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domenica 3 novembre 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 3 novembre.
Il 3 novembre 1867 le truppe franco-pontificie sconfiggono i garibaldini nella Battaglia di Mentana.
La battaglia di Mentana si è svolta domenica 3 novembre 1867 dalle ore 12,30 al tramonto.
Mentana (Provincia di Roma e Diocesi Sabina-Poggio Mirteto) situata al 23 km della via Nomentana, nel 1867 aveva 700 abitanti e oggi oltre 20.000.
Le forze in campo erano da una parte i franco-pontifici e dall’altra i volontari italiani detti garibaldini. I comandanti erano rispettivamente i generali De Failly per i francesi, Kanzler per i pontifici e Giuseppe Garibaldi per i suoi garibaldini.
Dai rapporti delle parti combattenti, dagli scritti dei memorialisti e dalle ricostruzioni degli storici si assiste ad una stima di cifre in cui dalla prima parte si era in 4.913 uomini (2000 francesi, 1500 zuavi, 540 legionari romani, 520 carabinieri, 196 dragoni, 117 artiglieri, 80 genio zappatori, 50 gendarmi) e dall’altra in 4.752 volontari (tra cui veterani e finanzieri).
Il bollettino elenca tra i garibaldini: 150 morti, 220 feriti e 1057 prigionieri; tra i pontifici 30 morti (24 zuavi, 5 carabinieri, 1 artigliere) e 103 feriti; tra i francesi 2 morti e 38 feriti.
Perché questa battaglia?
La sua causa va ricercata nella definizione della « questione romana » ovvero nella definizione di Roma capitale e nel tentativo di Giuseppe Garibaldi di imprimere la svolta a motivo del ritiro del contingente francese presente nello Stato della Chiesa entro il dicembre 1866 a seguito di quanto previsto dalla "Convenzione di Settembre del 1864" stipulata tra la Francia e il Regno d’Italia.
Che cosa significa « questione romana » ?
Dopo il Congresso di Vienna nel 1815 con la politica della "restaurazione" ovvero il ritorno dei sovrani nei loro stati, l’Italia divisa in nove stati, fu attraversata dalle idee rivoluzionarie francesi che si manifestarono in moti insurrezionali e nella richiesta di statuti. Da qui inizia il cammino del movimento risorgimentale per l’unità d’Italia.
La « questione romana » rappresentò la meta di quella idea e il conflitto tra il movimento nazionale e la Santa Sede sulla legittimità del potere temporale del papato che si originò nel 756 con la fondazione del Patrimonio di San Pietro chiamato dal 1815 Stato della Chiesa.
Il tentativo di intervenire sull’argomento ebbe vari contributi per la sua definizione sia dal punto di vista diplomatico che politico mentre quello di Garibaldi fu di tipo militare con i tentativi dell’Aspromonte nel 1862 e di Mentana nel 1867.
La « breccia di Porta Pia » del 20 settembre 1870 e il plebiscito del 2 ottobre sanzionò la conquista della capitale ma non chiuse la questione che si trascinò fino a quel 11 febbraio 1929 con la conciliazione dei "Patti Lateranensi" e la creazione dello Stato della Città del Vaticano.
Quale fu l’esito e il significato della battaglia?
L’esito della battaglia fu quello della vittoria dei franco-pontifici.
Il suo fu un effetto moltiplicatore e soprattutto quello di attrarre attenzione su un problema aperto come quello dell’unità d’Italia nonostante la vittoria franco-pontificia. Se vogliamo fu una vittoria con un effetto di breve durata perché consentì lo svolgimento parziale del Concilio Vaticano I interrotto per il precipitare degli eventi che culmineranno con la « breccia di Porta Pia ».
Mentana non era un obiettivo militare ma bensì politico che accelerò la pressione sull’argomento, tanto che si dice che Mentana segnò i prodromi di Roma capitale.
Si può parlare di strategia della battaglia?
La battaglia di Mentana offre riflessioni sulle forze in campo …e sulle loro strategie.
Secondo i piani di Garibaldi l’invasione dello Stato della Chiesa, doveva procedere in tre direzioni tendenti ad accerchiare Roma: la prima o ala centrale affidata a Menotti Garibaldi (da Terni a Monterotondo), la seconda o ala destra guidata da Nicola Acerbi (da Orvieto verso Viterbo) e la terza o ala sinistra da Giovanni Nicotera (Nicotera e Salomone da Pontecorvo e Aquila verso Velletri). A Stefano Canzio spettava di organizzare una spedizione marittima da sbarcare sulle coste romane nei pressi di Montalto.
Quando si è passati il confine i volontari, disposti in battaglioni-colonne, si sono sparsi in vari centri per sfruttare la tipologia territoriale (mimetizzazione, barricate, guerriglia) ma l’assenza della logistica e dell’addestramento come della disciplina e dell’armamento adeguato si sfaldarono davanti all’altro schieramento.
I franco-pontifici che mossero inizialmente in due tronconi (salaria – nomentana) si riunirono al momento opportuno facendo valere la loro forza superiore in numero di uomini e mezzi per prendere tra due fuochi i garibaldini. Nei franco-pontifici prevaleva la sinergia, la disciplina, il movimento.
I volontari garibaldini combattevano al grido di "Viva Garibaldi", "Viva la libertà", "Roma o morte" a cui rispondevano i franco-pontifici con "Viva il Papa", "Viva l’Imperatore", "Vittoria o morte".
Non fu sufficiente la presenza del carisma di Giuseppe Garibaldi a questi volontari, indubbiamente diversi da quelli della prima ora, che "malarmati, malcalzati, malvestiti" sperimentarono l’effetto delle armi nemiche.
L’armamento dei garibaldini era antiquato, in molti casi erano i fucili requisiti alla Guardia Nazionale, più da rottamare che da mostrare, in altri casi erano armi bianche o adattate. L’armamento dei franco-pontifici era notevole: dal devastante Stutzen alla precisione del Remington, dalla lunga gittata del Miniè al nuovo modello a ripetizione dello Chassepot con dodici colpi al minuto.
Oltre a questo non va trascurata l’alimentazione (scarsa e precaria per i garibaldini) e l’organizzazione che sul campo produceva anche una percezione di forza maggiore e di motivazione psicologica perché creava collegamento e rifornimento a favore dei franco-pontifici.
Lo scontro tra le parti è stato anche alla baionetta e lo scenario della battaglia con il sangue, il piombo, la polvere, il dolore ha spento l’odore della campagna sabina che in quel tempo era dedita alla vendemmia e si preparava alla raccolta delle olive.
Altri elementi negativi hanno tuttavia pesato sui garibaldini: dalle voci politiche che invitavano a dissociarsi da Garibaldi; alle colonne di Acerbi, di Nicotera e di Paggi non presenti a fianco dell’eroe; dal ritardo della partenza di Menotti verso Tivoli; alla defezione dei volontari stessi.
Il dove della battaglia è stato casuale o mirato?
Con l’invasione dei garibaldini nel territorio dello Stato della Chiesa ci sono stati movimenti di truppe con attacchi e scontri in progressione verso Roma: Bagnoregio, 5 ottobre; Montelibretti, 13 ottobre; Nerola 18 ottobre; Farnese, 19 ottobre; Villa Glori 23 ottobre; Monterotondo, 26 ottobre; Mentana il 3 novembre.
In quella situazione Garibaldi constatata la mancata insurrezione del popolo romano, la dispersione dei suoi e la minaccia del contingente francese a Civitavecchia prese la decisione di ripiegare verso Tivoli per sicurezza. Nel procedere verso Tivoli e l’avvicinarsi dei franco-pontifici avvenne l’incontro-scontro a Mentana decisivo per la campagna che era stata intrapresa.
In questo senso le associazioni garibaldine si adoperarono per l’inserimento e il riconoscimento della campagna nel contesto della liberazione di Roma e dell’unità d’Italia per cui la battaglia di Mentana con legge del 1899 fu definita come « Campagna dell’Agro romano per la liberazione di Roma ».
Come è stata raccontata la battaglia?
Oltre ai citati rapporti dei comandanti ci sono i proclami-ordine del giorno di Garibaldi i giornali del tempo ed anche i racconti orali e scritti dei testimoni diretti.
Appartengono all’ottocento i memorialisti: Adiamoli, Bonetti, Del Vecchio,Gregorovius, Garibaldi, Guerzoni, Fabrizi, Morandi, Pozzi, Pennesi, Pearson,Vitali per i garibaldini e De Becdelievre, De Poli, Kanzler, Russell-Killough, Wibaux per i pontifici.
Nel secolo successivo ci sono ricostruzioni sotto vari profili (storico, militare, letterario, politico, culturale) di Barbarich, Cantagalli, Clozier, Coccia, Cicconetti, De Barral, De Cesare, Dalla Torre, Giovanetti, Guidotti, Giovagnoli, Guenel, Innocenti, Luzio, Loewson, Maggio, Massimiani, Olmi, Raggi, Rosati, Silvi, Severino, Tosi, Valentini.
Dallo stile patriottico ed enfatico dell’ottocento si passa a quello articolato e diversificato del novecento a seconda della visuale politico-culturale.
E la memoria?
Quando parliamo di memoria dobbiamo ricordare entrambi gli schieramenti perché la visuale sia completa e non parziale, nel senso che entrambi hanno combattuto per la libertà ma in prospettive diverse.
I volontari italiani detti garibaldini si definivano patrioti e per essi significava onorare, amare e servire l’Italia che volevano in nazione una, indipendente, libera. Ad essi si chiedeva: coraggio, impeto generoso, dovere, disinteresse personale, sacrificio, solidarietà, non privilegi, contegno degno della missione affidata, onestà, umanità.
Li formava il pensiero cavourriano (liberismo), mazziniano (repubblicano) e garibaldino (democratico). Questi volontari venivano invece definiti "bande o nuovi barbari" dai pontifici.
I volontari del beato Pio IX detti zuavi pontifici erano un gruppo di elite di ben ventisette nazioni: Austria (Tirolo), Brasile, Belgio (Fiamminghi e Valloni), Cile, Cina, Canada, Ecuador, Etiopia (Abissinia), Francia, Germania (Prussia, Bavaria, Wuttenberg, Baden, Sassonia), Grecia, Gran Bretagna, Italia, India, Irlanda,Malta, Marocco, Principato di Monaco,Olanda, Portogallo, Polonia, Perù, Russia, Svizzera, Spagna, Usa, Turchia (Ottomani).
Si definivano servitori o difensori del Papa perché per essi Roma non apparteneva soltanto all’Italia ma all’universo cattolico per cui ritenevano che senza territorio libero e indipendente la libertà del Papa spariva. Inoltre spinti da fede religiosa erano convinti di difendere , col potere temporale del Papa, la religione. Ad essi si chiedeva: purezza, fervore, sacrifico, vigilanza, meditazione, zelo, pazienza, generosità, volontà di Dio. Li formava lo studio, la preghiera e il servizio.
Gli zuavi pontifici venivano definiti dai volontari italiani come "avventurieri e mercenari".
La memoria di entrambi è celebrata da rispettive associazioni e da attestati.
Per i zuavi è stato eretto il monumento funebre al Verano di Roma, i defunti sono sepolti nelle chiese di Santo Spirito in Sassia e alla chiesa dell’Immacolata Concezione. Sono insigniti di diploma e medaglia "Fidei et Virtuti" detta "Croce di Mentana" coniata nel 1867. Si celebra messa.
Per i garibaldini è stato: eretto il monumento-ossario a Mentana nel decennale della battaglia dichiarato monumento e sacrario militare nazionale, fondato il museo nel 1905, celebrato con emissione di francobolli; intitolazione edifici, vie e premi; diplomi e medaglie celebrative. Si ricorda l’evento con raduno.
Cosa rimane oggi?
Oggi rimane la memoria documentale (libri, lettere, stampe..), artistica (disegni, foto, pitture, sculture…), celebrativa (anniversari..), storica-militare (raduni, museo, monumento, onoranze ai caduti, araldica,..), culturale-educativa (istruzione scolastica, progetto formativo e didattico, disciplina di storia del risorgimento, associazionismo, eventi..). Il monumento è anche un bene ambientale e del paesaggio di Mentana per cui va tutelato anche nell’ambito della protezione civile.
Rimane il patrimonio ideale e di pensiero che qui a Mentana in modo particolare Garibaldi ha lasciato come suo testamento: pace universale, federazione europea, abolizione della pena di morte, libero pensiero, antischiavismo, emancipazione femminile, suffragio universale, laicità, riformismo, sviluppo. E’ quello che in altre parole chiamiamo "diritti umani" che vanno tutelati e promossi.
Rimane la testimonianza del volontariato che è insieme capitale umano e sociale. Esso non è un ambito accessorio della nostra convivenza ma ne è la linfa vitale e costituisce un elemento distintivo della qualità della nostra democrazia e del nostro vivere sociale.
Dove cresce il volontariato cresce il capitale sociale, la correttezza e la ricchezza delle relazioni interpersonali oltre al rispetto delle regole condivise. Esso deve essere uno stile di vita.
Rimane il messaggio e la testimonianza di quanti sono caduti in guerra e in missione di pace perché entrambi sono patrimonio indissolubile dell’intera collettività nazionale che deve sempre consolidarsi per mantenersi unità.
Rimane nel trinomio araldico di Mentana "Dio, Patria, Umanità" il segno e il simbolo della cultura dell’Unità d’Italia che accanto a questa immagine deve raccogliersi nella sua identità per impedire il degrado morale e valoriale perché attraverso questi segni e simboli le istituzioni e le generazioni sono interpellate e possono relazionarsi.
Rimane il monito di Foscolo "A egregie cose il forte animo accendono le urne dei forti" se esse sono conservate con decoro ed ordine, quale richiamo alla libertà e alla vigilanza.
I giorni di Mentana hanno costruito la cittadinanza nazionale che oggi va completata con quella dell’Unione Europea, senza sostituirla ma integrarla con il metodo comunitario, basato su un dialogo permanente fra gli interessi nazionali e l’interesse comune che nel rispetto delle diversità nazionali sviluppa una identità propria all’Unione.

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