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Il 17 gennaio 1650 muore Marianna De Leyva, la monaca di Monza.
La figura di Suor Gertrude è una delle più contraddittorie e affascinanti tra quelle che Alessandro Manzoni descrive nel romanzo “I Promessi Sposi”. Il personaggio, che si incontra nel capitolo IX e viene descritto come la figlia di un influente principe di Milano, è ispirato a Marianna de Leyva, una donna realmente esistita, figlia del conte Martino di Monza, che prese i voti per volere di suo padre con il nome di Suor Virginia Maria.
La monaca, che era molto potente a causa dell’autorità feudale, veniva anche chiamata la “Signora”. Mentre si trovava in convento, dove comunque mostrava evidenti segni di apertura rispetto alle altre suore, la monaca intrecciò una relazione sentimentale piuttosto morbosa con Gian Paolo Osio, uno scapestrato dal quale ebbe pure due figli. Per mantenere segreta la loro torbida relazione, il giovane compì tre delitti, ma quando fu arrestato la tresca venne allo scoperto.
La stessa Leyva confermò di avere avuto una relazione con Osio. Mentre quest’ultimo morì ucciso in casa di un amico che lo aveva tradito, la monaca trascorse rinchiusa in convento gli ultimi anni della sua vita, e dopo aver subito un processo canonico non le restò che espiare le sue colpe auto flagellandosi.
Alessandro Manzoni, che era molto abile a farcire la realtà storica con contenuti immaginari, descrive la Monaca di Monza partendo dal personaggio reale adattato alle esigenze narrative. Il risultato è formidabile: la Monaca di Monza è di sicuro uno dei personaggi più ricordati da chiunque legga o studi approfonditamente i Promessi Sposi. Gertrude di cui parla Manzoni è anche lei figlia di un gentiluomo milanese (il cui casato però viene omesso), è una giovane di circa 25 anni, il cui comportamento si mostra poco conforme alle regole ferree del convento: sotto il velo si intravedono i capelli lunghi anziché corti, la tonaca che indossa è più stretta del dovuto, il suo aspetto ha un qualcosa di morboso e poco trasparente.
I de Leyva erano i feudatari di Monza: Marianna appartenne dunque alle più potenti famiglie della città. La madre, Virginia Maria Marino, sarebbe morta di peste a Milano nel 1576, forse alcuni mesi dopo la nascita della figlia, che si pone nel mese di Dicembre senz'altra più precisa specificazione. Nel 1591, a sedici anni, Marianna si fece suora, probabilmente spinta o costretta dal padre per il tramite della zia paterna Marianna, marchesa Stampa-Soncino (alle cui cure, come a quelle della zia materna Clara Torniello, era stata affidata dal padre che si era trasferito in Spagna), in modo da usurparne l'eredità materna. Assunse il nome di suor Virginia ed entrò nel convento monzese di Santa Margherita, che oggi non esiste più (al suo posto sorge la chiesa di San Maurizio antistante la piazzetta di Santa Margherita).
Dopo alcuni anni ella intrecciò una relazione con il nobile monzese Giovan Paolo Osio - comunemente noto oggi come Gian Paolo Osio - la cui abitazione confinava con il monastero. Dalla relazione nacque una figlia, la cui parentela con la signora di Monza venne ufficialmente tenuta nascosta. La situazione precipitò nel 1606, quando una giovane conversa, Caterina Cassini da Meda, minacciò di rendere pubblica la relazione: Osio la uccise e la seppellì presso il convento, quindi tentò di eliminare altre due suore, Ottavia e Benedetta, che erano state precedentemente invischiate nella relazione a vario titolo e poi complici, per assicurarsi che non parlassero: affogò l'una nel Lambro e gettò l'altra in un pozzo poco distante. Quest'ultima però sopravvisse, denunciò tutto alle autorità e lo scandalo esplose.
Suor Virginia, malgrado un'animata resistenza (pare che la monaca si difendesse dall'arresto brandendo una lunga spada), fu arrestata il 15 novembre 1607 a Monza. Gian Paolo Osio invece, condannato a morte in contumacia e ricercato, si rifugiò a Milano presso i nobili Taverna suoi amici, ma essi lo tradirono e lo uccisero a bastonate nei sotterranei del loro palazzo in corso Monforte, più che per incassare la taglia, che era stata offerta per la sua cattura, per opportunità politica. La sua testa mozzata fu poi gettata ai piedi del governatore spagnolo Fuentes.
Il 15 novembre del 1607, dopo l'arresto a Monza, Suor Virginia de Leyva venne trasferita a Milano nel monastero delle Benedettine di Sant'Ulderico, dette Monache del Bocchetto. Il processo a suo carico si concluse il 18 ottobre 1608 con la condanna alla reclusione a vita in una cella murata. Ella così per ordine del cardinale Federico Borromeo fu trasferita nella casa delle Convertite di Santa Valeria a Milano nei pressi della chiesa di S.Ambrogio. Tale luogo non era un convento ma un Ritiro, inospitale e abbietto in Milano, dove veniva dato ricovero alle prostitute non più attive, per punizione e per tentare di redimerle.
Il 25 settembre 1622 avvenne la sua liberazione per volere del cardinale Borromeo. Dopo quasi quattordici anni trascorsi in una celletta di un metro e ottanta per tre, murata la porta e la finestra «...in modo che non vedesse se non tanto spiracolo bastante a pena per dire l'Ofitio...», suor Virginia fu esaminata dal cardinale Borromeo e trovata redenta: le fu quindi concesso il perdono, ma ella volle rimanere nello stesso malfamato ritiro di Santa Valeria dove aveva espiato così duramente la sua pena e dove visse per altri ventotto anni fino alla morte avvenuta il 17 gennaio 1650. Ella mantenne contatti con il cardinale Borromeo, che le affidava talora monache incerte sulla propria vocazione o vacillanti.
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