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lunedì 28 agosto 2023

#Almanacco quotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 28 agosto.
Il 28 agosto 1850 va in scena la prima del Lohengrin, di Richard Wagner.
Il libretto, concepito nel 1841 ma realizzato nel 1845, all’indomani della rappresentazione del Tannhäuser, si avvale di diverse fonti della saga di Lohengrin (dal francese antico ‘li loheren Garin’: Gerin il loreno), che Wagner collazionò non senza aver inserito situazioni e personaggi di sua invenzione. Si tratta del poema di Wolfram von Eschenbach Parzival (lo stesso da cui Wagner attingerà per il Parsifal), del poema epico tedesco anonimo del XIII secolo Lohengrin e del poema medievale anonimo Le Chevalier au cygne. La composizione della musica risale al triennio 1846-1848; circostanza non occasionale per il musicista, egli iniziò il lavoro cominciando dal terzo atto e lo terminò a ritroso, con la stesura del celebre preludio al primo atto. Wagner era sicuro di rappresentare anche Lohengrin al Teatro di corte di Dresda, dopo che vi aveva presentato (pur senza riscuotere grande successo) Der fliegende Holländer e Tannhäuser, e modellò la partitura sulle forze vocali e strumentali di quel teatro; ma l’adesione alla rivolta dei nichilisti di Bakunin contro la città, nel 1848, gli costò la condanna a morte e lo costrinse alla fuga in esilio a Zurigo, oltre che, ovviamente, alla cancellazione della rappresentazione. Fu poi l’amico (e, anni dopo, suocero) Franz Liszt, direttore musicale del più piccolo teatro di Weimar, al quale Wagner si era rivolto con un’accorata supplica, a offrirsi di curare la prima rappresentazione, nonostante alcune riserve sull’efficacia scenica: il 28 agosto 1850, giorno dell’anniversario della nascita di Goethe, Lohengrin ricevette il suo battesimo. Wagner, che non poteva essere presente all’avvenimento, si risparmiò quanto meno la delusione di un’accoglienza non molto calorosa da parte del pubblico. Non mancarono tuttavia musicisti e ‘addetti ai lavori’ a segnalare che, con Lohengrin, si era stabilito una volta per tutte chi fosse il primo compositore tedesco del momento; e anche il successo popolare non tardò a seguire negli anni successivi. Oggi Lohengrin è l’opera wagneriana più rappresentata nel mondo, e probabilmente anche la più amata dal pubblico. Lohengrin è anche la prima opera di Wagner mai rappresentata in Italia; l’avvenimento risale al 1871, a Bologna, e a seguito di esso si alimentò in Italia la cosiddetta ‘questione wagneriana’, che da tempo contrapponeva i fautori della tradizione verdiana a quelli del ‘progresso’.
Atto primo. Anversa, prima metà del X secolo. Giunto nel Brabante per richiamare i nobili al dovere dell’impegno militare contro gli Ungari, il re tedesco Heinrich der Vogler (Enrico l’Uccellatore) convoca il nobile Friedrich von Telramund, affinché gli spieghi il motivo per cui i brabantini sono rimasti senza un capo e in lotta tra loro. Telramund avanza pretese sul governo della regione perché Elsa, figlia del duca di Brabante, sarebbe la responsabile della scomparsa di Gottfried, il fratello, cui sarebbe spettato il potere alla morte del duca; perciò, aggiunge Telramund, nonostante il vecchio duca avesse individuato in lui il futuro sposo di Elsa, egli ha preferito unirsi a Ortrud. Elsa ricorda di aver avuto un giorno la visione di un cavaliere che la confortava (“Einsam in trüben Tagen”) e, quando Heinrich la convoca per il giudizio divino, invitandola a scegliersi un difensore, ella si appella al misterioso cavaliere, offrendogli la sua mano e il Brabante. Al terzo appello dell’araldo del re, sulle acque della Schelda appare il cavaliere Lohengrin nella sua argentea armatura, a bordo di una navicella trascinata da un cigno (“Nun sei bedanht, mein lieber Schwan!”); e, in cambio della promessa di lei di non chiedergli mai né il suo nome né la sua provenienza, si rende disponibile a provare l’innocenza di Elsa (“Nie sollst du mich befragen”). Sarà il duello a fornire la prova: e infatti Telramund è abbattuto, ma non finito, da Lohengrin, tra l’esultanza del re e del popolo.
Atto secondo. Castello di Anversa, di notte. Telramund si scaglia contro Ortrud, per averlo costretto ad accusare ingiustamente Elsa al fine di soddisfare la sua brama di potere; ma Ortrud gli suggerisce che il potere del misterioso cavaliere avrà termine, se qualcuno lo costringerà a rivelare il proprio nome o riuscirà a tagliargli un dito della mano: i due escogitano il piano che li porterà al governo del Brabante. All’apparire di Elsa sul balcone del suo castello (“Euch Lüften, die mein Klagen”), Ortrud fa in modo di farsi vedere pentita e riesce a introdursi nei suoi appartamenti. Nel dialogo tra le due donne Ortrud riesce poi a insinuare nella giovane Elsa un dubbio sulla natura del suo cavaliere che, come velocemente è giunto, altrettanto velocemente potrebbe ripartirsene. L’araldo proclama intanto i voleri del re: la messa al bando dalla legge per Telramund e le nozze immediate tra Elsa e il cavaliere, nuovo protettore della regione; si forma il corteo nuziale, mentre Ortrud accusa pubblicamente Lohengrin di sortilegio. Telramund, mentre il re e i nobili rinnovano la loro fiducia in Lohengrin, si avvicina furtivamente a Elsa, protetto da quattro nobili brabantini: nella notte si nasconderà vicino alla sua camera, pronto a ferire il cavaliere, qualora lei ritenesse di essere in pericolo; ma Elsa, in cui la fede nel misterioso cavaliere prevale ancora sul dubbio, rifiuta l’offerta.
Atto terzo. Inno nuziale (“Treulich geführt”): Elsa e Lohengrin possono finalmente adagiarsi sul talamo nuziale (duetto “Das süße Lied verhallt”). Lohengrin sente crescere la curiosità di Elsa verso di lui; cerca di impedire, ma invano, che gli ponga la domanda sulle sue origini. E proprio nel momento in cui ella cede, Telramund e i quattro nobili irrompono nella stanza, decisi a ferire il cavaliere; Elsa sviene. Lohengrin uccide Telramund e si volge a contemplare l’amata, consapevole d’averla ormai perduta; al suo risveglio le comunica che le rivelerà il suo nome, ma solo al cospetto del re e del popolo. Sulle rive della Schelda, ai brabantini che attendono di partire per la guerra, il cavaliere, dopo aver deplorato il ‘tradimento’ di Elsa, si rivela: egli è Lohengrin, figlio di Parsifal, capo dei custodi del santo Graal; è sceso sulla terra per portare pace, protetto da una potenza divina che però svanisce se è costretto a rivelare chi sia (“In fernem Land”). Elsa lo supplica di perdonarla, ma invano, ché già sta sopraggiungendo il cigno che riporterà Lohengrin da dove è venuto. Segue il mesto commiato tra i due; il popolo del Brabante è invece confortato dalla rassicurazione di Lohengrin circa la vittoria in battaglia. Ortrud rivela che il cigno in realtà è Gottfried, così trasformato da lei per sortilegio. Lohengrin si raccoglie in preghiera, finché giunge una colomba che trascina la sua navicella, mentre il cigno si immerge nelle acque del fiume per uscirne nelle vesti di Gottfried, pronto – ora che è stato spezzato il malefico sortilegio di Ortrud – ad assumere il governo del Brabante. Lohengrin si allontana; Elsa si abbandona esanime tra le braccia del fratello.
Come tutte le azioni drammatiche in cui il mito prevale sulla storia, l’ideale sul reale, il fantastico sul concreto, anche Lohengrin si presta a essere interpretato sotto diverse chiavi di lettura, di tipo filosofico, psicoanalitico, storico-letterario o sociologico. Wagner scrisse di vedere in Lohengrin il prototipo dell’artista moderno – un’ombra di se stesso, dunque – gravato da un destino di solitudine e di incomprensione da parte del mondo circostante. Elsa, che è personaggio positivo in quanto tenta di afferrare la vera natura di Lohengrin, per così dire di umanizzarlo, pur sapendo che il suo tentativo è destinato al fallimento, presenta in ciò caratteri comuni alla Senta dell’Olandese volante o all’Elisabetta del Tannhäuser. La coppia Ortrud-Telramund, ch’è mero strumento nelle mani di quest’ultimo, è invece – sempre secondo Wagner – «l’impersonificazione della borghesia reazionaria», che all’amore, al puro e persino utopico amore che Lohengrin cerca in Elsa, sostituisce una visione degli umani rapporti basata sulla logica di potere. Per quanto discutibile, l’interpretazione wagneriana sembra tuttavia trovare fondamento nella struttura armonica dell’opera, se è vero che la coppia Lohengrin-Elsa è sempre raffigurata con brani in tonalità maggiori, mentre la coppia Telramund-Ortrud appare in tonalità minori. Quest’ultimo è solo un aspetto tra i tanti che documentano la perfetta organizzazione drammatica della partitura wagneriana, che appartiene (con Der fliegende Holländer e Tannhäuser) alla trilogia di lavori fortemente sperimentali sottotitolati come ‘opera romantica’, che precedono e preludono ai ‘drammi musicali’ veri e propri, nei quali l’estetica e la poetica wagneriana si realizzano compiutamente. Di tale trilogia Lohengrin rappresenta, non solo cronologicamente, l’ultima tappa; è infatti l’opera che, più delle altre, presenta da una parte una trama motivica (particolarmente in evidenza i temi ‘del Graal’, ‘del cigno’, ‘di Lohengrin’, ‘di Elsa’, ‘di Ortrud’, ‘del giudizio divino’ e ‘della domanda proibita’) particolareggiata e funzionale a tutte le scene, dall’altra un rapporto tra parti strofiche e parti libere, ponendo l’elemento di distinzione tra quelle soggette a una quadratura ancora in qualche modo tradizionale della frase e quelle sorrette da uno sciolto e fluido declamato drammatico, decisamente in favore di queste ultime. Abolita già con Tannhäuser la tradizionale suddivisione in numeri chiusi, a maggior ragione non si fatica a cogliere come tutto il materiale musicale di Lohengrin fluisca ininterrottamente all’interno di ogni atto, potendosi considerare momenti ‘chiusi’ soltanto l’aria di Elsa nel primo atto, la celeberrima marcia nuziale, il duetto amoroso Elsa-Lohengrin e il racconto coram populo del cavaliere del Graal verso la fine del terzo atto. L’aspetto dell’opera meno ricco di innovazioni, anche alla luce degli straordinari esiti del Wagner successivo, sembra quello orchestrale; in altri termini, Lohengrin è l’ultima opera wagneriana in cui la conduzione del discorso è ancora precipuamente affidata alla vocalità: un elemento al quale l’orchestra fornisce sì un sostegno ricco e ineliminabile, ma interamente subordinato (e forse proprio per questo, come ha suggerito Massimo Mila, quest’opera gode di particolare popolarità in Italia). Accanto a talune pecche nella strumentazione, a tratti eccessivamente pesante, l’unico aspetto timbrico davvero funzionale al dramma è il contrasto tra i suoni ‘bianchi’, ‘argentei’ del primo atto (eloquente in tal senso il celebre, etereo e luminoso preludio, con i violini suddivisi in quattro soli, più primi e secondi divisi in due leggii), incentrato su Elsa e Lohengrin, e i suoni ‘neri’, grevi e gravi dell’atto secondo, dedicato alle figure di Ortrud e Telramund.

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