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L'11 giugno 1289 si combatte in Toscana la battaglia di Campaldino.
La battaglia di Campaldino che si combatté in Casentino sabato 11 giugno 1289, giorno di san Barnaba, tra l’esercito guelfo di Firenze e le milizie aretine appoggiate dalla feudalità ghibellina della Toscana centro meridionale, è una delle pochissime battaglie di grosse dimensioni combattute in tutto il medioevo nell’Italia centrale. Proprio per la sua eccezionalità, il fatto d’armi di Campaldino risulta perciò prezioso per comprendere lo strumento e l’organizzazione militare di una grande città, quale Firenze, al culmine della fase comunale. Dopo la sconfitta subita ad opera dell’esercito ghibellino senese nella battaglia di Montaperti, Firenze fu governata dai ghibellini rientrati in città dopo la battaglia. Farinata degli Uberti, che aveva combattuto a fianco dei senesi a Montaperti, divenne la figura politica di spicco del partito ghibellino e opponendosi alla distruzione della città (ipotesi che era stata proposta dalle altre città ghibelline toscane) nell’inferno dantesco si meritò un vero e proprio monumento in versi. La vittoria ghibellina sembrò per un certo periodo far rifiorire le sorti degli Svevi in Italia ma con la sconfitta di Tagliacozzo, subita da Corradino di Svevia, fu la parte guelfa a riprendere il sopravvento. Questo accadde anche a Firenze dove, con la cacciata delle famiglie ghibelline, il partito guelfo riprese il potere. Le antiche famiglie nobili quali i Pazzi, i Guidi, i Gangalandi, i Fifanti e gli Abati, trovarono il loro naturale punto di riferimento in Arezzo, dove dopo molte oscillazioni il vescovo Guglielmino degli Ubertini si era definitivamente avvicinato alla parte ghibellina. Dopo varie devastazioni delle due parti nei territori nemici, fu deciso che la guerra tra le due città era inevitabile. Mobilitate le milizie sotto il comando nominale del cavaliere provenzale Amerigo di Narbona e del suo balio (tutore militare) Guglielmo di Durfort, che il re Carlo II d’Angiò aveva lasciato a Firenze da cui era passato il 2 maggio, l’oste Guelfa si radunò davanti alla pieve di Ripoli, appena a sud di Firenze, per marciare contro Arezzo. L’esercito fiorentino si mise in marcia e dopo la difficile scalata del passo della Consuma, il 10 giugno si accampò attorno al borgo di Poppi. Nel frattempo Guglielmino degli Ubertini con l’oste aretina e i fuoriusciti ghibellini di mezza Toscana, era uscito da Arezzo e aveva messo il campo fuori di Bibbiena a poche miglia dal nemico. La mattina dell’11 giugno 1289 gli eserciti avversari si schierarono l’uno di fronte all’altro nella piana di Campaldino, nei pressi del borgo di Certomondo. Lo schieramento delle due armate era abbastanza simile: al centro la cavalleria con i feditori (l’avanguardia) in posizione più avanzata, sui fianchi dei feditori due reparti di balestrieri e i palvesari, col grande scudo rettangolare da piantare a terra per difendere i tiratori, dietro la cavalleria e il grosso della fanteria.
I fiorentini avevano rinforzato i corni di fanteria che sostenevano i feditori (tra i quali impugnava lancia e scudo il giovane Dante Alighieri) quasi a voler convogliare la carica della cavalleria aretina, assai temuta, verso il centro dello schieramento. Entrambi gli eserciti avevano lasciato una riserva: i fiorentini, agli ordini di Corso Donati, sulla propria sinistra, gli aretini, comandati dal podestà Guido Novello dei conti Guidi, sulla propria destra. La battaglia iniziò con la carica dei feditori ghibellini, i quali da subito riuscirono a scompaginare e a travolgere l’avanguardia dei cavalieri guelfi e si lanciarono assieme al grosso della cavalleria ghibellina, cui cercò di tenere dietro la fanteria, contro il centro dello schieramento nemico. La cavalleria e la fanteria fiorentina riuscirono a far fronte, serrando dietro il muro di scudi, mentre il corno dei balestrieri e palvesari guelfi cercavano di stringere sui fianchi il nemico. A questo punto Corso Donati lanciò all’attacco i cavalieri delle sue riserve, i quali infilandosi tra le due schiere avversarie, si trovarono di fronte la fanteria aretina che non era riuscita a tenere il passo dei propri cavalli. Scompaginati dalla corsa i fanti ghibellini non poterono reggere all’urto e i cavalieri di Arezzo ancora impegnati dal grosso della milizia guelfa, si trovarono accerchiati. Un intervento della riserva ghibellina avrebbe forse ancora potuto cambiare la sorte della battaglia, ma Guido Novello, non intervenne, anzi fece ritirare i suoi uomini senza farli entrare in battaglia. Circondati, i cavalieri aretini e quanto rimaneva della fanteria, si misero presto in fuga, seguiti dai guelfi trionfanti. Nel corso della battaglia l’esercito ghibellino aveva perso almeno 4.000 uomini, mentre l’oste fiorentina non aveva subito più di 1.000 perdite; tra i caduti c’erano anche il vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini e il suo generale Buonconte da Montefeltro il cui corpo non fu mai ritrovato, ma Dante ci racconta un episodio bellissimo di questa vicenda nel V canto del Purgatorio, nel quale Buonconte racconterà come andarono i fatti in quel giorno, l’11 giugno del 1289 nella battaglia di Campaldino.
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