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martedì 22 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi


Buongiorno, oggi è il 22 agosto.
Il 22 agosto 1962 il presidente francese Charles De Gaulle sfugge a un attentato omicida.
In una Parigi quasi deserta, oppressa dall’afa agostana, l’auto presidenziale sfrecciava a novanta chilometri all’ora diretta all’aeroporto militare di Villacoublay. A breve distanza la seguiva un’auto di scorta con a bordo un medico e tre agenti speciali, chiudeva il corteo una coppia di poliziotti in motocicletta pronti ad intervenire per sciogliere eventuali ingorghi stradali.
Per prendere parte al consiglio dei ministri, quel mercoledì 22 agosto 1962, il generale de Gaulle, insieme alla moglie Yvonne e al genero, il colonnello Alain de Boissieu, aveva lasciato di buon mattino la quiete della Boisserie, la sua residenza a Colombey-les-Deux-Eglises, immersa tra le colline boscose dell’Alta Marna, e intendeva farvi ritorno prima di notte. Né il tesissimo clima politico, né l’attentato subito un anno prima a Pont-sur-Seine, né gli inviti del ministro degli Interni, che in più occasioni gli aveva fatto presente quanto fosse arduo garantire la sua sicurezza nei continui spostamenti tra Parigi e la Boisserie, erano riusciti a convincere il generale a modificare le sue abitudini, a rinunciare alle passeggiate nei boschi e al raccoglimento del suo studio da cui poteva vedere l’orizzonte perdersi tra le colline.
Poco prima delle 20, il corteo presidenziale aveva lasciato l’Eliseo e aveva seguito il percorso più rapido e diretto verso l’aeroporto. Quella scelta non era passata inosservata.
A bordo della Citroën DS presidenziale, invece, nessuno, nella luce incerta del crepuscolo, fece caso su Avenue de la Libération a un uomo con un cappello grigio che sventolava un giornale sopra la testa. Era il segnale convenuto per aprire il fuoco.
Da un furgoncino Renault Estafette giallo, parcheggiato sul lato destro della strada, nel senso di marcia del corteo presidenziale, partirono all’improvviso alcune raffiche di armi automatiche. L’autista del presidente, il maresciallo Francis Marroux, non si lasciò impressionare dal crepitio dei proiettili e affondò il piede sull’acceleratore per sfuggire alla linea di tiro degli attentatori. L’esplosione di due pneumatici fece sbandare l’auto, ma non impedì a Marroux di tenere la strada e aumentare la velocità.
Superato l’iniziale stupore, il generale e sua moglie furono pronti nell’eseguire l’ordine di abbassarsi urlato dal genero. Quella prontezza fu provvidenziale. Un centinaio di metri oltre il furgone giallo, all’incrocio con rue du Bois, una Citroën DS blu s’immise a tutta velocità tra l’auto presidenziale e quella di scorta, mitragliandole entrambe sino alla rotonda del Petit-Clamart, per poi svanire in direzione di Parigi.
Furono esplosi più di centocinquanta proiettili, ma solo sei raggiunsero la vettura presidenziale. Uno frantumò il vetro laterale sinistro, attraversò l’interno del veicolo e squarciò la carrozzeria sopra il sedile posteriore destro, a una decina di centimetri dalla testa di madame de Gaulle. Un altro penetrò all’altezza della targa, attraversò il baule per conficcarsi nello schienale del sedile posteriore sinistro, dove sedeva il generale. L’auto di scorta fu centrata quattro volte. Il casco di uno dei motociclisti fu colpito di striscio, così come il portabagagli della seconda motocicletta.
Per miracolo tutti uscirono incolumi da quella tempesta di fuoco. Soltanto un automobilista che transitava, in compagnia della moglie e dei tre figli, in senso contrario al corteo presidenziale fu lievemente ferito all’indice da una scheggia staccatasi dal volante nell’impatto con una pallottola vagante.
Giunto all’aeroporto di Villacoublay de Gaulle passò in rassegna il picchetto d’onore. Poi, imperturbabile, osservando la sua auto crivellata commentò: “Questa volta era tangente! Fortunatamente quelli là sparano come dei porci!”. Sua moglie ancora scossa per lo scampato pericolo esclamò: “Spero che i polli non si siano fatti nulla!”. Non aveva sprecato la sua giornata parigina: prima di lasciare l’Eliseo aveva fatto sistemare nel baule un paio di polli acquistati in previsione del soggiorno alla Boisserie.
Fin dalle prime indagini non vi furono dubbi sulla matrice dell’attentato. La scelta dell’obiettivo, la tecnica militare impiegata dal commando, la considerevole potenza di fuoco, le cui tracce erano ben visibili in avenue de la Libération (il tappeto di bossoli sull’asfalto, le facciate dei palazzi crivellate di proiettili, la terrazza di un bar e la vetrina di un negozio di apparecchi radio-televisivi devastate), orientarono i sospetti degli inquirenti in una precisa direzione. Il ritrovamento, circa un’ora dopo il duplice agguato, del furgoncino Estafette giallo fornì ulteriori conferme alle prime congetture. All’interno del veicolo abbandonato, insieme a fucili mitragliatori, munizioni, bengala e granate, fu rinvenuto un potente congegno esplosivo plastico, firma inconfondibile degli irriducibili, quanto disperati, combattenti per l’Algeria francese.
Negli ultimi mesi, da quando la politica favorevole all’autodeterminazione dell’Algeria, promossa dal generale de Gaulle, con il pieno sostegno della maggioranza dei francesi, era giunta alla sua fase culminante, i plasticages, gli attentati al plastico, prima limitati ad Algeri e Orano, si erano moltiplicati sul territorio francese, seminando il terrore. Tra il 15 ed il 21 gennaio del 1962 si erano registrati quaranta attentati al plastico, venticinque dei quali alla periferia di Parigi nella sola notte del 18 gennaio, altri trentatré tra il 22 ed il 28 dello stesso mese, ancora trentaquattro tra il 5 e l’11 febbraio. Un crescendo di terrore senza precedenti, ma ancora ben lontano dall’emulare la violenza che stava insanguinando l’Algeria, dove nel solo mese di gennaio del 1962 si erano verificati oltre ottocento attentati, perpetrati dalle diverse fazioni in lotta. Nella prima quindicina del febbraio successivo gli attentati erano stati 507, provocando 256 morti 490 feriti.
L'attentato ispirò a Frederick Forsythe il romanzo "Il giorno dello sciacallo", da cui fu poi tratto un omonimo film.
Il 15 febbraio 1994 Georges Watin, "lo sciacallo", l'organizzatore dell'attentato, è morto nel suo esilio ad Asuncion, in Paraguay, per un attacco di cuore. Watin aveva 71 anni ed era da qualche tempo costretto a letto. Era stato condannato a morte in contumacia nel 1963, ma aveva beneficiato di un'amnistia nel 1968. Nato in Algeria, Watin si era schierato contro l'indipendenza nella guerra di Algeria e si era battuto anche contro la decisione di de Gaulle di concedere la sovranità all'ex territorio francese, nel luglio 1962. Lo "Sciacallo" era il capo della "Missione Tre", sezione dell' Organizzazione Armata Segreta (Oas, gruppo terroristico di destra), e responsabile di uno dei nove tentativi di assassinio organizzati contro de Gaulle. In un' intervista rilasciata nel 1990, Watin spiegò  che l' intenzione originaria era di rapire de Gaulle e di "processarlo davanti a una corte marziale, e solo dopo giustiziarlo", per il tradimento perpetrato concedendo l'indipendenza all'Algeria. Ma il piano fallì per un cambiamento di programma nell'itinerario della vettura presidenziale, e allora i congiurati tentarono, senza successo, di colpire de Gaulle in strada. Dopo l'attentato Watin fuggì in Svizzera, dove venne arrestato, ma le autorità svizzere rifiutarono l'estradizione a quelle francesi e preferirono espellerlo. Dopo di che Watin si trasferì in Spagna, e infine in Sudamerica, dove si stabilì in Paraguay, nel 1965. E' morto a casa sua, ad Asuncion, il 20 febbraio 1994 per un attacco di cuore.

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