La pratica è un lento morire, passo dopo passo,
disidentificandoci gradualmente da tutto ciò a cui siamo aggrappati. Se
manteniamo ancora una piccola presa, non siamo morti. Tutti siamo identificati
con la nostra famiglia, ma disidentificandoci da essa non significa cessare di amarla. Opuure,
considerate vostro marito, vostra moglie, il
vostro compagno e il bisogno reciproco che si instaura. Più pratichiamo,
più il bisogno si smussa. Il bisogno decresce e aumenta l’amore. E’ difficile
amare se c’è bisogno. Se abbiamo bisogno di ricevere approvazione, non siamo morti.
Se sentiamo il bisogno di potere o di una posizione sociale, se non siamo
contenti si un lavoro umile, non siamo morti. Se abbiamo bisogno di apparire in
un certo modo, non siamo morti. Io non sono ancora morta in tutti questi modi,
sono solo consapevole dei miei attaccamenti e non agisco spesso in base ad
essi. La morte significa la scomparsa degli attaccamenti, e in questo senso un
vero illuminato non è più umano. Non conosco nessuno così. Ho conosciuto molte
persone notevoli, ma nessuna così. A noi basta essere dove siamo e lavorare
sodo. Essere dove siamo è perfetto.
(Charlotte Joko Beck, “Zen quotidiano. Amore e lavoro”,
prefazione di Corrado Pensa, Roma, Ubaldini Editore, 1991, p. 39)
(Immagine:
illustrazione dall’antica “Parabola del bue” o “Caccia al toro” http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/zen/parabolabue.htm)
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