Il 24 novembre 2009 viene uccisa Lea Garofalo.
Lea Garofalo era l'ex moglie del boss Carlo Cosco che dopo essere diventata testimone di giustizia fu uccisa dalla ‘ndrangheta, nei dintorni di Monza, in Lombardia, in un agguato organizzato dal suo ex marito. Lea Garofalo aveva 35 anni: prima di essere uccisa fu torturata, nella frazione monzese di San Fruttuoso, e il suo corpo fu poi bruciato. I resti furono ritrovati soltanto nel 2012. Per questo delitto, al termine di lungo processo che si è concluso a marzo 2012, sono state condannate all’ergastolo – con sentenze confermate in appello nel 2013 e definitivamente in Cassazione nel 2014 – diverse persone del clan Cosco, tra cui l’ex marito di Garofalo, riconosciuto come mandante dell’omicidio.
Lea Garofalo, nata nel 1974 a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, è riconosciuta e ricordata come un simbolo della lotta contro la criminalità organizzata. Prima di morire, le sue testimonianze servirono nelle indagini riguardo diversi membri del clan dei Cosco, anche per delitti contro altri parenti di lei, tra cui il fratello Floriano, boss rivale dei Cosco. In occasione del funerale pubblico celebrato nel 2013, Denise Garofalo, figlia di Lea, scrisse di sua madre: “Ha avuto il coraggio di ribellarsi alla cultura della mafia, la forza di non piegarsi alla rassegnazione. Il suo funerale pubblico è un segno di vicinanza non solo a lei, ma a tutte le donne e gli uomini che hanno rischiato e continuano a mettersi in gioco per la propria dignità e per la giustizia di tutti”.
La lunga storia di Lea Garofalo fu ripresa da diversi giornali italiani ed è stata raccontata fin dal 2010, quando la notizia della sua morte cruenta suscitò grande biasimo da parte dell’opinione pubblica.
Lea Garofalo faceva parte di un’altra famiglia legata alla criminalità organizzata crotonese: queste relazioni emersero in ambito nazionale il 7 maggio 1996, quando furono arrestati a Milano alcuni membri della ‘ndrangheta di Petilia Policastro, che già da alcuni anni aveva cominciato a stringere relazioni nel nord dell’Italia. Tra gli arrestati c’era anche Floriano Garofalo, giovane boss incaricato di gestire gli affari milanesi per conto dei Garofalo, e che fu poi assolto nel processo seguente l’arresto. Floriano Garofalo era il fratello di Lea Garofalo: fu ucciso l’8 giugno del 2005, nove anni dopo quel primo arresto e dopo l’assoluzione, in un agguato dei Cosco nella frazione Pagliarelle di Petilia Policastro.
Alla fine degli anni Ottanta, dopo aver conosciuto ed essersi innamorata del suo compaesano Carlo Cosco, Lea Garofalo – che all’epoca aveva 13 anni – era andata a vivere con lui a Milano. Cosco aveva cominciato a frequentare alcuni spacciatori di Quarto Oggiaro, dove era già presente un gruppo della ‘ndrangheta operante in Lombardia. Garofalo e Cosco avevano una figlia, Denise. Lui era diventato, con il passare del tempo, un capo della criminalità calabrese a Milano. Scrive Emanuela Zuccalà in un articolo sulla sezione “27esimaora” del Corriere:
[Lea Garofalo] aveva fatto la “fuitina” a 13 anni con il ragazzo di cui s’era innamorata proprio per dimenticare la Calabria e abbracciare un mondo nuovo a Milano, fatto di regole diverse e senza strade imbrattate di sangue. Invece qui si era ritrovata in un ambiente identico, con i picciotti della ‘ndrangheta che si ammazzavano tra loro, nello stabile di via Montello 6 di proprietà della Fondazione Policlinico occupato abusivamente da famiglie calabresi che campavano con la droga.
Dopo aver lasciato Cosco nel 1996, nel 2002 Lea Garofalo entrò in un programma di protezione per testimoni che collaborano con la giustizia. Fornì informazioni riguardo omicidi di mafia avvenuti alla fine degli anni novanta a Milano: nel caso dell’omicidio di Antonio Comberiati, nel 1995, la sua collaborazione servì a stabilire il ruolo avuto da suo fratello Floriano e dal fratello di Carlo Cosco, Giuseppe Cosco detto «Smith». Dopo essere stata trasferita a Campobasso, però, Lea Garofalo perse le tutele del programma di protezione perché la collaborazione offerta non fu ritenuta sufficientemente rilevante. Lei si rivolse prima al TAR e poi al Consiglio di Stato: fu riammessa nel programma nell’aprile del 2009 – pochi mesi prima della sua scomparsa – ma decise di rinunciare volontariamente a ogni tutela e tornare a Petilia Policastro, per poi trasferirsi di nuovo a Campobasso. Con sua figlia Denise.
Nel maggio 2009 Garofalo raccontò ai carabinieri di Campobasso di avere subito un’aggressione nel suo appartamento da parte di un sicario inviato da Cosco. Secondo la ricostruzione dei carabinieri e della Procura di Campobasso, l’uomo riuscì a entrare in casa senza difficoltà e poi aggredì Lea Garofalo, che disse di essere riuscita a sottrarsi all’agguato anche grazie all’aiuto della figlia Denise. Come emerse nei mesi seguenti, Cosco tentò di far uccidere Garofalo perché preoccupato per quello che lei avrebbe potuto rivelare a novembre durante l’udienza di un processo a cui era stata chiamata a testimoniare a Firenze.
Il 24 novembre 2009 Carlo Cosco riuscì comunque a convincere Lea Garofalo, che si trovava in Calabria con Denise, a incontrarsi a Milano. Dovevano parlare del futuro di Denise, disse lui per ottenere l’incontro. Cosco e Garofalo parlarono in presenza della figlia; poi lui disse di voler accompagnare Denise a trovare gli zii, ma Lea – rifiutando di andare con Cosco – diede appuntamento alla figlia per incontrarsi alla stazione centrale di Milano e tornare a casa, in Calabria. Da quel momento, le tracce di Lea Garofalo andarono completamente perse fino al 2012, quando i suoi resti furono ritrovati nelle vicinanze di un cantiere a San Fruttuoso, a Monza. Il 24 novembre Cosco, che era rimasto con la figlia Denise, fu il primo a chiamare la polizia denunciando la scomparsa di Lea.
Le vicende precedenti la scomparsa di Lea Garofalo furono ricostruite nel corso delle indagini: contro Cosco fu emessa un’ordinanza di custodia cautelare riguardo al primo tentato sequestro nel maggio 2009. Le indagini successive stabilirono che Cosco aveva pianificato il rapimento e l’uccisione della sua ex compagna.
Carlo Cosco sta scontando l'ergastolo come pena definitiva per l'omicidio di sua moglie.
Nessun commento:
Posta un commento