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lunedì 6 luglio 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 6 luglio.
Il 6 luglio 2003 le gemelle siamesi Ladan e Laleh Bijani, due corpi e due cervelli diversi, ma uniti per la calotta cranica si sottopongono a Singapore a un delicato intervento per separarle. Le ragazze hanno 29 anni, per tutta la vita hanno dovuto convivere con la necessità di scegliere un lavoro che piacesse ad entrambe, amicizie in comune, e tutto quel che ne consegue.
Le gemelle iraniane avevano voluto molto fortemente questo intervento, avevano consultato tanti chirurghi, nessuno era disponibile a operare. L’ultima volta nel 1996 un neurochirurgo tedesco, bravissimo, aveva detto no: troppi rischi. C’era in comune fra i due cervelli uniti lo scarico venoso principale. Loro, Ladan e Laleh (colte, laureate in Legge, una pronta a fare l’avvocato, l’altra con la passione del giornalismo) lo sapevano e hanno continuato a cercare. Che cosa? Qualcuno che quel rischio lo volesse correre, e l’hanno trovato a Singapore: un neurochirurgo dell’Australia Keith Goh che ha messo insieme un gruppo formidabile di neurochirurghi, chirurghi vascolari, chirurghi plastici, e un centinaio di altri tecnici ad aiutarli. Ha fatto venire Ben Carson, direttore della neurochirurgia pediatrica del Johns Hopkins di Baltimora. Goh e Carson non erano alla prima esperienza insieme, avevano separato nel 2001 due neonati del Nepal, anche loro uniti per la testa. L’intervento era riuscito, i due bambini ora stanno benino, hanno problemi, si capisce, ma vivono ciascuno la sua vita. Ladan e Laleh volevano vivere la loro vita e avevano detto esplicitamente, qualche settimana prima dell’intervento: “Non vogliamo pensare a chi di noi vivrà e a chi invece dovesse morire”. Sapevano anche perfettamente che una o entrambe avrebbe potuto svegliarsi con un danno permanente al cervello. Paralizzate, magari, ma libere finalmente ciascuno con la sua vita, con le sue idee, con la sua intelligenza, con il suo desiderio di affermarsi in campi diversi. E di questo probabilmente si deve solo prendere atto. Chi può dire se sia meglio una vita di sacrifici e di privazioni, ogni ora del giorno, tutti i giorni dell’anno, per sempre, o non piuttosto rischiare per riuscire a vivere una vita diversa? E i medici? Anche qui stiamo ai fatti. Sul cervello, sono in assoluto i più competenti al mondo, si sono preparati con uno scrupolo straordinario. L’intervento è stato lunghissimo, segno di grande attenzione ai minimi dettagli, erano in tanti e si davano il cambio. Per loro è stata sul piano tecnico una grande sfida. Lo sapevano benissimo le sorelle Bijani. Una sfida che con queste premesse era giusto correre, che qualche volta in passato è riuscita, che fra qualche anno riuscirà sempre. Interventi sulla vena principale del cervello, se hanno successo possono aprire frontiere straordinarie nella chirurgia dei tumori. La medicina va avanti anche così.
Goh ha voluto tenere sotto osservazione le gemelle per mesi per rendersi conto se la qualità della loro vita attuale fosse così bassa da consigliare comunque di affrontare i rischi di un intervento. ''Negli ultimi mesi le abbiamo tenute d'occhio quasi tutti i giorni - ha detto Goh - osservando le reazioni della gente intorno a loro, bambini e adulti. Penso che la qualita' della vita sia un argomento importante che meriti i rischi dell'operazione''.
Purtroppo non ce l'hanno fatta e sono morte, l'8 luglio 2003, dopo un intervento durato 53 ore all'ospedale "Raffles" di Singapore. L'operazione (la più sosfisticata nel suo genere finora affrontata al mondo) non ha avuto il successo sperato. Laden, la più debole delle due, è stata la prima a morire. Sua sorella Laleh, in condizioni disperate dopo l'intervento, è deceduta circa tre ore dopo. Durante l'intervento, lunghissimo e delicatissimo (si è trattato di separare i due cervelli procedendo millimetro per millimetro), le gemelle avevano perso una grande quantità di sangue. Disperazione e lacrime all'ospedale di Singapore da parte di parenti, amici e semplici cittadini commossi dalla storia delle due donne. Le autorità iraniane, che hanno preso a cuore la storia delle due sorelle, decidendo anche di finanziare per intero l'operazione, hanno espresso "un profondo dolore", come ha solennemente proclamato Abdollah Ramezanzadeh, portavoce dell'esecutivo.

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