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sabato 17 febbraio 2024

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 17 febbraio.
Il 17 febbraio 1848 Re Carlo Alberto riconosce ai valdesi diritti civili e politici.
VALDO (da cui valdese) era un mercante di Lione, di poco anteriore a Francesco d’Assisi (XII-XIII sec.) che decise, al termine di una profonda crisi spirituale, di vivere l'esperienza degli apostoli al seguito di Cristo. Di conseguenza vendette i suoi beni e si consacrò alla predicazione del Vangelo. Nel prendere questa decisione egli non intendeva ribellarsi alla Chiesa: pensava anzi di collaborare al suo rinnovamento seguendo l'esempio degli apostoli; fu invece scomunicato insieme ai suoi seguaci. Il movimento valdese, detto "dei poveri", si estese in Europa, raccogliendo consensi fra il popolo.
Come tutti i movimenti considerati allora “ereticali” da Roma, anche quello valdese fu oggetto di repressione e persecuzioni da parte dei poteri civili e religiosi. Malgrado questa situazione di difficoltà e la caccia dell'Inquisizione, esso si diffuse in tutta l'Europa medievale. Le zone in cui i valdesi si impiantarono con maggior consistenza furono le Alpi Cozie, la Provenza, la Calabria e la Germania meridionale. I loro predicatori itineranti erano detti “barba” (in dialetto "zio", nel senso di persona di riguardo) da cui “barbetti", appellativo popolare con cui i valdesi vennero designati sino in tempi recenti in Piemonte.
La testimonianza del movimento, mantenutasi coerente attraverso i secoli (dal XII al XVI), era centrata su due aspetti del messaggio cristiano: la fedeltà al Vangelo e la povertà della Chiesa. La Chiesa cristiana - dicevano i valdesi - si richiama a Gesù: essa ne deve perciò prendere alla lettera gli insegnamenti rinunciando al potere politico, all'uso della forza ed alle alleanze con le potenze del mondo.
Quando sorse in Europa la Riforma protestante, i valdesi vi aderirono nel 1532 (c.d. sinodo di Chanforan), organizzandosi, con l'aiuto della Ginevra di Calvino, in comunità alternative a quella di Roma, con predicatori locali per il culto e la celebrazione dei sacramenti. In quel momento il valdismo cessava ufficialmente di essere un movimento, per diventare una vera e propria chiesa riformata.
Il messaggio protestante non fu però accolto solo dai valdesi, ma anche in molti altri ambienti del Piemonte e di altre regioni d’Italia, nella quale tuttavia il cattolicesimo mantenne il suo predominio assoluto, solo grazie all'azione della Controriforma cattolica e all'appoggio dei principi.
La legislazione vigente in Europa in materia religiosa, detta del “cuius regio et eius religio", a seguito di un accordo siglato tra l’Imperatore Carlo V e i Principi protestanti riuniti nella lega di Smalcalda, prevedeva che la religione del sovrano fosse anche quella dei suoi sudditi. Essendo i sovrani di Francia e Piemonte cattolici, l’unica forma di cristianesimo professato nelle vallate valdesi alpine, avrebbe dovuto essere perciò, per legge, solo quello cattolico romano.
Sia nel Delfinato francese che nelle aree valdesi del Piemonte, i valdesi rifiutarono di abiurare difendendosi anche con le armi. Essi rivendicavano il diritto di adorare Dio secondo la propria coscienza ed in questo si attestavano su posizioni molto moderne.
Per un complesso di circostanze politiche e militari favorevoli riuscirono ad ottenere il riconoscimento della loro religione in un'area ben definita delle Alpi Cozie, costituendo così un avamposto del protestantesimo europeo a sud delle Alpi.
Si trattava però sempre di una concessione revocabile in una situazione precaria e i rispettivi governi, francese e sabaudo, non abbandonarono il progetto di riconquistare queste terre alla fede cattolica.
Un momento particolarmente tragico si ebbe nel 1655, quando il massacro conosciuto come le “Pasque piemontesi” sollevò l'indignata protesta dell'Europa e l'intervento dell'Inghilterra di Cromwell.
Nel 1685 il re di Francia Luigi XIV vietò ai protestanti la professione della loro religione (revoca dell’Editto di Nantes) e come conseguenza anche le comunità valdesi del Piemonte furono distrutte. Solo poche migliaia di superstiti scamparono rifugiandosi in Svizzera. Rientrarono però dopo tre anni (1689) con una memorabile marcia conosciuta come il “Glorioso Rimpatrio”.
Per tutto il XVIII secolo i valdesi vissero ancora emarginati e oggetto di una legislazione discriminatoria che ne faceva dei cittadini di seconda categoria chiusi nel loro territorio, all'incirca come avveniva per gli ebrei rinchiusi nel ghetto.
Dovettero attendere il 17 febbraio 1848, con le Lettere Patenti promulgate de re Carlo Alberto, per vedere riconosciuti i loro diritti civili e politici. I valdesi festeggiano a tutt’oggi il ricordo di quella data, che li rendeva cittadini uguali agli altri di fronte allo Stato. E’ bene sottolineare che si trattava del riconoscimento dei soli diritti civili e politici, non anche religiosi. Il cattolicesimo infatti restava la religione di Stato e di conseguenza, i princìpi moderni della separazione tra Stato e Chiesa e il concetto di libertà religiosa, non vennero attuati. Né la chiesa cattolica, né la società italiana del tempo, erano ancora pronte ad accogliere queste istanze proprie del mondo moderno.
I valdesi si impegnarono invece attivamente nella difesa di questi principi, dal Risorgimento alla Resistenza, convinti della loro importanza per il rinnovamento politico e sociale del paese.
Con il 1848 e l'inizio del Risorgimento, i valdesi non furono più i soli evangelici presenti in Italia. Gruppi di esuli politici in Piemonte e di ritorno dall'Europa diedero vita ad una chiesa libera italiana; altri invece accolsero la predicazione di missionari giunti dal mondo anglosassone, esponenti, in particolare, delle chiese metodiste e battiste.
Per esprimere questo impegno nella vita sociale della nazione, sia i valdesi, sia gli altri evangelici, usarono il termine "evangelizzazione". Parlando di "evangelizzare" l'Italia essi non intendevano l’intenzione di fondare una nuova religione, ma, come Valdo, volevano rendere attuale il messaggio dell’Evangelo, diffondendo la conoscenza della Bibbia e stimolando la riflessione teologica per un rinnovamento della fede cristiana. Quest’opera di testimonianza si espresse non solo nella predicazione, con l'apertura di sale di conferenze e di locali di culto, ma anche nel campo dell’assistenza e dell'educazione. Venne creata una diffusa rete di scuole elementari e si può dire che ogni comunità evangelica ebbe una sede scolastica. Il maestro, insieme al venditore di Bibbie, fu infatti la figura caratterizzante l’evangelismo italiano della seconda metà dell’ottocento. Accanto alle scuole sorsero poi convitti, orfanotrofi, scuole di artigianato, ospedali, ricoveri per anziani, asili.

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