Buongiorno, oggi è il 20 agosto.
Il 20 agosto 1882 nasce a Cassino Enrico Toti.
Alcuni decenni fa, quando a scuola si cantava la canzone del Piave e tutti sapevano perché in ogni comune d’Italia c’è una via o una piazza dedicata a Vittorio Veneto o ad Armando Diaz, tutti ricordavano la figura di un soldato, Enrico Toti, mutilato ad una gamba, bersagliere ciclista, che in una delle innumerevoli offensive sul Carso (la sesta battaglia dell’Isonzo) aveva lanciato la sua stampella contro gli austriaci dopo aver finito le munizioni, questo, secondo la tradizione, il suo ultimo gesto prima di essere colpito a morte.
Nei mesi e negli anni a seguire Toti era diventato il simbolo di un’Italia che seppur colpita e in difficoltà aveva la forza, la volontà e la voglia di combattere, di non fermarsi di fronte a nulla, nemmeno e soprattutto di fronte i propri limiti. In questo periodo però e ancora di più durante il fascismo l’episodio della stampella assorbe e risucchia la vita del bersagliere romano, fissandone tutta l’esistenza in quel solo momento, che era ormai stato divinizzato dalla retorica nazionalista. Inutile dire che proprio il dissolvimento di quella retorica ha iniziato a frantumare la figura di Toti negando l’unica cosa che ne restava: l’episodio della stampella. Lo studio del terreno secondo alcuni dimostra che era impossibile per un mutilato raggiungere la trincea dove sarebbe morto Toti, alcuni dicono di aver raccolto testimonianze indirette (quindi un sentito dire) secondo cui Toti fu colpito perché essendo ubriaco inveiva contro il nemico e si sporgeva troppo dalla trincea, secondo altre ancora di queste testimonianze di seconda (spesso terza) mano, il bersagliere era semplicemente morto sotto un bombardamento nelle retrovie.
Storici e studiosi si sono cimentati alla ricerca di prove dell’una e delle altre versioni, ma prove inconfutabili non ce ne sono in nessuna direzione, c’è però una storia in fin dei conti più appassionante e molto più significativa per capire il personaggio, la sua vita.
Enrico Toti nasce a Roma nel 1882 ed è sostanzialmente figlio di quello scorcio di ‘800 fatto di entusiasmo per il futuro, speranza nel progresso e voglia di avventura. E’ proprio quest’ultima che a 14 anni lo porta ad arruolarsi in Marina, dove dopo la scuola militare è imbarcato come elettricista sulla Regia Nave Emanuele Filiberto. In Marina oltre alla specializzazione professionale acquisirà una serie di valori in cui crederà orgogliosamente e che entreranno a far parte del suo modo di vivere anche quando dovrà lasciare la vita militare a causa della morte del fratello che imporrà il suo ritorno alle necessità della famiglia. Nel 1905 Toti è quindi di nuovo a Roma e nel 1907 riesce ad essere assunto nelle ferrovie dello Stato come fuochista, è qui che avviene l’incidente che segnerà la sua storia, nel 1908, quando ha soli 26 anni, alla stazione di Segni un locomotore in manovra gli trancia la gamba sinistra.
Nel fiore degli anni, colpito da una tragedia del genere, Toti poteva condurre una tranquilla vita da invalido o continuare a vivere come se nulla fosse accaduto, ma Enrico non scelse nessuna di queste strade e decise invece di condurre una vita esemplare e avventurosa. Per prima cosa decise di riprendere le proprie attività sportive con maggiore intensità di quanto non avesse fatto prima, l’obiettivo era quello di affrontare il giro del mondo in bicicletta e per farlo partì dall’arco monumentale dell’Esposizione internazionale di Roma del 1911; questa avventura metterà a dura prova il suo carattere, ma nonostante le difficoltà e un rimpatrio forzato dall’Austria non si perderà d’animo e ripartirà più volte.
Allo scoppio della guerra Toti è in prima fila nelle dimostrazioni interventiste, fa di tutto per andare al fronte ma l’esercito non lo arruola, lui non si scoraggia e si fa cucire una divisa grigio-verde, prende la bicicletta e si avvia verso il fronte, forse insieme o in conseguenza della partenza dei volontari ciclisti romani. Arrivato al fronte viene più volte respinto, data la sua condizione, ma Toti è ostinato e riesce ad ottenere di poter svolgere piccoli servizi di retrovia come portaordini o più probabilmente postino. Quando è poco sorvegliato cerca sempre di raggiungere la prima linea ma viene scoperto e riportato indietro, alla fine un’infrazione del genere gli costa caro e viene rispedito a Roma. Toti non vuole per nessuna ragione darsi per vinto, e nella capitale gira per i ministeri, le radio e le redazioni dei giornali per trovare qualcuno che lo aiuti a tornare al fronte, qualcuno che gli dia l’opportunità di essere utile al suo Paese in quella guerra. Scrive perfino un’accorata lettera al Duca D’Aosta, comandante della III° Armata in cui tra l’altro si legge “Le giuro che ho del fegato e qualunque impresa la più difficile se mi venisse ordinata la eseguirei senza indugio”.
Alla fine la sua insistenza è premiata e Toti è ufficialmente autorizzato a recarsi in zona di guerra; nel febbraio del ’16 è a Monfalcone di nuovo con compiti secondari, ma la sua passione e la sua azione costante e infaticabile farà breccia nei sentimenti del tenente Bolzon che chiede di aggregare Toti alla sua compagnia; il suo superiore, maggiore Rizzo, è restio allora Bolzon si assume in pieno la responsabilità del caso e porta Toti in trincea a cave Selz.
In trincea Toti arriva in un momento di relativa calma, ma il suo eccessivo zelo gli fa comunque rimediare due ferite che però non lo scoraggiano affatto. Per interessamento del colonnello Razzini, che parlerà col maggiore Rizzo, Toti viene aggregato al 3° battaglione Bersaglieri ciclisti, nel settore del VII Corpo d’Armata del generale Tettoni; siamo a metà maggio del ’16 e per Toti è la svolta della vita, “Posso compiere il mio dovere e sono soddisfattissimo” scrive alla sorella, questo per lui è forse il momento più bello, è soldato tra i soldati, non più isolato, sperimenta lo spirito di gruppo e può fregiarsi delle stellette.
Nell’agosto del ’16 il 3°, il 4° e l’11° bersaglieri sono spostati a quota 85 a est di Monfalcone per l’attacco a Gorizia; proprio durante questo assalto Toti avrebbe lanciato la sua stampella contro il nemico dopo essere riuscito a raggiungere la prima linea. Il se, il come, il perché; se è vero o non è vero e in che termini possa essere avvenuto il fatto è probabilmente uno di quei tanti segreti che la storia terrà per sé, eppure da quello che di documentato abbiamo non possiamo non avere stima e ammirazione per un personaggio che nonostante una grave menomazione decise di fare di tutto per riprendere il possesso di sé, per superare la sua sventura, per essere utile al proprio paese, un vero eroe della perseveranza.
In sua memoria fu eretto un monumento in bronzo nei giardini del Pincio a Roma e un altro a Gorizia. Un altro monumento in bronzo gli è stato dedicato a Cassino, città d'origine dei genitori, in piazza Marconi. A lui furono intitolati il sommergibile italiano Enrico Toti, varato nel 1928, e il successivo sottomarino Enrico Toti, varato nel 1968, oggi esposto al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano. Nel giugno 1923 gli fu intitolata la XI Legione Ferroviaria Enrico Toti di Bari della Milizia ferroviaria. Molte vie, in tutta Italia, portano il suo nome.
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