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martedì 12 novembre 2019

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 12 novembre.
Il 12 novembre 1989 Occhetto pronunciò il discorso che diede inizio a quella che fu chiamata "la svolta della Bolognina".
Il 12 novembre del 1989 era domenica. Dalle 11 del mattino un gruppo di partigiani si era riunito in una sala comunale in via Tibaldi 17 a Bologna per le celebrazioni del quarantacinquesimo anniversario della battaglia di Porta Lame, un episodio della Resistenza italiana combattuto in alcuni quartieri di Bologna, tra cui Lame, Bolognina e Corticella, poi inglobati nel quartiere Navile.
Achille Occhetto partecipò a sorpresa all’incontro. In sala erano presenti solo due cronisti, il primo dell’Unità, l’altro dell’Ansa. Occhetto chiese la parola e parlò per circa sette minuti per quello che doveva essere un discorso commemorativo, di circostanza. Occhetto disse che era tempo di «andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato durante la Resistenza (…) Gorbaciov prima di dare il via ai cambiamenti in URSS incontrò i reduci e gli disse: voi avete vinto la Seconda guerra mondiale, ora se non volete che venga persa non bisogna conservare ma impegnarsi in grandi trasformazioni». Disse anche le parole poi diventate più celebri: era necessario «non continuare su vecchie strade ma inventarne di nuove per unificare le forze di progresso». Al cronista che gli chiese se le sue parole lasciassero presagire che il PCI avrebbe potuto anche cambiare nome, lui rispose: «Lasciano presagire tutto».
La “svolta”, secondo il racconto più diffuso, fu annunciata da Occhetto senza consultare il partito e questo fatto gli verrà rimproverato. Il giorno dopo l’annuncio la prima pagina dell’Unità (il direttore a quel tempo era Massimo D’Alema) titolava «Il giorno di Modrow. La Repubblica democratica tedesca elegge un nuovo premier». Al centro si trovava l’articolo sulla “svolta della Bolognina” intitolato: “Occhetto ai veterani della Resistenza: «Dobbiamo inventare strade nuove»”.
Della “svolta” si discusse ufficialmente il 13 novembre in segreteria del PCI e per altri due giorni in Direzione. Il tutto venne però rinviato al Comitato Centrale, che si aprì il 20 dello stesso mese. In quei giorni iniziarono comunque a delinearsi le diverse posizioni all’interno del PCI: da una parte quella che potremmo definire “la destra” del partito, fedele a Occhetto, e dall’altra parte “la sinistra” che assunse un iniziale atteggiamento di prudenza. Almeno fino al rientro da Madrid di Pietro Ingrao, storico leader della sinistra del PCI, che dichiarò: «Non sono d’accordo con la proposta avanzata da Occhetto. Spiegherò il mio dissenso nel Comitato centrale». Tra i militanti, nel frattempo, la svolta era stata accolta con rabbia, proteste e in modo piuttosto drammatico. Palombella Rossa, film del 1989 di Nanni Moretti, raccontò a modo suo quella fase.
Il 20 novembre si aprì il Comitato Centrale a Roma in via delle Botteghe Oscure. I suoi 300 membri discussero della svolta per cinque giorni (venendo accolti da 200 militanti in protesta). Nella sua relazione introduttiva Occhetto affermò di «condividere il tormento» dei compagni, ma chiese: «Fino a quando una forza di sinistra può durare senza risolvere il problema del potere, cioè di un potere diverso?». Da qui l’idea di fare un nuovo partito con altri partiti di sinistra (la «sinistra diffusa») per poi andare al governo col PSI e altri e con la DC all’opposizione. Occhetto chiuse avvertendo però che «prima viene la cosa e poi il nome. E la cosa è la costruzione in Italia di una nuova forza politica». Da quel momento in poi il dibattito sulla svolta della Bolognina sarà anche chiamato come il “dibattito sulla Cosa”. Nanni Moretti ci girò un documentario, intitolato appunto La Cosa, raccontando le discussioni – senza alcun commento – all’interno di alcune sezioni del Partito Comunista Italiano proprio nei giorni successivi alla proposta di Occhetto.
Il Comitato Centrale si concluse il 24 novembre con il voto di 326 membri su 374: i sì furono 219, i no 73 e gli astenuti 34. Il Comitato Centrale assunse la proposta del segretario «di dar vita ad una fase costituente di una nuova formazione politica», ma allo stesso tempo accettò la proposta delle opposizioni di indire un congresso straordinario entro quattro mesi. Il XIX e penultimo congresso del PCI si tenne dal 7 all’11 marzo del 1990. Le mozioni discusse furono tre: quella del segretario Achille Occhetto; quella firmata da Alessandro Natta e Pietro Ingrao, che invece si opponeva ad una modifica del nome, del simbolo e della tradizione; quella proposta da Armando Cossutta, simile alla seconda. Vinse la mozione di Occhetto con il 67 per cento delle preferenze: Achille Occhetto venne riconfermato segretario e pianse.
L’ultimo congresso del PCI si aprì il 31 gennaio del 1991 a Rimini (nel frattempo, alle elezioni regionali del 6 maggio del 1990 il PCI ottenne solo il 23,4 per cento a fronte del 33,4 per cento della Dc. Anche le iscrizioni furono in calo). «Cari compagni e care compagne, in molti sentono che è giunta in qualche modo l’ora di cambiare»: così iniziò l’ultimo discorso di Achille Occhetto come segretario del PCI. «Non si tratterà solo di cambiare targhe sulle porte delle sezioni, occorrerà andare a una grande opera di conquista e di proselitismo (…) Oggi è un momento importante della nostra vicenda collettiva e sarà un momento memorabile della storia politica d’Italia (…) Per costruire, con il compito, con l’orgoglio che vi guida, il futuro dell’Italia». La relazione di Occhetto durò due ore, fu appoggiata, tra gli altri, da Massimo D’Alema, Walter Veltroni e Piero Fassino. E vinse di nuovo: il 3 febbraio di quell’anno nacque il Partito Democratico della Sinistra. Il simbolo era una quercia; falce e martello comparivano in piccolo alla base del tronco della quercia. Occhetto divenne il primo segretario del PDS e Stefano Rodotà venne eletto come primo presidente.
Contrari si riconfermarono Armando Cossutta, Alessandro Natta, Pietro Ingrao, Sergio Garavini e Fausto Bertinotti (fu il cosiddetto “Fronte dei no”). Un gruppo di delegati di questa opposizione decise di non aderire al nuovo partito e di dare vita a una nuova formazione politica che mantenesse nel nome la parola “comunista”: il 15 dicembre del 1991 nacque Rifondazione Comunista.

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