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martedì 28 luglio 2020

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 28 luglio.
Il 28 luglio 1976 la Corte Costituzionale sancisce l'illegalità del Monopolio Rai, dando il via libera alle televisioni private di trasmettere via etere, anconchè su scala locale. Era l'inizio di una rivoluzione che avrebbe cambiato radicalmente la vita, non solo ricreativa, degli italiani.
C'era una volta la Rai. Bella, monolitica, democristiana, mamma Rai. L'istituzione.
L'etere un bene prezioso, rarefatto, e i costi di quella tecnologia novecentesca chiamata tele-visione ingentissimi: naturale pensare ad un monopolio pubblico. E poi c'era stata l'Eiar, e la propaganda, la rai-tv doveva rimanere in mani saldamente pubbliche. E governative.
Certo, i Costituenti presbiti avevano guardato avanti, 21 libertà d'espressione, 41 iniziativa economica; pure troppo avanti, e s'erano curati di ricordare che a fini di utilità generale la legge poteva riservare originariamente o trasferire alla sfera pubblica determinate categorie di imprese, che si riferissero a servizi pubblici essenziali o a situazioni di monopolio ed avessero carattere di preminente interesse generale.
Il codice postale, datato anni '30 ed in qualche modo adattato non senza eccessive semplificazioni ai nuovi mezzi di comunicazione, prevede che siano riservati allo Stato "i servizi di televisione circolare a mezzo di onde radioelettriche", con esclusione di ogni altro soggetto. Lo Stato poi aveva concesso in esclusiva alla Rai-Radiotelevisione italiana, fin dal 1952, l'esercizio dei "servizi di radiodiffusione e di televisione".
Già nel 1956 qualcosa pare muoversi: un gruppo vicino al giornale il Tempo lancia un'iniziativa editoriale per la realizzazione di un servizio di radiodiffusione televisiva, basato economicamente sui proventi della pubblicità, da attuare nel Lazio, in Campania ed in Toscana, con eventuale successiva estensione ad altre regioni. La richiesta di concessione di frequenze al ministero delle poste viene respinta. In Lombardia sono più intraprendenti: Tvl Televisione Libera, finanziata da una cordata imprenditoriale, decide di tentare la forzatura, ma il 24 ottobre del 1958 è la magistratura a sequestrare tutte le apparecchiature prima dell'inizio delle trasmissioni. E' la dimostrazione che l'ordinamento, se lo vuole, ha gli strumenti per bloccare radicalmente tali iniziative.
Intanto il Tempo-T.V. prosegue la sua battaglia, prima al Consiglio di Stato e poi addirittura alla Corte Costituzionale, ed arriviamo al 1960.
Con la sentenza del 13 luglio 1960 la Consulta, per bocca del giudice relatore Sandulli afferma che data la limitatezza di fatto dei canali utilizzabili, la televisione a mezzo di onde radioelettriche (radiotelevisione) si caratterizzava indubbiamente come una attività predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno all'oligopolio: oligopolio totale od oligopolio locale, a seconda che i servizi venissero realizzati su scala nazionale o su scala locale. E siccome poi i servizi radiotelevisivi, se non fossero stati riservati allo Stato o a un ente statale ad hoc, sarebbero caduti naturalmente nella disponibilità di uno o di pochi soggetti, prevedibilmente mossi da interessi particolari, non poteva considerarsi arbitrario neanche il riconoscimento della esistenza di ragioni "di utilità generale" idonee a giustificare, ai sensi dell'art. 43 Cost., l'avocazione, in esclusiva, dei servizi allo Stato, dato che questo, istituzionalmente, é in grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obiettività, di imparzialità, di completezza e di continuità in tutto il territorio nazionale.
Forse è proprio questa ultima affermazione che pecca un po' d'ingenuità, accompagnata dall'affermazione dell'esigenza di leggi destinate "ad assicurare adeguate garanzie di imparzialità nel vaglio delle istanze di ammissione all'utilizzazione del servizio non contrastanti con l'ordinamento, con le esigenze tecniche e con altri interessi degni di tutela (varietà e dignità dei programmi, ecc.)".
Sostanzialmente nel 1960 la Corte Costituzionale conferma il monopolio Rai, pur esortando lo Stato a garantire un ampio accesso all'utilizzazione del servizio, basandosi sulle caratteristiche tecniche della radiotelevisione, la quale poteva operare solo su ristrette frequenze.
Dopo un decennio che subisce la battuta d'arresto, è con gli anni '70 che esplode il fenomeno delle radio e delle tv libere.
Tra il '71 e il '72 nasce per iniziativa di Peppe Sacchi, ex regista della rai, TeleBiella, inzialmente via cavo, ritenuta la prima tv privata italiana.
E' da questo momento che il tema della tv privata comincia ad assumere i toni di un vero e proprio scontro: nel marzo del 1973 viene emanato il nuovo codice postale, il quale, riconducendo tutti i mezzi di comunicazione a distanza ad una categoria unica, sostanzialmente estendeva il monopolio pubblico a tutte le forme di trasmissione. Anche la tv via cavo privata diviene illegale. Il 1° giugno del '73 il provvedimento di chiusura: l'autorità taglia il cavo di trasmissione di TeleBiella mentre la tv tiene un'apposita diretta.
Nel frattempo si pone anche il problema delle tv estere confinanti: Telemontecarlo, Telecapodistria, la tv svizzera, ed i loro programmi a colori, arrivano in territorio italiano grazie a ripetitori nostrani; nel giugno del 1974 il ministro delle poste decreta lo smantellamento anche di tali ripetitori.
Nel frattempo i procedimenti penali contro i responsabili delle innumerevoli tv locali nate sulla scia di TeleBiella, promossi dai pretori un po' in tutt'Italia approdano nuovamente alla Corte Costituzionale. E' il 10 luglio 1974.
I giudici costituzionali confermano il loro orientamento: la televisione opera in un campo dalle frequenze limitate e dai costi enormi, pertanto a fronte del rischio di monopolio o oligopoli privati meglio conservare la riserva statale, ma ciò non è certo applicabile ai sistemi televisivi via cavo a dimensione locale, che di conseguenza devono ritenersi pienamente leciti.
Similmente si risolve la questione di ripetitori delle tv estere: "la riserva allo Stato, in quanto trova il suo presupposto nel numero limitato delle bande di trasmissione assegnate all'Italia, non può abbracciare anche attività, come quelle inerenti ai c.d. ripetitori di stazioni trasmittenti estere, che non operano sulle bande anzidette. E' evidente che in questo particolare settore, senza apprezzabili ragioni, l'esclusiva statale sbarra la via alla libera circolazione delle idee, compromette un bene essenziale della vita democratica, finisce col realizzare una specie di autarchia nazionale delle fonti di informazione". Il mese successivo TeleMontecarlo trasmette in lingua italiana.
La legge 103/1975, di riforma della Rai, sancì tali acquisizioni, ma il fronte del monopolio si andava incrinando con altri interventi giurisprudenziali via via sempre più derogatori.
Sdoganato il cavo rimaneva ancora il tabù dell'etere.
TeleBiella riprese le trasmissioni via cavo, ma creò anche RadioBiella trasmettendo via etere; similmente presero la via dell'etere altre tv e radio locali a Ragusa, Livorno, Reggio Emilia, Castelfranco Veneto, Lecco, Novara, Castelfranco di Sotto, Ancona. Raffica di denunce.
I pretori che trovarono ad occuparsi di tali casi passarono la questione per l'ennesima volta alla Corte Costituzionale, che il 28 luglio 1976 ribadì con le consuete motivazioni la riserva statale ma ritenne perfettamente legittimi "l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale".
A questa sentenza non segue alcuna legge che disciplini la comunicazione in etere sino al 1990 (la nota legge Mammì). Si conia l'espressione far west dell'etere.
Nel novembre 1977 inizia a trasmettere anche Antenna3 Lombardia, alla cui attività parteciperà significativamente anche il presentatore Rai Enzo Tortora, sancendo la consacrazione della tv privata e prefigurando la possibilità di una futura concorrenza tra emittenza pubblica e privata.
L'affare si fa interessante, intervengono i gruppi editoriali: Mondadori, Rusconi, nel 1978 il costruttore Silvio Berlusconi vara Tele Milano 58 (ma già a Milano2 trasmetteva via cavo).
Nel 1979 nasce l'idea per superare il limite della trasmissione locale: il network delle reti Elefante trasmette su varie emittenti i programmi inviati da un'emittente centrale; il sistema viene perfezionato l'anno successivo quando Telemilano 58, TeleEmiliaRomagna, TeleTorino, VideoVeneto e A&G Television iniziano a trasmettere in contemporenea (con leggero sfasamento) lo stesso programma recando in sovraimpressione la scritta Canale5.
Sempre nel 1980 Rizzoli prova a lanciare Contatto, che dovrebbe divenire il primo telegiornale "privato", diretto da Maurizio Costanzo, sempre utilizzando la tecnica delle trasmissioni contemporanee su di un circuito di emittenti. La Rai questa volta agisce in prima persona e chiede al Pretore di Roma un provvedimento d'urgenza per impedire l'inizio delle trasmissioni: il Pretore concede l'inibitoria ma successivamente, su istanza della difesa Rizzoli, invia gli atti alla Corte Costituzionale perché si esprima in merito alla vicenda; la Corte il 21 luglio 1981 conferma nuovamente la propria posizione ribadendo il divieto di trasmettere su scala nazionale, ancorché con l'escamotage.
Nonostante ciò Canale5 prosegue sulla sua strada.
Nel gennaio del 1982 altri due network iniziano similmente a trasmettere: si tratta di Italia1 (Rusconi), e di Rete4 (Mondadori), a quest'ultima approda anche Tortora, conducendo la trasmissione Cipria. Nello stesso anno Italia1 passa a Berlusconi, due anni dopo la stessa cosa avviene con Rete4.
Intanto i pretori aprono sistematicamente procedimenti contro Canale5 e Rete4 contestando l'illegittimità delle trasmissioni su scala nazionale, anche se non mancano voci discordanti, come il Pretore di Firenze, che ritiene la trasmissione contemporanea di per sé legittima.
Ma la svolta avviene il 16 ottobre 1984: i pretori di Roma, Torino e Pescara, su denuncia di gestori di emittenti di ambito locale, dispongono l'oscuramento delle reti del gruppo Berlusconi, sequestrando al contempo le cassette dei programmi registrati.
Alla presidenza del consiglio siede da un anno Bettino Craxi, il quale, nell'arco di soli 4 giorni emana un decreto legge ad hoc (d.l. 694/1984) per consentire la "prosecuzione dell'attività delle singole emittenti radiotelevisive private", disponendo espressamente che "è consentita la trasmissione ad opera di più emittenti dello stesso programma pre-registrato, indipendentemente dagli orari prescelti".
L'operazione, spregiudicata, non passa esente da critiche e finisce silurata il 28 novembre 1984, quando, sottoposto a pregiudiziale di costituzionalità (cioè alla valutazione preliminare se vi fossero le condizioni di necessità ed urgenza richieste dalla Costituzione per emanarlo) il decreto viene bocciato dalla Camera dei Deputati con 256 voti contro 236.
Un Craxi furente fa approvare in pochissimi giorni (5 dicembre) un nuovo decreto-legge, che viene pubblicato il giorno successivo (d.l. 807/1984). Il decreto contiene un articolo denominato "norme transitorie" che ripropone esattamente il contenuto del provvedimento decaduto, ma aggiunge anche una disciplina sulla struttura aziendale Rai (nomina e composizione degli organi di vertice).
Questa volta Craxi minaccia la crisi di governo e impone il voto di fiducia: le pregiudiziali di costituzionalità sono respinte alla Camera (12 dicembre 1984) ed al Senato (4 febbraio 1985). La legge di conversione (l. 10/1985) mette in salvo le reti Fininvest (e con l'introduzione del comma 3-bis all'art. 4 consente di chiudere anche le pendenze penali pregresse per la violazione del codice postale).
Sotto l'auspicio del ministro delle poste Gava comincia l'attesa per la definitiva disciplina del sistema radiotelevisivo, che si concluderà nel 1990 con la legge c.d. Mammì: la transizione dal monopolio al duopolio è così compiuta, non senza la mano amica del legislatore. E nonostante le ripetute pronunce di principio della Corte Costituzionale.
Un copione a cui nel quindicennio successivo dovremo assistere più volte.

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