Buongiorno, oggi è il 21 luglio.
Il 21 luglio 2001, nell'ambito del G8 di Genova, avvenne un assalto da parte delle forze dell'ordine alla Scuola Diaz, sede del coordinamento dei comitati di protesta anti G8.
Il giorno prima, durante una dei tanti scontri di giornata tra manifestanti e polizia, era morto Carlo Giuliani, colpito da un'arma da fuoco sparata da un carabiniere. Gli animi di tutti erano perciò già particolarmente esasperati.
La scuola Diaz e l'adiacente scuola Pascoli, nel quartiere di Albaro, in origine erano state concesse dal comune di Genova al Genoa Social Forum come sede del loro media center e, in seguito alla pioggia insistente che aveva costretto a evacuare alcuni campeggi, anche come dormitorio. Secondo le testimonianze dei manifestanti la zona era divenuta un punto di ritrovo di molti manifestanti, soprattutto tra chi non conosceva la città, venendo frequentata durante le tre giornate anche da coloro che non erano autorizzati a dormire nell'edificio e, sempre secondo quanto riferito dai manifestanti e dal personale delle associazioni che avevano sede nella Pascoli, non vi erano particolari situazioni di tensione nei due edifici.
Intorno alle ore 21.00, circa due ore prima della perquisizione e mezz'ora prima della supposta aggressione alle forze dell'ordine, alcuni cittadini segnalarono la presenza in zona (via Trento, piazza Merani e via Cesare Battisti) di alcuni manifestanti intenti a posizionare dei cassonetti dell'immondizia in mezzo alla strada ed intenti a liberarsi di caschi e alcuni bastoni. Una volante della polizia mandata a verificare rilevò la presenza di un centinaio di persone davanti alla scuola Diaz, senza però essere in grado di verificare se fossero i soggetti segnalati dalle telefonate o se stessero realmente spostando i cassonetti in mezzo alla strada.
Successivamente la segnalazione di un attacco a una pattuglia di poliziotti portò alla decisione da parte delle forze dell'ordine di effettuare una perquisizione presso la scuola Diaz e, ufficialmente per errore, alla vicina scuola Pascoli dove stavano dormendo 93 persone tra ragazzi e giornalisti in gran parte stranieri, la maggior parte dei quali accreditati; il verbale della polizia parlò di una "perquisizione" poiché si sospettava la presenza di simpatizzanti del Black block ma, a distanza di anni, resta tuttora senza motivazione ufficiale l'uso della tenuta antisommossa per effettuare una perquisizione.
Tutti gli occupanti furono arrestati e la maggior parte picchiata, sebbene non avessero opposto alcuna resistenza; i giornalisti accorsi alla scuola Diaz videro decine di persone portate fuori in barella, uno dei quali rimase in coma per due giorni, ma la portavoce della Questura dichiarò in conferenza stampa che 63 di essi avevano pregresse ferite e contusioni e mostrò il materiale sequestrato senza dare risposte agli interrogativi posti dai giornalisti. Le immagini delle riprese mostrarono muri, pavimenti e termosifoni macchiati di sangue, a nessuno degli arrestati venne comunicato di essere in arresto e dell'eventuale reato contestato, tanto che molti di loro scoprirono solo in ospedale, a volte attraverso i giornali, di essere stati arrestati per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio, resistenza aggravata e porto d'armi.
Dei 63 feriti tre ebbero la prognosi riservata: la ventottenne studentessa tedesca di archeologia Melanie Jonasch, la quale subì un trauma cranico cerebrale con frattura della rocca petrosa sinistra, ematomi cranici vari, contusioni multiple al dorso, spalla ed arto superiore destro, frattura della mastoide sinistra, ematomi alla schiena ed alle natiche; il tedesco Karl Wolfgang Baro, trauma cranico con emorragia venosa, ed il giornalista inglese Mark Covell, mano sinistra e 8 costole fratturate, perforazione del polmone, trauma emitorace, spalla ed omero, oltre alla perdita di 16 denti, ed il cui pestaggio, avvenuto a metà strada tra le due scuole, venne ripreso in un video.
La versione ufficiale del reparto mobile di Genova fu che l'assalto sarebbe stato motivato da una sassaiola proveniente dalla scuola verso una pattuglia delle forze dell'ordine che transitava in strada alle ore 21.30 circa, anche se in alcune relazioni l'orario fu indicato nelle 22.30; il vicequestore Massimiliano Di Bernardini, in servizio alla Mobile di Roma ed in quei giorni aggregato a Genova, riferì in un primo tempo di essere transitato "a passo d'uomo", a causa di alcune vetture presenti nella strada molto stretta, davanti alla scuola con quattro vetture e che il cortile della scuola ed i marciapiedi "erano occupati da un nutrito gruppo, circa 200 persone, molti dei quali indossavano capi di abbigliamento di color nero, simile a quello tipicamente usato dai gruppi definiti Black bloc" e che questi avevano fatto bersaglio i mezzi con "un folto lancio di oggetti e pietre contro il contingente, cercando di assalire le autovetture", ma che queste riuscirono ad allontanarsi, nonostante la folla li inseguisse, "azionando anche i segnali di emergenza".
Le forze dell'ordine tuttavia non furono in grado di fornire indicazioni precise sui mezzi coinvolti, né su chi li guidava e le testimonianze sulla presenza di centinaia di simpatizzanti dei black bloc non venne confermata da altre fonti; successivamente Di Bernardini ammise di non aver assistito direttamente al lancio di oggetti e di avere "visto volare una bottiglia di birra sopra una delle quattro auto della polizia e una persona che si aggrappava allo specchio retrovisore", ma di aver riportato quanto riferitogli da altri. Successivamente tre agenti sostennero che un grosso sasso aveva sfondato un vetro blindato del loro furgone, un singolo mezzo, rispetto ai quattro dichiarati in un primo tempo, e che il mezzo venne poi portato in un'officina della polizia per le riparazioni; tale episodio tuttavia non risultò dai verbali dei superiori, stilati dopo l'irruzione, che invece riportano di una fitta sassaiola, né fu possibile identificare il mezzo che sarebbe stato coinvolto.
Testimonianze successive di altri agenti, rese durante le indagini, sostennero al contrario, il lancio di un bullone, evento a cui i superiori non avrebbero assistito, e di una bottiglia di birra, lanciata in direzione di quattro auto della polizia, a una delle quali si era aggrappato un manifestante. Alcuni giornalisti ed operatori presenti all'esterno della Pascoli racconteranno invece di aver visto solo una volante della polizia in coda insieme ad altre auto dietro un autobus che sostava in mezzo alla strada per far salire i manifestanti diretti alla stazione ferroviaria, la quale, giunta all'altezza delle due scuole, accelerò di colpo "sgommando", ed in quel momento venne lanciata una bottiglia che si infranse a terra a diversi metri di distanza dall'auto ormai lontana; versione confermata in parte da altri testimoni all'interno dell'edificio, i quali affermarono di aver sentito il rumore di una forte accelerata, seguito pochi istanti dopo da alcune urla e dal tonfo di un vetro infranto. Tali versioni, contrastanti in date ed in tempi diversi, hanno posto fortemente in dubbio l'effettivo verificarsi del fatto addotto a motivo dell'irruzione.
L'ora di arrivo delle forze dell'ordine di fronte all'edificio, diversa a seconda delle ricostruzioni effettuate da alcune delle difese degli appartenenti alle stesse rispetto ad altre testimonianze, è stata dibattuta durante i primi due gradi del processo; la Corte di Appello di Genova, concordando con le conclusioni del Tribunale di primo grado, ricostruì nelle motivazioni della sentenza di secondo grado, tramite il confronto dei filmati che mostrarono l'uso di cellulari con i tabulati delle telefonate e gli orari di arrivo degli agenti:
« Sulla base di tale elaborato il Tribunale ha ritenuto che l'arrivo delle forze di Polizia in Piazza Merani sia avvenuto alle ore 23.57.00 (orario desumibile anche dalla trasmissione in diretta di radio GAP, perché è in quel momento che il programma in corso viene bruscamente interrotto per dare notizia dell'arrivo della Polizia in assetto antisommossa), che l'ingresso dei reparti di Polizia operanti all'interno del cortile della scuola sia avvenuto alle 23.59.17 (visibile lo sfondamento del cancello del cortile mediante il mezzo del Reparto Mobile di Roma nel rep. 175), e che l'apertura del portone centrale in legno sia avvenuta alle ore 00.00.15 (visibile dai rep. filmati n. 175 e n. 239), meno di un minuto dopo l'ingresso nel cortile. »
All'operazione di polizia hanno preso parte un numero tutt'oggi imprecisato di agenti: la Corte di Appello di Genova, pur richiamando questo fatto nelle motivazioni della sentenza di secondo grado, basandosi sulle informazioni fornite durante il processo da Vincenzo Canterini, li stima in circa "346 Poliziotti, oltre a 149 Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici".
Un ulteriore lancio di sassi e altri oggetti verso le forze dell'ordine, una volta che queste si erano radunate fuori dall'edificio, definito "fittissimo lancio" nel verbale di arresto dei manifestanti e addotto a ulteriore motivo dell'irruzione nella scuola al fine di assicurare alla giustizia i presunti manifestanti violenti) è stato escluso nel corso del processo dall'analisi dei filmati disponibili da parte del RIS. L'agente che, dal verbale, risultava aver assistito al lancio di un maglio spaccapietre dalle finestre della scuola, sentito al processo si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre un altro dei firmatari dello stesso verbale riferirà di aver visto in realtà solo "due pietre di piccole dimensioni" cadute "nel cortile della scuola". La Corte d'appello, nella ricostruzione dei fatti contenuta nelle motivazioni della sentenza, ricostruisce così gli avvenimenti:
« In ogni caso le emergenze probatorie raccolte escludono che si sia trattato di condotta particolarmente significativa e pericolosa, e che abbia avuto le caratteristiche con le quali è stata descritta negli atti sopra menzionati. Basta rilevare che gran parte della scena dallo sfondamento del cancello, al successivo ingresso nel cortile fino all’apertura del portone è stata ripresa nel filmato in atti, e che lo stesso, pure oggetto di attenta consulenza da parte dei RIS di Parma, non consente di apprezzare la caduta e tanto meno il lancio di oggetti (per cui se caduta vi è stata si deve essere trattato di oggetti di dimensioni insignificanti), come del resto confermato dal fatto che a terra nulla di tal genere è stato poi ritrovato, e che gran parte degli operatori staziona nel cortile senza assumere alcun atteggiamento di difesa o riparo da oggetti provenienti dall’alto (tra questi lo stesso Canterini che non indossa il casco, comportamento che per la sua esperienza di comandante non può essere dettato da leggerezza). Solo nella fase immediatamente precedente l’ingresso nella scuola, dopo l’apertura del primo portone, alcuni operatori portano lo scudo sulla testa, ma la condotta è ambigua, perché nello stesso frangente si vedono altri operatori nelle vicinanze che non assumono alcun atteggiamento protettivo; inoltre è stata fornita una spiegazione di tale condotta [...] ravvisata in una specifica tecnica operativa di approccio agli edifici, che contempla tale manovra in via cautelativa sempre, anche in assenza di effettivo pericolo. »
L'arresto in massa senza mandato di cattura venne giustificato in base alla contestazione dell'unico reato della legislazione italiana, esclusa la flagranza, che lo prevede, ovvero il reato di detenzione di armi in ambiente chiuso; dopo la perquisizione le forze dell'ordine mostrarono ai giornalisti gli oggetti rinvenuti, tra cui coltellini multiuso, sbarre metalliche e attrezzi che si rivelarono provenire dal cantiere per la ristrutturazione della scuola, alcune barre di metallo appartenenti ai rinforzi degli zaini (e, come evidenzieranno i giudici del processo d'appello, appositamente estratte da questi per essere mostrate come prove della presenza di possibili armi) e 2 bombe molotov. Lo molotov si scopriranno essere state sequestrate il giorno stesso in tutt'altro luogo e portate all'interno dell'edificio dalle stesse forze dell'ordine per creare false prove: un video dell'emittente locale Primocanale, visionato ad un anno dei fatti, mostrò infatti il sacchetto con le molotov in mano ai funzionari di polizia al di fuori della scuola e la scoperta di questo video porterà alla confessione di un agente, il quale ammise di aver ricevuto l'ordine di portarle davanti alla scuola.
Nella stessa operazione venne perquisita, per errore, stando alle testimonianze dei funzionari durante i processi, anche l'adiacente scuola Pascoli, che ospitava l'infermeria, il media center ed il servizio legale del Genoa Social Forum, che lamentò la sparizione di alcuni dischi fissi dei computer e di supporti di memoria contenenti materiale sui cortei e sugli scontri, oltre alle testimonianze di molti manifestanti circa i fatti dei giorni precedenti, sia su supporto informatico che cartaceo. Alcuni dei computer che erano stati dati in comodato al Genoa Social Forum dal Comune e dalla Provincia ed alcuni computer portatili dei giornalisti e dei legali presenti vennero distrutti durante la perquisizione; poche ore prima dell'assalto, in un comunicato stampa diffuso dal Genoa Legal Forum, si annunciò che il giorno successivo sarebbe stata sporta denuncia contro le forze dell'ordine per quanto avvenuto in quei giorni, avvalendosi di questo materiale; la Federazione nazionale della stampa si costituì parte civile al processo contro questa irruzione.
Durante le indagini vennero rese note le difficoltà a risalire ai firmatari dei verbali di arresto e perquisizione, contenenti 15 firme il primo e 9 il secondo (quesi ultimi firmatari anche del primo). Alla fine del processo di secondo grado una firma del verbale di arresto risultava ancora non identificata; a tal proposito la corte di appello, nelle motivazioni della sentenza, afferma:
« La peculiarità dei verbali di perquisizione e sequestro, e di arresto oggetto del presente giudizio consiste innanzi tutto nella mancata indicazione nominativa dei verbalizzanti, posto che gli atti esordiscono con la frase “noi sottoscritti Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria effettivi a…” seguita dalla indicazione dei rispettivi corpi di appartenenza, ma senza specificazione delle generalità. Gli inquirenti hanno dovuto così investigare in base alle firme di sottoscrizione, spesso mere sigle, con il risultato che uno dei firmatari del verbale di arresto è rimasto ignoto (circostanza significativa secondo l’accusa pubblica della mancata collaborazione nelle indagini da parte della Polizia, pur delegata dalla Procura a investigare sui tragici fatti). »
Tutti gli arrestati della scuola Diaz e della scuola Pascoli vennero in seguito rilasciati, alcuni la sera stessa, altri nei giorni successivi, e con il tempo caddero tutte le accuse ai manifestanti; per quanto riguarda l'accoltellamento di un agente, fatto che venne contestato dalle perizie del RIS, secondo le quali i tagli sarebbero stati procurati appositamente, ma ritenuto invece veritiero dal consulente tecnico del tribunale. L'agente, come rimarcato sia dal procuratore generale sia dai giudici nel processo di secondo grado, cambiò versione sull'avvenimento diverse volte, al pari di un collega che inizialmente aveva sostenuto la sua tesi, e nei 7 anni di indagini non si trovò nessun altro agente che ammise di aver assistito direttamente alla scena. L'agente nel processo di primo grado venne comunque assolto, seppur con forma dubitativa, ritenendo veritiera l'ultima delle sue versioni, mentre nel processo di secondo grado la ricostruzione venne ritenuta falsa. Gli arrestati stranieri vennero espulsi dall'Italia dopo il rilascio. La corte di cassazione ha condannato i poliziotti responsabili dei pestaggi della scuola Diaz, ma grazie all'indulto non sconteranno alcun giorno di carcere, per loro vi è solo la sospensione dal servizio. I loro capi sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni.
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