Buongiorno, oggi è il 24 gennaio.
Il 24 gennaio 1997 viene istituita la Commissione Bicamerale per le Riforme Costituzionali.
Dieci giorni più tardi D’Alema, all’epoca segretario del Pds, ne assume la presidenza. Lo votano la sinistra, quelli di Forza Italia e l’ala centrista del Polo. Fanno 52 voti su 70 disponibili. I lavori procedono a ritmo regolare, né troppo di fretta né a passo di lumaca. Parecchie sedute vengono dedicate alla discussione generale.
L’organizzazione del lavoro prevede quattro sotto-comitati. Devono occuparsi della forma di Stato, con relatore il senatore D’Onofrio, della forma di Governo, relatore Cesare Salvi, del Parlamento e delle fonti normative, relatrice la senatrice Dentamaro e il suo collega Natale D’Amico per la partecipazione dell’Italia all’UE, e del sistema delle garanzie dove, a sorpresa, viene indicato relatore Marco Boato. Vanno menzionati i tre vice-presidenti (Leopoldo Elia, Giuseppe Tatarella e Giuliano Urbani). Mentre quattro sono, ovviamente, i presidenti dei comitati (i tre vice della commissione ai quali si aggiunge Ersilia Salvato, all’epoca vice-presidente del Senato).
La Bicamerale, come noto, aveva ricevuto un mandato preciso e vincolante: la riscrittura della seconda parte della Costituzione, quella ordinamentale. E ciò fu quanto essa realizzò. Con alcuni momenti topici. A partire dalla seduta del 4 giugno 1997 quando, dopo alterne alleanze, la commissione in seduta plenaria adottò il testo base sul semipresidenzialismo, bocciando il premierato grazie a un’improvvisa e imprevista sortita della Lega nella sala della Regina. Molto più nota, ma estranea al contesto parlamentare, la cena (o patto) della crostata, consumata in casa di Gianni Letta il 18 giugno dello stesso anno e che produsse un accordo di massima per una legge elettorale a doppio turno.
Nel frattempo la commissione aveva lavorato seriamente. Per dire, solo attraverso le audizioni, si erano interpellati sul merito della riforma i rappresentanti di Confindustria, Confapi, Unioncamere. I professori Giovanni Sartori ed Enzo Cheli. I delegati della Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, CNA, Coldiretti, CIA, Copagri, Confagricoltura, della Lega nazionale delle cooperative e mutue e della Confcooperative, i rappresentanti del Forum permanente del terzo settore, della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità e quelli dell’Azione cattolica. E ancora, il vicepresidente del Csm, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione, il presidente del Consiglio di Stato, il presidente e il procuratore generale della Corte dei conti, il procuratore generale militare presso la Corte di cassazione, il presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, l’avvocato generale dello Stato e il presidente del Consiglio nazionale forense. I vertici dell’Associazione nazionale magistrati, dell’Organismo unitario dell’Avvocatura italiana, dell’Unione nazionale delle Camere civili e dell’Unione Camere penali.
Invece, inaspettatamente, il primo febbraio 1998, Silvio Berlusconi con una piroetta delle sue si converte al proporzionale e al premierato. Insomma, detta le premesse per far saltare il banco di una riforma faticosamente incollata. Il banco salterà poi con effetto definitivo a fine maggio e lo strappo verrà certificato il 9 giugno quando Luciano Violante, in qualità di presidente della Camera, trasmetterà all’Aula il comunicato del presidente D’Alema: la “Commissione ha preso atto del venire meno delle condizioni politiche per la prosecuzione della discussione”. Finisce lì.
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