Buongiorno, oggi è il 25 settembre.
Il 25 settembre 1996 viene chiusa l'ultima delle "Case Magdalene" d'Irlanda.
Donne perdute, donne immorali, donne che erano vittime del peccato e la cui unica strada per la redenzione poteva essere la detenzione in istituti gestiti da suore in cui avrebbero potuto mondare e purificare le proprie colpe tramite l’attività -quale triste metafora- di lavandaie: queste erano le “ospiti”, certamente non per propria volontà, delle Case Magdalene in Irlanda. Sorte nelle isole britanniche con lo scopo di riabilitare ad un lavoro delle ex prostitute durante il XIX secolo, tali case avevano il fine, in un primo momento, di fungere principalmente come ricoveri temporanei nei quali alle donne che non avevano più intenzione di vivere per strada, venisse offerta l’opportunità di imparare un mestiere e di essere aiutate a trovare un impiego che, senza una tutela del genere, certamente sarebbe stato loro negato.
Ma non ci volle molto perché gli istituti smarrissero la strada dei loro nobili intenti, finendo per diventare per lo più dei luoghi in cui finirono la propria vita donne che, semplicemente, non risultavano accettabili dalla rigida società irlandese: si poteva finire da giovani nelle lavanderie, perché troppo brutte o perché troppo belle e con troppi corteggiatori; ragazze madri erano candidate naturali alla case, così come chiunque avesse consumato un amore “peccaminoso”, magari un fanciullesco legame prematrimoniale; naturalmente, anche le vittime di stupro non potevano essere escluse da questa categoria. Tutte peccatrici, tutte meritevoli di essere isolate da una società onesta e lavoratrice: tutto questo, in Irlanda, non accadeva secoli fa, giacché l’ultima Casa Magdalene è stata chiusa nel 1996.
Maggies, diminutivo di Maddalena, appunto, il nome con cui venivano chiamate le donne segregate alle quali, molto spesso, era vietato di avere contatti con il mondo o a cui veniva impedito di vedere i propri figli e che avevano un solo compito: lavare, per 15 ore al giorno, con soda e sale. Un affare, per lo più, assai remunerativo per le Suore che ricevevano compensi non solo da privati, ma anche dallo stesso Stato Irlandese che lì faceva lavare lenzuola ed abiti di esercito ed ospedali, e che ricompensavano le loro “donne perdute” con un vitto scarso. Le maggies scontavano non solo la propria diversità ma anche, più semplicemente, la realtà di vivere in una società preda del fanatismo religioso in cui tutti sapevano e tacevano ed in cui erano gli stessi genitori a provocare la distruzione delle proprie figlie: la scontavano non solo con la reclusione ma, molto spesso, subendo torture fisiche e psicologiche e degli abusi sessuali. Perché, ultime di fronte a Dio, degradate dal peccato, dovevano meritare la loro giusta punizione, secondo quanto una sorda società voleva far passare per normalità.
Il 25 settembre 1996 viene chiusa l'ultima delle "Case Magdalene" d'Irlanda.
Donne perdute, donne immorali, donne che erano vittime del peccato e la cui unica strada per la redenzione poteva essere la detenzione in istituti gestiti da suore in cui avrebbero potuto mondare e purificare le proprie colpe tramite l’attività -quale triste metafora- di lavandaie: queste erano le “ospiti”, certamente non per propria volontà, delle Case Magdalene in Irlanda. Sorte nelle isole britanniche con lo scopo di riabilitare ad un lavoro delle ex prostitute durante il XIX secolo, tali case avevano il fine, in un primo momento, di fungere principalmente come ricoveri temporanei nei quali alle donne che non avevano più intenzione di vivere per strada, venisse offerta l’opportunità di imparare un mestiere e di essere aiutate a trovare un impiego che, senza una tutela del genere, certamente sarebbe stato loro negato.
Ma non ci volle molto perché gli istituti smarrissero la strada dei loro nobili intenti, finendo per diventare per lo più dei luoghi in cui finirono la propria vita donne che, semplicemente, non risultavano accettabili dalla rigida società irlandese: si poteva finire da giovani nelle lavanderie, perché troppo brutte o perché troppo belle e con troppi corteggiatori; ragazze madri erano candidate naturali alla case, così come chiunque avesse consumato un amore “peccaminoso”, magari un fanciullesco legame prematrimoniale; naturalmente, anche le vittime di stupro non potevano essere escluse da questa categoria. Tutte peccatrici, tutte meritevoli di essere isolate da una società onesta e lavoratrice: tutto questo, in Irlanda, non accadeva secoli fa, giacché l’ultima Casa Magdalene è stata chiusa nel 1996.
Maggies, diminutivo di Maddalena, appunto, il nome con cui venivano chiamate le donne segregate alle quali, molto spesso, era vietato di avere contatti con il mondo o a cui veniva impedito di vedere i propri figli e che avevano un solo compito: lavare, per 15 ore al giorno, con soda e sale. Un affare, per lo più, assai remunerativo per le Suore che ricevevano compensi non solo da privati, ma anche dallo stesso Stato Irlandese che lì faceva lavare lenzuola ed abiti di esercito ed ospedali, e che ricompensavano le loro “donne perdute” con un vitto scarso. Le maggies scontavano non solo la propria diversità ma anche, più semplicemente, la realtà di vivere in una società preda del fanatismo religioso in cui tutti sapevano e tacevano ed in cui erano gli stessi genitori a provocare la distruzione delle proprie figlie: la scontavano non solo con la reclusione ma, molto spesso, subendo torture fisiche e psicologiche e degli abusi sessuali. Perché, ultime di fronte a Dio, degradate dal peccato, dovevano meritare la loro giusta punizione, secondo quanto una sorda società voleva far passare per normalità.
E purtroppo così è stato fino alla metà degli anni ’90, fatto che dovrebbe far rabbrividire, pensando che ci troviamo in Europa e che sono passati meno di 30 anni dalla chiusura dell’ultima lavanderia: dopo alcuni casi che furono scoperti nel 1993, si sono susseguite le denunce ad opera di scrittori e musicisti, fino ad arrivare al film del 2002 di Peter Mullan, premiato a Venezia col Leone d’Oro e condannato senza riserve dal Vaticano. E ciononostante, le ingiustizie ed i soprusi subiti dalle maggies sono ancora impuniti, oltre che, talvolta, neanche mai denunciati per paura, per debolezza, perché abbandonate dalle proprie famiglie, le donne sapevano ormai vivere solo lì, in una realtà distorta dalla violenza e dalla sopraffazione ma, pur sempre, l’unica che era stata data loro come possibilità.
Il Comitato contro le torture dell’ONU ha chiesto esplicitamente all’Irlanda di aprire un’inchiesta su quello che è accaduto per decenni nelle lavanderie, sulle 30 000 donne che, silenziosamente, sono entrate negli istituti per essere “corrette” tra il 1922 ed il 1996 e che, talvolta, sono morte senza un nome: finalmente lo Stato ha deciso di istituire un comitato guidato da una persona esterna che chiarisca i rapporti intercorsi tra questo e le lavanderie.
Il pronunciamento ONU è stato una vera e propria svolta che obbligherà, si spera, l’Irlanda, le istituzioni e gli ordini religiosi a ripensare se stessi, in merito a questi campi che sono stati tenuti nel loro territorio nella più totale indifferenza e silenzio: già gli ordini religiosi hanno annunciato che collaboreranno, mutando drasticamente l’atteggiamento che, fino a pochi giorni fa, vedeva le Suore negare ogni responsabilità in merito, nonostante le denunce di tante ex maggies. Forse questa volta, quelle denunce non saranno cadute nel vuoto: forse un giorno, anche per queste donne perdute, arriveranno delle scuse.
Il Comitato contro le torture dell’ONU ha chiesto esplicitamente all’Irlanda di aprire un’inchiesta su quello che è accaduto per decenni nelle lavanderie, sulle 30 000 donne che, silenziosamente, sono entrate negli istituti per essere “corrette” tra il 1922 ed il 1996 e che, talvolta, sono morte senza un nome: finalmente lo Stato ha deciso di istituire un comitato guidato da una persona esterna che chiarisca i rapporti intercorsi tra questo e le lavanderie.
Il pronunciamento ONU è stato una vera e propria svolta che obbligherà, si spera, l’Irlanda, le istituzioni e gli ordini religiosi a ripensare se stessi, in merito a questi campi che sono stati tenuti nel loro territorio nella più totale indifferenza e silenzio: già gli ordini religiosi hanno annunciato che collaboreranno, mutando drasticamente l’atteggiamento che, fino a pochi giorni fa, vedeva le Suore negare ogni responsabilità in merito, nonostante le denunce di tante ex maggies. Forse questa volta, quelle denunce non saranno cadute nel vuoto: forse un giorno, anche per queste donne perdute, arriveranno delle scuse.
Nessun commento:
Posta un commento