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martedì 1 novembre 2022

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il primo novembre.
Il primo novembre 1512 viene mostrato al pubblico per la prima volta il soffitto della Cappella Sistina.
Papa Giulio II (Della Rovere), nipote di Sisto IV, chiamò Michelangelo a Roma nel 1505 per affidargli la realizzazione del proprio sepolcro, ma quando egli vi giunse, nel 1506, dopo aver trascorso otto mesi a Carrara per scegliere i marmi, il papa non volle concedergli nemmeno udienza, essendo preso da tutt'altre cose, di tipo politico e militare.
Offeso per questo atteggiamento, Michelangelo se ne tornò a Firenze. Senonché il pontefice, con tre lettere intimidatorie, lo obbligò a ritornare a Roma, questa volta però per realizzare un progetto completamente diverso.
Una grossa crepa s'era infatti aperta nel 1504 sul soffitto della Cappella Sistina, il luogo più rappresentativo del mecenatismo di Sisto IV. Dopo aver riparato i danni, il pontefice s'era reso conto che la volta stellata andava completamente rifatta, e scelse come argomento una rappresentazione degli apostoli di Cristo, insieme ad alcuni ornamenti geometrici. Da notare che dalla morte di Sisto IV a Giulio II nessuno aveva osato por mano in maniera artistica alla Cappella, tanto sembrava perfetta e conclusa.
Michelangelo aveva 28 anni e non aveva accettato con entusiasmo il progetto, perché si sentiva più scultore che pittore, e anche perché la vastità dell'impresa l'avrebbe costretto a interrompere la realizzazione del monumento funebre dedicato a Giulio II.
Quando nel 1508 Michelangelo iniziò a dipingere il soffitto della Cappella, l'idea originaria era già stata da lui sostituita (e il papa l'approvò) con un progetto molto più ambizioso: una storia del mondo fino alla nascita di Gesù, di cui la parte più significativa avrebbe dovuto trattare la storia della Creazione fino a Noè, novello Adamo.
Michelangelo allestì un particolare ponteggio che gli permetteva di lavorare contemporaneamente al soffitto, alle otto vele e alle quattordici lunette. L'esecuzione degli affreschi procedeva in senso inverso rispetto alla sequenza cronologica delle vicende bibliche, cioè partiva dalle storie di Noè, mentre per lo spettatore che osserva, occorre partire dall'altare, che è in corrispondenza alla Creazione del cielo e della terra, per poi arrivare, proseguendo a zig-zag da un lato all'altro fino alla parete dell'ingresso, oltre l'iconostasi, nella navata dei laici, dove si trova l'Ebbrezza di Noè.
Costretto a lavorare per parecchio tempo steso sulla schiena col braccio teso in alto e il colore che gli gocciolava in faccia, contrae una serie di malattie e deformità. Gli ultimi affreschi infatti risentono di questa stanchezza. D'altra parte nessuno degli aiuti giunti da Firenze (Francesco Granacci, Giuliano Bugiardini, Agnolo di Domenico, Aristotile da Sangallo, alle dipendenze del Ghirlandaio) poté metter mano al lavoro della volta. Egli volle fare da solo un lavoro titanico che, se non fosse stato interrotto, si sarebbe probabilmente rivelato al di sopra delle sue forze. Un grosso problema tecnico che dovette affrontare furono p.es. le muffe apparse sulla superficie del Diluvio. Ma si pensi anche al fatto che per l'artista era praticamente impossibile caratterizzare tutti i personaggi con attributi significativi, non essendovi molti precedenti iconografici.
La teologia rinascimentale che fa da supporto alla volta non è tragica come quella del Giudizio. Il dio della Genesi è infatti dipinto come un eroe magnanimo, che crea dal nulla lo splendore dell'universo, raggiungendo il culmine della perfezione con la creazione di Adamo. Il peccato originale non impedisce la salvezza, cui tutti tendono, ivi inclusi i profeti ebraici e le sibille pagane. Gli stessi Ignudi rappresentano il mondo pagano, non vedono il cielo, cui volgono le spalle, ma ne intuiscono la presenza.
Questo almeno in apparenza. Nella sostanza l'ottimismo michelangiolesco è abbastanza manierato, essendo egli ben consapevole della corruzione di un papato tutto intento a potenziare al massimo il proprio Stato al centro della penisola. Tant'è che tutta la storia della creazione sembra essere piuttosto una forma di liberazione esistenziale da parte di un uomo alla ricerca della propria identità, in cui l'elemento sessuale gioca un ruolo decisivo. Un ruolo che negli affreschi dedicati a Noè non è così evidente.
Infatti guardando dal basso, a 20 metri di distanza, i primi affreschi, Michelangelo s'accorse subito ch'essi, essendo gremiti di personaggi, risultavano meno godibili del dovuto, sicché si convinse di dare alle prossime due Storie dei progenitori maggiore dimensione ai corpi, aumentando l'energia delle figure e semplificando al massimo i gesti e i piani di profondità.
Egli lavorò in solitudine fino all'agosto del 1510, arrivando alla metà del ciclo (quinta campata con la Creazione di Eva), poi il cantiere rimase bloccato un anno, poiché gran parte dei finanziamenti erano stati assorbiti dalle campagne militari anti-francesi di Giulio II.
E' solo nell'autunno del 1511 che viene di nuovo allestito il ponteggio per la seconda metà della volta, terminata nell'ottobre del 1512. Le differenze rispetto alla prima sono notevoli: Michelangelo appare demotivato, stanco, sembra voglia finire in fretta. La raffigurazione del Creatore è incredibilmente povera di suggestione rispetto ai due affreschi centrali della Creazione e della Caduta. Non viene sfruttata né la prospettiva né alcun effetto illusionistico, che a quel tempo s'andavano imponendo con successo.
A Michelangelo interessava soprattutto provare a fondere, per la prima volta, pittura, scultura e architettura, tant'è che quando finisce la volta e ritorna alla scultura per la tomba di Giulio II, continua a meditare sul tema sistino dei Profeti e dei Nudi, che è forse quello meglio riuscito, oltre naturalmente alla Creazione di Adamo.
La volta supera le 300 figure, dalle quali non si può desumere un canone preciso del bello. Tutte compiono un movimento che richiede una fatica, uno sforzo, ma non sempre per uno scopo preciso, anche se nessun elemento appare casuale o soltanto decorativo: a volte pare che mirino soltanto a contrastare il peso fisico delle masse, trasformando la gravità in spinta. Enorme è la vitalità psico-fisica e l'intensità cromatica dei Profeti e delle Sibille.
Giusto per fare un esempio: il movimento rotatorio della Sibilla Libica si complica al punto da diventare serpentino nello sforzo di alzarsi dal sedile e di chiudere il libro alle sue spalle. Anche quello della Sibilla Delfica è molto particolare: si gira verso chi la osserva solo per mostrare un volto perplesso sul significato delle profezie scritte sul rotolo. Questi sono autentici capolavori.
La Creazione di Adamo è l'affresco più significativo della volta. Semplicemente straordinaria l'invenzione dei due indici che stanno per entrare in contatto. Da notare che quasi sempre Michelangelo, quando disegna una mano, pone l'indice staccato dalle altre dita, mettendolo in particolare evidenza, come un segno di riconoscimento della propria sensualità morbosa.
Sostenuto nella nuvola da dodici putti e angeli, dio abbraccia una sorta di efebo, dal volto femminile ma dal seno quasi inesistente, tenendo inoltre un indice lascivo, voluttuoso, sul corpicino nudo di un putto, avvinghiato a una gamba dell'efebo. Putti amorini angeli sono tutti senz'ali, sembrano uno stuolo di bambini e infanti innocenti al servizio di un pedofilo. Sono coloro che offrono ancora l'illusione dell'innocenza.
L'omosessualità qui sembra essere costretta a esprimersi come pedofilia. L'anziano non può avere rapporti con giovani aitanti forti muscolosi, che gli stiano alla pari; non può dunque che avere rapporti con bambini che gli stiano sottomessi.
Dio crea l'uomo, non l'uomo e la donna, come nel primo racconto della Genesi. Michelangelo ha preferito il secondo racconto, quello aggiunto dal clero maschilista. E nel suo affresco dio è come se creasse se stesso, non un altro da sé, cioè è come se si guardasse allo specchio, riflettendosi nella sua giovinezza, mentre da vecchio può soltanto essere circondato da putti e amorini nudi, che lo sorreggono, offrendogli l'illusione della gioventù, del tempo che non passa.
Dio guarda con invidia l'uomo giovane, cui lascia la tendenza gay come consegna, come atto di successione ereditaria, che Adamo accetta rassegnato, quasi come un atto dovuto: il suo corpo è privo di forza, il braccio sinistro è sollevato a fatica, sembra non ringraziare chi l'ha creato ma salutare chi l'ha appena amato.
Se fosse dipeso da lui, Michelangelo avrebbe messo nudo anche dio, proprio perché la nudità, per lui, rappresentava una forma di liberazione, di protesta, e non solo una forma esibizionistica della mascolinità forte, robusta e, nel contempo, sensuale.
L'ateismo di Michelangelo, mascherato dietro contenuti religiosi, è visibile anche in questa ostentazione eccessiva, ossessiva, del nudo, che non ha riguardi per alcun tema o soggetto religioso.
Certo, Adamo non poteva che essere nudo, essendo paragonabile all'uomo primitivo, ma allora anche dio avrebbe dovuto esserlo, per restare coerenti sul piano ideologico, e deve essergli costato mettere al padreterno quella specie di sottoveste da camera, che lo rende un po' ridicolo, un po' forzato rispetto alla sua creatura.
Ma il vero dramma dell'affresco è quello che si scorge leggendolo da sinistra a destra, come se fosse non dio a rivedere se stesso da giovane, ma l'uomo a proiettarsi nel suo futuro di anziano: qui la solitudine è ancora più accentuata.
L'Adamo giovane e misogino si guarda allo specchio e immagina il destino che l'attende: una vita da anziano ricco e depravato, che per sentirsi ancora giovane ha bisogno di circondarsi di una gioventù da molestare.
Nell'insieme la Creazione appare come una raffigurazione ateistica, ma non nella forma umanistica, bensì in una forma deviata, psicopatica, del superomismo borghese.
Il Peccato Originale è l'affresco più erotico in assoluto. Infatti la causa del peccato originale viene letta da Michelangelo in chiave sessuale, a dimostrazione che la sessualità era per lui una vera e propria fissazione.
L'albero cui è attorcigliato la donna-serpente è un fico, in allusione al fatto che dopo la trasgressione del divieto i progenitori si coprirono le parti intime con le foglie di questa pianta (cosa che però Michelangelo non fa, in quanto il nudo va esibito il più possibile). Nella Cacciata dal paradiso di Masaccio i progenitori si vergognano della loro nudità e si coprono, piangendo; qui invece se ne vanno via nudi, odiando.
Il serpente passa a Eva due fichi: uno per sé, l'altro per Adamo, il quale però sembra indicarne un terzo, col solito dito staccato dagli altri. Adamo non prende il frutto peccaminoso dalla propria donna, che tenta di sedurlo, ma va in un'altra direzione, indicando un frutto proibito diverso, sullo stesso albero del peccato, e lo afferra da solo.
La posizione di Eva è ambigua, poco naturale, troppo vicina al pube di Adamo per essere innocente: sembra essere stata colta "in fallo" (è proprio il caso di dirlo) dal serpente, che la tenta a non aver dubbi su quello che sta per fare. Il peccato è frutto di un piacere proibito, un frutto dolce dalle conseguenze amare.
Adamo però non riesce ad accettare la naturalezza del rapporto eterosessuale: si sente inadeguato, disturbato, vede la donna come fonte di piacere personale (fellatio) ma non come partner, tant'è che vicino a lei vi è un albero secco, sterile, che ripete, nella forma, la posizione del corpo e del braccio di lei; e, dopo la colpa, Eva viene dipinta incredibilmente brutta.
Tutta la responsabilità della colpa (dell'uomo) ricade su di lei, che l'ha iniziato a una sessualità sbagliata, malsana o troppo precoce. La sessualità femminile viene vista con un sentimento misto a paura insicurezza disagio. Nella visione tragica di Michelangelo il male che in assoluto rende impotenti gli uomini a compiere il bene è strettamente legato alla sessualità.
In definitiva, la difficile sfida della realizzazione della volta poté dirsi pienamente riuscita, oltre ogni aspettativa. I giudizi sul risultato furono subito entusiasti. Vasari lodò la naturalezza nel disporre le figure umane, il virtuosismo prospettico, l'intensità spirituale, l'agilità del disegno.
Tutti gli artisti presenti a Roma andarono a vedere la stupefacente opera di Michelangelo. Tra questi Raffaello, che decise di ritrarre il Buonarroti (col suo stesso stile) nella figura di Eraclito tra i filosofi in primo piano della Scuola d'Atene, Perin del Vaga, Pontormo, Rosso Fiorentino, Domenico Beccafumi. Non si fecero tardare però neanche le critiche di carattere, ben prima di quelle rivolte al Giudizio, soprattutto all'epoca del papa "batavo" Adriano VI che, come ricorda Vasari, «già aveva cominciato [...] (forse per imitare i pontefici de' già detti tempi) a ragionare di volere gettare per terra la capella del divino Michelagnolo, dicendo ell'era una stufa d'ignudi. E sprezzando tutte le buone pitture e le statue, le chiamava lascivie del mondo, e cose obbrobriose et abominevoli».
Nel 1543 venne istituito un "pulitore" ufficiale degli affreschi della Sistina e nel 1565, in seguito a dei cedimenti, si registrarono i primi interventi di restauro. Di nuovo si ebbero interventi nel 1625, nel 1710, nel 1903-1905 e nel 1935-1936. In occasione di uno di questi lavori, molto probabilmente quello del 1710, si stese sulla volta una vernicetta a base di colla animale, che presto finì per appannare gravemente l'intero ciclo, compromesso anche dalle infiltrazioni d'acqua, dal fumo delle candele e da altre cause.
Nel tempo le valutazioni sulla qualità di "gran colorista" di Michelangelo vennero influenzate dal sudiciume, arrivando a far parlare di "monotonia marmorea", ripresa dalla scultura, e artista "tenebroso". In realtà, come ha dimostrato il restauro concluso nel 1994, le tinte sono cristalline e gioiose, con impressionante anticipo rispetto ai migliori pittori del manierismo.

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