Buongiorno, oggi è il 9 luglio.
Il 9 luglio 2004 la Commissione Americana al Senato sui servizi di Intelligence assolve la Casa Bianca, poiché la decisione di attaccare l'Iraq sulla base delle (false) notizie sulla presenza nel Paese di armi di distruzione di massa era basata su rapporti falsati.
Dopo che Saddam Hussein era stato praticamente solleticato a prendersi il Kuwait, e dopo che l'Iraq si era svenato per dieci anni in una guerra contro l'Iran, la mossa gli scatenò contro la più grande coalizione militare della storia ai tempi di Bush senior nel 1991.
Poi, nel 2003, c'era da finire il lavoro e il segretario di stato Powell si presentò all'Onu con la storia delle armi di distruzione di massa. E il lavoro fu finito. Però, sul campo tali armi non vennero mai trovate e solo nel 2010 si insinuò che forse non c'erano mai state. Ma ormai le cose erano fatte. Peccato che non siano mai finite, da quelle parti. Senza la dittatura di Saddam l'Iraq è finito nel caos, così come la Libia senza la dittatura di Gheddafi. Stesso servizio doveva essere fatto con la Siria, ma qui le cose si sono rivelate più complicate.
Comunque, un fatto poco noto riguarda l'Inghilterra di Tony Blair, nel 2003 alleato di ferro degli Usa di Bush jr. In quell'anno una traduttrice inglese, Katharine Gun, lavorava all'ente governativo di comunicazioni per i servizi segreti GCHQ (Government Communications HeadQuarters, con sede a Cheltenham). La giovane donna intercettò un messaggio di tal Frank Koza, dell'NSA (National Security Agency) americano. In esso si raccomandava, ovviamente in via top secret, di far pressioni sui membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu perché autorizzassero l'intervento anglo-americano in Iraq. Il fatto era che il governo inglese aveva qualche difficoltà a far digerire la guerra sia al popolo che allo stesso apparato.
Infatti, il procuratore generale, lord Goldsmith, aveva dato parere negativo: senza mandato Onu, la Gran Bretagna non aveva alcun diritto di attaccare l'Iraq. Goldsmith, però, viaggiò a Washington e al ritorno aveva cambiato misteriosamente idea. Ora, la traduttrice Katharine Gun era sposata con un curdo. Così, pensò bene di far pervenire quel che aveva scoperto alla redazione dell'Observer, quotidiano fin lì favorevole alla guerra.
La Gun fu scoperta e processata per tradimento. Ma poi, a ridosso delle elezioni, le accuse a suo carico vennero ritirate per non dare ulteriore pubblicità alla faccenda. Sulla vicenda è stato scritto un libro, The Spy who tried to stop a War, di Marcia e Thomas Mitchell e infine tratto un film.
Intervistata sul perché avesse deciso di tradire il suo Paese rivelando quel che sapeva alla stampa (e rischiando, oltre al carcere, l'espulsione del marito), disse che non aveva tradito il Paese, bensì i suoi governanti del momento che quella guerra non era solo a Saddam ma anche a 30 milioni di irakeni.
In effetti, di questi ne morirono circa un milione, pare. Più, 4600 inglesi e americani. Il film non risparmia nemmeno i particolari grotteschi che la vicenda a un certo punto assunse. Per esempio, la stampa filogovernativa, per sostenere che si trattava di un falso, puntò i riflettori su certe parole del messaggio trafugato, parole che gli americani scrivono in modo leggermente diverso dagli inglesi, come recognise anziché recognize. Ebbene, venne fuori che la redattrice dell'Observer, nel batterle al computer, aveva fatto ricorso, meccanicamente, al correttore automatico.
Furono l’intelligence americana e quella tedesca – che gestì le sue informazioni – a dare a Rafid Ahmed Alwan al-Janabi, l'ingegnere iracheno il cui racconto fu usato dagli USA, il nome in codice di “Curveball” (palla a effetto). Janabi era stato un ingegnere chimico in Iraq, ma era scappato nel 1995 per poi ottenere asilo nel 2000 in Germania. Tre settimane dopo, a quanto ha raccontato Janabi in una confessione durata due giorni con i giornalisti del Guardian, un responsabile dei servizi segreti tedeschi lo andò a cercare dopo aver saputo della sua professione in Iraq. Janabi allora gli raccontò molte cose sulla produzione di armi chimiche in Iraq, e quelle cose furono così interessanti e articolate da diventare, nel giro di tre anni, la fonte principale del famoso discorso di Colin Powell all’ONU, quello con cui gli Stati Uniti accusarono l’Iraq di essere in possesso di armi di distruzione di massa e costruirono le ragioni della guerra contro Saddam Hussein.
Ma della fondatezza di quell’accusa è stata ormai acclarata la falsità, e le nuove confessioni di Janabi al Guardian le danno un durissimo colpo: l’uomo ha ammesso di essersi inventato gran parte di ciò che raccontò allora, a quanto si legge negli articoli sul quotidiano inglese.
«Forse era vero, forse no. Mi dettero questa opportunità, di costruire qualcosa per abbattere il regime. Io e i miei figli siamo fieri di averlo fatto e di essere stati la ragione per dare all’Iraq la possibilità di una democrazia»
«Avevo un problema col regime di Saddam: volevo liberarmene e ne ebbi la chance»
Janabi – che vive ancora in Germania, a Karlsruhe – ha raccontato di avere dato all’agente tedesco informazioni inventate su camion di armi biologiche con cui aveva lavorato a Baghdad. Raccontò di ruoli e dettagli inventati, che vennero messi in dubbio da altre testimonianze, in particolare da quella del suo ex capo interpellato a Dubai. Quei racconti arrivarono all’intelligence americana, e nel 2003 Colin Powell parlò di “descrizioni di prima mano su fabbriche mobili di armi biologiche” e disse che “la fonte è un testimone diretto, un ingegnere chimico iracheno che ci ha lavorato. Era presente durante la produzione di agenti biologici e anche quando nel 1998 un incidente uccise dodici tecnici”. Janabi aveva avuto successivi incontri con l’intelligence tedesca che aveva girato le sue informazioni agli Stati Uniti.
Ma la storia delle armi di distruzione di massa è diventata via via più fragile negli anni successivi all’inizio della guerra, e il racconto di Jalabi era già stato molto contestato. Poi ha confessato.
“Quando penso che qualcuno viene ucciso – non solo in Iraq ma in qualunque guerra – sono molto triste. Ma ditemi un’altra soluzione. Sapete dirmela? Credetemi, non c’era altro modo di portare la libertà in Iraq. Non c’era nessuna altra possibilità»
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