio di Federico I Barbarossa.
Il padre Enrico VI muore nel 1197, quando Federico II ha solo tre anni. A lui solo è destinata l'eredità del regno dell'Italia meridionale. In Sicilia, cacciati tutti i signori germanici dal regno, Costanza d'Altavilla assume la reggenza di Federico. Coerentemente col testamento del marito, conduce trattative prima con papa Celestino III, poi con Innocenzo III. Riconosce la supremazia del papa sul regno normanno e conclude un concordato nel quale rinuncia all'impero per conto del figlio, la cui reggenza viene affidata al papa.
Nel 1198 scompare anche la madre e Federico, il 18 maggio 1198, a soli quattro anni, viene incoronato Re di Sicilia, Duca di Puglia e Principe di Capua, e viene affidato alla tutela del Pontefice Innocenzo III.
Per lui il Papa avrebbe voluto un destino tranquillo, lontano dalla vita politica, tuttavia Federico non si sottrarrà al destino che per lui sembrava segnato.
Incoronato Re il 26 dicembre del 1208, a quattordici anni, Federico mostra subito di avere le idee chiare. I suoi primi pensieri sono rivolti al sud dell'Italia dove la situazione era tutt'altro che facile. Durante gli anni della sua permanenza in Germania il regno di Sicilia era rimasto in balia dei comandanti militari tedeschi. Inoltre, feudatari e comunità cittadine avevano approfittato della debolezza della monarchia per estendere i loro domini e le loro autonomie.
Il suo primo obiettivo era quello di rivendicare tutti i diritti regi che erano stati usurpati nel trentennio precedente. Federico decide di confiscare tutte le fortezze costruite abusivamente negli anni, rivendica i diritti dello Stato su passi, dogane, porti e mercati, e annulla le pretese dei signori locali e le esenzioni di cui godevano i mercanti stranieri.
Anche i feudi vengono riportati sotto il controllo del Re: Federico ne vieta la vendita senza la sua autorizzazione. Impone inoltre il suo necessario assenso per i matrimoni dei vassalli. Contemporaneamente Federico adotta misure per facilitare gli scambi e garantire la sicurezza delle strade.
Federico vuole potenziare l'apparato burocratico-amministrativo dello Stato e necessita di giuristi e funzionari ben preparati: nel 1224 fonda a Napoli la prima Università statale del mondo occidentale, concedendo facilitazioni di vario genere a coloro che volessero frequentarla e proibendo allo stesso tempo ai suoi sudditi di recarsi a studiare alla concorrente Bologna.
L'impegno di Federico per la popolazione e la terra del Meridione si intensifica con l'impulso che dà alla Scuola Medica di Salerno, e con la promulgazione da Melfi delle Costituzioni, che diedero l'ossatura al suo Stato centralizzato. Su una collina della Capitanata in Puglia, fa edificare, tra gli altri, il celebre Castel del Monte, che egli stesso progetta.
Innovativo anche in campo giudiziario, Federico II pone il criterio di equità al centro del suo impegno ad amministrare la giustizia senza eccezioni di sorta nel confronti di nessuno. Viene enunciato il culto della pace, di cui il re si fa garante. In questo compito i giudici svolgono, in nome del sovrano, una funzione pressoché sacra, un intento che viene confermato da alcune puntuali correlazioni: il giuramento imposto a tutti i ministri di agire con equità, l'irrigidimento dei criteri di selezione ed il forte impegno per elevare il livello culturale dei funzionari regi.
In campo economico, Federico lotta nelle principali città del Sud, contro l'usura: a Napoli e Bari soprattutto vi erano quartieri ebraici in cui si svolgevano attività di prestito di denaro con restituzione di interessi. Federico non desidera che gli ebrei siano vittime dei cristiani, ma non vuole nemmeno che vi sia un disequilibrio. Riconduce le attività economiche degli ebrei sotto il controllo pubblico, accordando loro protezione, imparziale giustizia e garanzia dei diritti, come a tutti gli altri sudditi del regno.
Federico cadde vittima di una grave patologia addominale, forse dovuta a malattie trascurate, durante un soggiorno in Puglia; secondo Guido Bonatti, invece, sarebbe stato avvelenato. Egli, difatti, qualche tempo prima aveva scoperto un complotto, in cui fu coinvolto lo stesso medico di corte. Comunque, le sue condizioni apparvero immediatamente di tale gravità che si rinunciò a portarlo nel più fornito Palatium di Lucera e la corte dovette riparare nella domus di Fiorentino, un borgo fortificato nell'agro dell'odierna Torremaggiore, non lontano dalla sede imperiale di Foggia.
Leggenda vuole che a Federico fosse stata predetta dall'astrologo di corte, Michele Scoto, la morte “sub flore”, ragione per la quale pare egli abbia sempre evitato di recarsi a Firenze. Allorché fu informato del nome del borgo in cui infermo era stato condotto per le cure necessarie, Castel Fiorentino per l'appunto, Federico, comprese e accettò la prossimità della fine.
Federico II di Svevia ricostruì l'impero, costruì il primo stato centralizzato, imbrigliò le ambizioni temporali della chiesa e ammaliò il mondo con la naturalezza con cui compì quest'opera che oggi è da considerarsi titanica.

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