Buongiorno, oggi è il 31 agosto.
Il 31 agosto 2006 vengono ritrovati dalla polizia norvegese "L'urlo" e "la Madonna" di Munch, due capolavori del celebre artista norvegese ospitati al Museo Munch di Oslo.
Il furto avvenne in pieno giorno da parte di due malviventi mascherati e armati, i quali imposero ai vigilanti di staccare le tele e consegnarle. Successivamente si sono dileguati a bordo di un'auto che li attendeva in strada.
Nonostante fossero danneggiati dall'umidità, il direttore del museo di Munch, Ingebjørg Ydstie, ha dichiarato possibile il restauro. Il 23 maggio 2008 le due opere sono tornate in esposizione al museo.
Molto si è detto sull'assurdità di rubare tele tanto famose, così difficili da piazzare sul mercato nero proprio per la loro popolarità a livello planetario, a maggior ragione con l'avvento di Internet.
Perché allora si ruba l’arte famosa?
Una prima ragione può essere quella del beneficio derivante dal possesso ‘maniacale’ e dalla fruizione personale dell’opera. Tra i casi più citati vi sono quelli di Etoh Mvondo che avrebbe rubato negli anni ’80 tre Renoir per soddisfare il desiderio di possedere dei Renoir prima dei vent’anni o quello del Dr Frank Waxman che avrebbe rubato più di 170 capolavori negli anni ’70, senza alcun obiettivo di rivendita. Si racconta che il furto di alcuni Monet e Renoir sia stato commissionato dal gangster giapponese Shuinichi Fujikuma, in latitanza, al fine di poterne godere personalmente. Alcuni pentiti di mafia, tra i quali Mannoia, Spatuzza e Cangemi, raccontano che in diverse riunioni di Cosa Nostra trionfava un dipinto di Caravaggio, La natività coi santi Francesco e Lorenzo, che i boss esponevano a tutti come simbolo della propria potenza. Si tratta tuttavia di casi estremi.
La seconda e più diffusa ragione economica per il furto di capolavori d’arte consiste non nel difficilissimo tentativo di rivendita nel mercato nero (uno dei pochi casi fortunati fu quello del marchese di Valfierno che nel 1911 rubò la Monnalisa di Leonardo, per venderne contemporaneamente diverse copie), ma nella rivendita alle compagnie di assicurazione, sotto forma di riscatto. E’ evidente che le compagnie di assicurazione siano ben liete di pagare il riscatto piuttosto che liquidare un ingente rimborso assicurativo.
Per esempio, il recupero di un precedente furto nel 94 delle opere di Munch fu possibile proprio grazie all’intervento della polizia durante i contatti che i ladri intrapresero ai fini del riscatto.
Nell’ultimo caso di furto dei quadri di Munch, al museo di Oslo nel 2004, molti gridarono allo scandalo in ragione del fatto che (i) il museo era sprovvisto di misure di allarmi o protezione adeguate; (ii) le opere risultavano non assicurate.
Tali scelte, da parte del Museo di Olso, erano invece razionali ed efficienti. Secondo la letteratura di law and economics, assicurare un quadro e spendere molti soldi nella sua protezione sono le condizioni che più favoriscono il furto a fini di riscatto, risultando del tutto inefficaci ed inefficienti come strumenti di deterrenza. Gli unici strumenti efficaci ed efficienti di deterrenza sono invece: (a) una protezione minima; (b) nessuna assicurazione e (c) un forte investimento in ‘famousness’ del quadro, volto ad aumentarne all’infinito i costi di rivendita. Non è un caso che dopo poco tempo i quadri siano stati ritrovati, senza che alcun riscatto fosse stato pagato.
Dunque uno dei paradossi della razionalità in questi casi non è tanto il fatto di rubare quadri invendibili, quanto piuttosto la corsa ad assicurarli per paura dei furti. Non basta pubblicizzare il quadro rubato, occorre avere il coraggio di non assicurarlo e di rendere noto questo commitment ai futuri ladri.
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