Cerca nel web

venerdì 4 agosto 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 4 agosto.
Il 4 agosto 2010 viene finalmente chiusa la falla della piattaforma "deepwater horizon", che per 106 giorni ha inondato il mare al largo del Golfo del Messico di petrolio.
La Deepwater Horizon era una piattaforma petrolifera, dal valore di circa 560 milioni di dollari, di proprietà dell'azienda svizzera Transocean, la più grande compagnia del mondo nel settore delle perforazioni off-shore; affittata alla multinazionale British Petroleum per 496.000 dollari al giorno. Estraeva circa 9000 barili di petrolio al giorno, era grande quanto 2 campi da calcio e si trovava a circa 80 km dalla Louisiana, nel Golfo del Messico, e poteva ospitare circa 130 persone. Il 2 settembre 2009 la Deepwater Horizon ha trivellato il pozzo di idrocarburi più profondo al mondo, lungo 10 685 metri di cui 1259 di acqua, nel giacimento di Tiber, sempre nel Golfo del Messico. La trivella della Deepwater Horizon era una delle più grandi al mondo, lunga 121 metri per 78 metri di larghezza, poteva operare in acque profonde fino a 2400 metri e scavare pozzi profondi fino a 9100 metri.
Il 20 aprile 2010, mentre la trivella della Deepwater Horizon stava completando il Pozzo Macondo su un fondale profondo 400 metri al largo della Louisiana, un'esplosione sulla piattaforma ha innescato un violentissimo incendio; 11 persone sono morte all'istante, incenerite dalle fiamme, mentre 17 lavoratori sono rimasti feriti.
In seguito all'incendio la flotta della BP ha tentato invano di spegnere le fiamme, oltre a recuperare i superstiti.
Nei giorni successivi all'esplosione della piattaforma il contrammiraglio di Guardia Costiera Mary Landry intervistato dall'ABC escludeva un'emergenza ambientale significante.
Due giorni dopo la piattaforma Deepwater Horizon si è rovesciata, affondando e depositandosi sul fondale profondo 400 metri a circa mezzo chilometro più a nord-ovest del pozzo. Le valvole di sicurezza presenti all'imboccatura del pozzo sul fondale marino non hanno funzionato correttamente e il petrolio greggio, spinto dalla pressione del giacimento petrolifero ha iniziato a uscire senza controllo, in parte risalendo in superficie per via della minor densità rispetto all'acqua. Il 7 maggio 2010 la BP ha poi tentato col progetto Top Kill di arginare la falla utilizzando una cupola di cemento e acciaio dal peso di 100 tonnellate, ma la perdita non si è arrestata ed il tentativo di ridurre il danno è fallito.
In attesa di trovare una strategia risolutiva la BP ha poi approntato il progetto Lower Marine Riser Package (LMRP), con la posa in opera di un imbuto convogliatore sospeso sopra al pozzo e collegato a una nave cisterna in superficie, volto a recuperare almeno in parte il petrolio che fuoriusciva senza controllo dal pozzo sul fondo del mare.
In contemporanea la BP iniziava a trivellare due pozzi sussidiari in previsione di riuscire a giungere per fine agosto 2010 al condotto del pozzo che perdeva, intercettandolo in profondità, per cementarlo definitivamente.
Il 10 luglio 2010 - quando ormai l'entità della perdita era stimata da un minimo dai 35000 ai 60000 barili (tra i 5 e 10 milioni di litri) di idrocarburi al giorno, di cui solo la metà riusciva in qualche modo ad essere recuperata - veniva effettuato un secondo tentativo con un nuovo tappo per ridurre drasticamente, e l'obiettivo di fermare interamente le perdite entro una decina di giorni, non cessando comunque di lavorare anche a quella che viene considerata dalla BP essere la soluzione definitiva del problema: ossia la trivellazione dei due pozzi collaterali di emergenza.
Dopo 86 giorni dall'inizio dello sversamento di petrolio, il 15 luglio 2010 la BP dichiarava di essere riuscita a tappare la perdita del greggio, per la prima volta dal 20 aprile, giorno dell'esplosione, pur non essendo ancora sicura di quanto tempo avrebbe potuto resistere quest'ultima soluzione. Secondo le stime della BP stessa erano già stati riversati in mare, al 15 luglio, tra i 3 e i 5 milioni di barili di petrolio, ovvero tra i 506 e gli 868 milioni di litri (che, convertiti con un fattore di 0,920 che rappresenta in media il peso specifico del greggio, fanno 460.000-800.000 tonnellate).
Dopo 100 giorni dall'inizio delle perdite - e a due settimane dal nuovo tappo che chiude il pozzo in attesa di una soluzione definitiva - presumibilmente grazie alla tempesta tropicale che si è abbattuta sulla zona per più giorni, la macchia di petrolio che prima galleggiava sull'acqua è praticamente scomparsa. Rimane visibile solo il catrame spiaggiato sulle coste. Quanto manca - a eccezione di quanto aspirato nelle operazioni di pulizia (circa 800.000 barili - corrispondenti a 127 milioni di litri) o date alle fiamme in incendi controllati - si presume sia in parte evaporato, in parte dissolto (sono stati impiegati 7 milioni di litri di solventi rovesciati sulla macchia nera nelle prime settimane dell'emergenza), in parte digerito dai batteri; ma si ipotizza che la maggior parte sia finita sul fondale marino formando laghi di petrolio destinato a solidificarsi. Un terzo delle acque degli stati USA che si affacciano sul Golfo del Messico sono state chiuse, la pesca sta morendo e il turismo registra la chiusura del 20% delle spiagge.
Il 3 agosto 2010 inizia l'operazione Static Kill, con la quale la BP si propone di tappare definitivamente il pozzo mediante un'iniezione di fango e cemento attraverso i pozzi sussidiari, così da deviare il greggio in un bacino sicuro posto a 4 km di profondità.
Il 19 settembre 2010 viene terminata la cementificazione definitiva del pozzo.
Nel tentativo di porre rimedio al disastro gli ingegneri hanno adottato almeno cinque strategie:
veicoli sottomarini operanti in remoto allo scopo di chiudere le valvole di sicurezza sul fondo del mare;
spargimento di agenti disperdenti attraverso robot sommergibili, aerei e navi di supporto, allo scopo di legare chimicamente il petrolio e farlo precipitare sul fondo del mare, dove dovrebbe rimanere inerte nei confronti dell'uomo;
trivellazione adiacente al punto di fuoriuscita del petrolio, allo scopo di raggiungere con un tubo di perforazione il canale di comunicazione fra il giacimento petrolifero e il fondale marino per potervi iniettare del cemento, questa operazione è stata denominata "Top Kill";
piattaforme galleggianti aspiranti il petrolio che raggiunge la superficie;
camera di contenimento calata al di sopra della perdita primaria del tubo di perforazione danneggiato.
Il disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon avrà nel breve e medio periodo effetti sulla popolazione locale in termini di intensificazione di malattie respiratorie e patologie della pelle (follicoliti cutanee) e, nel lungo periodo, gravi effetti in termini di aumento statistico dell'incidenza di tumori. Gli effetti nel lungo periodo comprendono anche aumenti statistici degli aborti spontanei, neonati di basso peso alla nascita o pretermine.
Il petrolio e le sostanze chimiche disperdenti rilasciate sul luogo del disastro contamineranno la popolazione locale nel breve e medio termine per via inalatoria; nel lungo termine per via orale, come conseguenza dell'accumulo degli idrocarburi nella catena alimentare.
Le prime specie animali vittime del disastro sono state quelle di dimensioni più piccole e alla base della catena alimentare, come ad esempio il plancton. Sono seguite le specie di dimensioni via via maggiori che sono state contaminate direttamente (dagli idrocarburi e dalle sostanze chimiche dispersanti) oppure indirettamente (per essersi alimentate di animali contaminati). Fra le specie coinvolte: numerose specie di pesci, tartarughe marine, squali, delfini e capodogli, tonni, granchi e gamberi, ostriche, menhaden, varie specie di uccelli delle rive, molte specie di uccelli migratori, pellicani.
Gli agenti disperdenti (fra i quali il prodotto commercializzato come corexit), cioè le sostanze chimiche utilizzate per disperdere gli idrocarburi in parti più piccole e per farli precipitare sul fondale del mare hanno consentito di nascondere la marea nera della superficie; tuttavia tali sostanze non hanno ridotto la quantità di greggio ma l'hanno solo nascosta alla vista, ad oltre 1600 metri di profondità, dove continua ad esercitare i suoi effetti nefasti sulla catena alimentare a tutti i livelli, uomo compreso.
Di grande importanza anche i timori che si concentrano sulle specie già a rischio per le quali l'estinzione potrebbe essere accelerata.
I danni del disastro ambientale sono impossibili da calcolare, tuttavia è possibile farne una stima.
I danni diretti, cioè quelli immediatamente visibili ed evidenti sono:
il valore, non stimabile né riparabile, della perdita di 11 vite umane;
il valore, non stimabile né riparabile, del danno ambientale procurato;
il valore economico della piattaforma (equivalente a circa 560 milioni di dollari), degli investimenti per la trivellazione del pozzo (andati in fumo), la perdita azionaria della British Petroleum, della Transocean e della Cameron International;
il costo dei primi soccorsi, per lo spegnimento dell'incendio ed il salvataggio del personale della piattaforma e la ricerca dei dispersi, il costo dell'operazione per la calata della cupola più il costo della cupola da 100 tonnellate, il costo delle operazioni per arginare o tappare la fuoriuscita dal pozzo;
il costo per il tentativo di arginare l'area sul mare dove si è sparso il petrolio fuoriuscito;
il costo per limitare il danno tentando la bonifica delle acque e delle coste e la pulizia degli animali.
Fra quelli indiretti, cioè quelli correlati ma non strettamente conseguenti al disastro, vi sono:
il danno all'industria locale della pesca;
il danno all'industria del turismo;
l'aumento del prezzo del petrolio.
Il presidente Barack Obama è deciso a far pagare una grossa somma alla Bp come risarcimento del disastro ambientale. Il presidente è stato criticato dai repubblicani che ritengono abbia gestito male il disastro. Al 28 giugno 2010 la Bp annuncia di aver già versato 2,65 miliardi di dollari.
A dicembre 2011, per rientrare delle perdite, Bp ha chiesto un risarcimento da 20 miliardi di dollari all'americana Halliburton, accusandola di avere intenzionalmente cancellato delle prove chiave dopo il disastro.
Nel gennaio 2013, Transocean accettò di pagare miliardi di dollari per violazioni del Clean Water Act degli Stati Uniti. BP aveva precedentemente accettato di pagare 2,4 miliardi di dollari, ma dovette subire sanzioni aggiuntive che sarebbero potute variare tra 5 e 20 miliardi. Nel settembre 2014, Halliburton accettò di risolvere la maggior parte delle rivendicazioni legali pagando 1,1 miliardi di dollari in tre rate su due anni. Il 4 settembre 2014, il giudice distrettuale degli Stati Uniti Carl Barbier dichiarò che la BP era colpevole di negligenza grave e dolo ai sensi del Clean Water Act. Nella sentenza, egli descrisse le azioni della BP come "avventate", mentre le azioni di Transocean e Halliburton furono descritte come "negligenti". Il magistrato attribuì il 67% della colpa per la fuoriuscita a BP, il 30% a Transocean e il 3% a Halliburton. La BP rilasciò un comunicato in cui si dichiarava fortemente in disaccordo con la sentenza, affermando che la decisione del tribunale sarebbe stata impugnata. L'8 dicembre 2014, la Corte Suprema degli Stati Uniti respinse la sfida legale di BP a un accordo sul risarcimento per la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico del 2010. L'accordo transattivo non aveva un limite, ma BP inizialmente stimò che avrebbe pagato circa 7,8 miliardi di dollari per risarcire le vittime.

Nessun commento:

Posta un commento

Cerca nel blog

Archivio blog