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venerdì 10 marzo 2023

#Almanaccoquotidiano, a cura di #MarioBattacchi

Buongiorno, oggi è il 10 marzo.
Il 10 marzo 1964 Paul Simon e Art Garfunkel registrano "Sound of silence".
All'inizio è solo una bella amicizia: due ragazzini dalla faccia pulita, appartenenti alla buona borghesia ebraica di Forest Hills, Queens, quartiere periferico di New York. Paul Simon e Art Garfunkel abitano a tre isolati di distanza l'uno dall'altro e si conoscono dai tempi della scuola media, da quando hanno dodici anni.
Esteticamente e caratterialmente agli antipodi: di piccola statura e scimmiesca avvenenza il primo; alto, biondo e angelico il secondo. Tanto polemico, graffiante e perfezionista Simon, quanto gentile, fragile e poco incisivo Garfunkel. Fin dalle prime recite teatrali scolastiche i due si mostrano interessati alle luci della ribalta, sembrano a loro agio con pubblico e applausi. In particolare Paul (nato il 13 ottobre 1941), che ha ereditato dal padre, bassista e sessionman di un'orchestra televisiva, l'amore per la chitarra e per la musica. Dalla sua Arthur (nato il 5 novembre 1941) ha una presenza scenica che rimedia ai suoi difetti artistici (non scrive testi né compone le musiche) e che gli aprirà le porte del cinema.
I ragazzi crescono nell'America del dopoguerra, delle radio e del boom economico. Si appassionano al rock'n'roll di Elvis Presley e al soul/rhytm n'blues dei neri. Con una particolare predilezione per il cristallino pop e le armonie vocali degli Everly Brothers, autentici idoli guardati con rispetto e desiderio d'emulazione. Nelle loro camerette Paul e Artie non fanno altro che provare e riprovare: una strofa, un ritornello, un inchino e un sorriso per la stampa. Aiutati dalle famiglie (le madri sono buone amiche) che li supportano, i due non cessano di credere in un'occasione di celebrità nello show business. Nel 1957 registrano per quindici dollari un provino di "Hey Schoolgirl", tra le primissime canzoni, e la fanno arrivare sulla scrivania di Sid Prosen, discografico dell'etichetta Big Record. Deliziato dalle voci e dalle possibilità artistiche dei due, nonché dal denaro che potrebbe fare lanciando Paul e Artie sul mercato dei teen idol, Prosen decide di scritturarli. Con i nomi d'arte Tom Graph (dalla mania di Garfunkel per il disegno di grafici e classifiche) e Jerry Landis (cognome di una fidanzata di Simon) stampati in copertina, "Hey Schoolgirl" fa il suo esordio in classifica salendo fino al n. 49.
Il primo momento di gloria arriva nel novembre di quell'anno, con l'apparizione dei due in televisione, ospiti dell'"American Bandstand" di Dick Clark, una delle più popolari trasmissioni d'America. Quell'esperienza (cantano subito dopo Jerry Lee Lewis!) vale a Tom & Jerry più del tocco di Re Mida: 150.000 copie vendute del primo singolo, un risultato più che lusinghiero.
Da quel giorno e fino al 1961, la coppia sforna altri otto singoli per varie etichette, che però falliscono tutti l'appuntamento con le zone calde delle hit parade. Il business discografico in quel momento è saturo di cantanti pop dai modi gentili ed educati (Paul Anka, Frankie Avalon, Pat Boone, Fabian, Ricky Nelson), arrivati alla celebrità dopo lo spegnersi del fuoco rock n'roll. Forse Paul e Artie hanno commesso un errore di valutazione, forse hanno peccato di superbia. Fatto sta che nel 1959, finito il liceo, la coppia si separa: Garfunkel va a studiare architettura alla Columbia, mentre Paul alterna gli studi di letteratura inglese al Queens College con l'attività di cantautore in piccoli locali del Greenwich Village per guadagnarsi da vivere e sbarcare il lunario.
Dopo la laurea (1963) e alcuni interessanti viaggi in Francia, Caraibi, Sud Africa e Brasile (decisivi per la futura passione in materia world-music), Paul ritrova anche il vecchio amico Art, che ha nel frattempo inciso due 45 giri con falso nome. Dopo averlo coinvolto in alcuni dei suoi lavori di sessionman (con nuovi pseudonimi: Paul Kane, True Taylor, Tico & The Triumphs), Simon introduce l'amico ad alcune sue composizioni originali nello stile del folk acustico. L'idea è di abbandonare il mondo dei teen idol per qualcosa di nuovo.
Dall'altra parte dell'Atlantico impazza il beat di Rolling Stones, Beatles e Who; in patria il nome di culto è Bob Dylan, un talento con cui Simon spesso si troverà a competere. In realtà, lo stile di Paul è più intellettuale e meno istintivo di quello del collega di Duluth. Simon è uno studioso della musica, un rifinitore sonoro puntiglioso e puntuale, dotato di una verve romantica e "colta" estranea a sua Bobbità.
"Sparrow", "Bleecker Street" e "He Was My Brother": questi sono i titoli di quelle prime canzoni proposte al pubblico dal duo (che finalmente si presenta come "Simon & Garfunkel") nelle coffee house del Village intorno all'autunno 1963. Il piccolo seguito di culto newyorkese e il ritrovato sodalizio artistico con l'amico bastano a Simon per decidere di abbandonare gli studi di legge alla Brooklyn Law School e investire tutto sulla musica. Colpito dalle potenzialità della coppia, Tom Wilson della Columbia (produttore di Dylan) decide di mettere sotto contratto Simon & Garfunkel e far loro incidere il primo album. Una scommessa da non deludere.
Wednesday Morning, 3 AM è il fatidico esordio dei ragazzi, un disco scarno e acustico, sorprendente per l'eclettismo di due ventiduenni. La prima grande occasione per ascoltare le meravigliose armonie vocali, le atmosfere soffici e semplici come nuvole estive. C'è la novità e c'è la tradizione: dodici canzoni in poco più di quaranta minuti. Un primo abbozzo di personalità, tra cover pop ("You Can Tell The World", con gli Everly Bros. nel cuore) ed esoterismo (il canto liturgico cattolico "Benedictus"), country/folk ("Last Night I Had The Strangest Dream" di Ed Mc Curdy), traditional ("Peggy-o" e "Go Tell the Mountain") e tributi dylaniani appassionati ("Times They're A Changin"). Tra i cinque episodi originali spicca senz'altro la versione embrionale del futuro classico "The Sound Of Silence", registrato per sole voci e chitarra acustica. Nonostante sia stata ascoltata e cantata miliardi di volte, questa prima lettura ha il potere di impressionare e far rabbrividire ancora oggi, grazie alla sua arcana, oscura ed enigmatica bellezza. Paul Simon tocca uno dei suoi vertici espressivi: intarsia metafore e letteratura sul tema dell'incomunicabilità umana, racconta sogni e incubi con una lucidità poetica autentica e inarrivabile, riuscendo nel tentativo ultimo di fornire un suono al silenzio. Gli altri suoi brani, che però neppure azzardano il confronto, servono tuttavia da cartina tornasole rispetto allo stile del cantautore: favole e letteratura inglese ("Sparrow"), immagini sospese ("Bleecker Street"), ballate folk ispirate a Dylan ("He Was My Brother").
Interessante costatare quanto un album come questo abbia avuto, decenni più tardi, un peso determinante sui paladini del New Acoustic Movement: Kings Of Convenience, Turin Brakes ecc. ecc.
Terminate le session di registrazione (tre giorni nel marzo '64) Paul decide di cambiare aria e trasferirsi temporaneamente in Inghilterra, attratto dalle luci della "Swingin' London" e dalla possibilità di farsi conoscere nei locali folk d'oltreoceano. Nella terra d'Albione trova l'amore di una ragazza (la mitica Kathy Chitty, immortalata in classici come "America" e "Kathy's Song"), ha modo di viaggiare attraverso il paese e affinare la sua tecnica alla chitarra folk. Si esibisce nei locali per poche sterline, scrive nuovi brani nelle stazioni ferroviarie ("Homeward Bound"). Quando esce in Inghilterra la sua "He Was My Brother", grazie anche all'aiuto dell'amica talent scout Judith Piepe che lo ospita, qualcosa inizia a smuoversi.
Dopo un ritorno blitz negli States (giusto per verificare l'esito fallimentare delle vendite del primo album, uscito in ottobre), Paul torna in Inghilterra all'inizio del 1965. Registra quattro canzoni per il programma "Sunday Club" della Bbc, preludio a un intero album solista: nove pezzi acustici inediti (riaffioreranno poi nei dischi successivi del duo), registrati agli studi londinesi della Cbs in poco più di un'ora. Il lavoro svolto andrà a formare il misconosciuto Paul Simon Songbook, edito di lì a poco, sfortunato e subito fuori catalogo.
Nell'autunno di quell'anno, mentre un ignaro Simon continua a esibirsi nei locali folk britannici, cantare in Tv (al celebre "Ready, Steady, Go!) e conoscere futuri talenti (Al Stewart e Sandy Denny, tra gli altri), accade qualcosa di magico e inaspettato.
Il produttore discografico Tom Wilson ha una grande idea: recuperare uno dei pezzi forti dell'album precedente di S &G, "The Sound Of Silence", e regalargli una nuova verniciatura elettrica, secondo la recente moda di Dylan e del folk-rock, in quel periodo l'ultimo trend da classifica giovanile. Chiama così in studio i sessionmen Bobby Gregg (batteria), Bib Bushnell (basso) e Al Gorgoni (chitarra elettrica) e fa loro sovraincidere le rispettive parti sull'originale.
Il risultato è convincente: la Columbia decide all'insaputa totale degli autori di far uscire il pezzo a 45 giri. In brevissimo tempo la canzone vola al primo posto delle classifiche, vende un milione di copie e costringe uno spiazzato Paul Simon al precipitoso ritorno in patria. Il successivo scalino è la registrazione di un altro album, e stavolta tutti gli occhi sono puntati sulla dorata coppia del folk.
Sounds Of Silence si apre proprio con quel magnifico trattamento elettrico riservato alla title-track, divenuta in questa veste un brano simbolo dell'epoca, sorta di cartolina sonora degli anni 60, accanto ad altre istantanee pop di maestri come Beatles, Rolling Stones e Bob Dylan. Prodotto da un'altra vecchia conoscenza dylaniana, Bob Johnston (dietro alla consolle per il mitico "Highway 61 Revisited"), l'album può accostarsi ai grandi successi folk rock del periodo, in perfetto allineamento coi vari Mamas & Papas, Lovin' Spoonful, Buffalo Springfield e Byrds. Chitarre elettriche, tastiere e sezione ritmica danno nuova forma e sostanza a brani già memorabili: "Richard Cory" (ispirata da un poema ottocentesco di Edwin Robinson), "Blessed", "I Am a Rock" e "Somewhere They Can't Find Me" risplendono di un'inedita luce, convincono e fanno ubriacare di "good vibrations" il nascente pubblico degli hippie. Pochi, ma sublimi i momenti acustici: basta ascoltare la soffice e autobiografica "Kathy's Song" o l'altrettanto impalpabile "April Come She Will" per convincersi del felicissimo momento creativo vissuto allora (e per molti anni a seguire!) da Paul Simon. L'unica cover è "Anji", litania orientaleggiante firmata dal geniale chitarrista inglese Davey Graham (ascoltato durante il viaggio in Inghilterra).
Ispirato tanto nei testi quanto nella musica, l'album fa la sua comparsa nei negozi a metà gennaio '66, salendo in un mese fino al n. 21 delle chart statunitensi e rimanendovi per ben 143 settimane. Il successo fulmineo dell'album e del singolo "Sound Of Silence" porta agli onori della classifica persino il riscoperto primo album, trascinandolo in alto fino al numero 30.
Il grande passo è ormai compiuto: Simon & Garfunkel con il loro folk dalle buone maniere non sono più fenomeno locale. Amatissimi dal pubblico studentesco dei college e dei circoli letterari, i due preferiscono tuttavia non prendere parte attiva alla frenetica vita politica che assorbe l'America in quegli anni: l'assassinio di Kennedy (che pure ispirò la stesura di "Sound Of Silence"), la guerra bruciante nel Vietnam e quella fredda con la Russia, Martin Luther King e Malcolm X, il dramma del razzismo e le lotte per i diritti civili. L'aria rivoluzionaria di cambiamento che alimenta i cuori dei giovani è certamente condivisa dalla coppia, che però preferisce prendere le distanze quando tutto ciò che significa appoggio politico a un candidato, impegno nella guida di movimenti, proclami o manifesti. Come Dylan e a differenza di Joan Baez, Paul e Artie desiderano concentrarsi sul lavoro di songwriter: lambire i confini della controcultura senza mai esporsi oltre un certo limite, senza scottarsi.
Con questo mood "cerchiobottista" (espresso alla perfezione da John Lennon, un paio d'anni dopo, tra le righe di "Revolution") attraversano gli anni Sessanta da padroni quasi incontrastati.
Prima che il '66 finisca, la coppia è tornata in azione: durante l'estate si sono accumulate tante idee, prontamente impresse su nastro. Il progetto stavolta è ancora più ambizioso: liberarsi dalle pressioni della casa discografica in materia di produttore (la presenza di Johnston stavolta è puramente esornativa) e decidere in prima persona sulle soluzioni da adottare. La Columbia, galvanizzata dai successi, non ha problemi a concedere il pieno controllo artistico sull'opera in cantiere. Parsley, Sage, Rosemary & Thyme, con le sue canzoni dai titoli impegnativi, è un altro tassello imperdibile, ascoltato, consumato e addirittura vissuto come pochi altri bestseller: "Revolver" dei Beatles; "Pet Sounds" dei Beach Boys; "Blonde On Blonde" di Bob Dylan. La formula morbida e garbata del duo non sembra cambiare di molto. Tornano semmai oniriche ambientazioni acustiche ispirate al patrimonio popolare ("Scarborough Fair"), dolcissime dichiarazioni d'innocenza ("Cloudy", "Dangling Conversation") e amare invettive (l'accostamento nell'ultimo brano del traditional "Silent Night" con un drammatico bollettino radiofonico).
C'è spazio per il successo di sicuro impatto ("59th Bridge Song" e "Homeward Bound", ancora dall'esperienza inglese) come per la sperimentazione testuale di stampo surrealista ("A Simple Desultory Philippic"); il folk rock beatlesiano ("Big Bright Green Pleasure Machine") e il classico sound S & G ("Flowers Never Bend With Rainfall"). Anche il processo compositivo rimane lo stesso: Paul scrive testi e musiche; insieme a Garfunkel le perfeziona e le arrangia in studio; canta col partner le tracce definitive.
Come il precedente, anche Parsley, Sage, Rosemary & Thyme è premiato a furor di popolo, spuntando un lusinghiero n. 4 (per 145 settimane) negli States.
Subito dopo l'uscita autunnale, la coppia si imbarca nella prima massiccia tournée americana: un fiume di date che li vede esibirsi senza sosta tra campus universitari e prestigiose "Simphony Hall", sera dopo sera, un viaggio lungo ed estenuante. Il culmine del giro di concerti è certamente raggiunto con l'apparizione al Monterey Pop Festival (giugno 1967), la prima grande kermesse di talenti dell'era psichedelica: Paul (tra gli organizzatori) e Artie si esibiscono in uno stadio da 50.000 persone, salutati come nuovi profeti alla stregua degli altri grandi ospiti (da Jimi Hendrix a Janis Joplin, da Otis Redding a Byrds, Who e Buffalo Springfield). Il battesimo ufficiale del nascente popolo della "Summer Of Love" dona nuova linfa al duo, che a fine anno riceve un'altra proposta, ancora più allettante: il regista Mike Nichols offre loro la possibilità di curare la colonna sonora del suo film "Il Laureato", con un giovane Dustin Hoffman agli esordi.
I ragazzi accettano con entusiasmo, il clamoroso boom della pellicola è ormai storia. Basti ricordare le prime sequenze di Hoffman sui tapis-roulant dell'aeroporto ("The Sound Of Silence" di sottofondo) o l'immortale "Mrs. Robinson" in versione quasi definitiva, tema trainante di tutto il lavoro. Una curiosità a riguardo: il brano era originariamente intitolato "Mrs. Roosevelt", strumentale ispirato alla moglie dell'ex-presidente Frank Delano. Il cambio di titolo arriva dietro felice suggerimento di Garfunkel.
L'album che accompagna il film è in realtà una grossa furbata di Clive Davis, direttore della Columbia: egli, infatti, voleva rimpinguare la colonna sonora (che, oltre all'unica inedita "Mrs. Robinson", conteneva solo quattro vecchi brani) con ulteriori nuove aggiunte. Incassato un secco no dalla coppia, in quel momento al lavoro sul nuovo progetto, Davis decide di far uscire comunque la soundtrack, aggiornata soltanto dal commento sonoro di Dave Grusin. In questa veste, approvata dagli autori, la colonna sonora di The Graduate irrompe sul mercato direttamente al n. 1 delle classifiche (febbraio '68), trainata in vetta dal fortunato singolo anch'esso al vertice per tre settimane.
Il 1968 è certamente annus mirabilis dal punto di vista commerciale. Oltre al successo del film (Grammy Award per la colonna sonora; "Mrs. Robinson" votata canzone dell'anno) arriva anche quello per l'album Bookends, nuovamente in cima alle chart americane e inglesi contemporaneamente. Mentre in America la stampa specializzata e la televisione non cessano di occuparsi di loro, in Inghilterra tutti gli album dei due sono presenti insieme in hit parade.
Prodotto per la prima volta in proprio (col consueto aiuto del tecnico del suono Roy Halee, presente fin dai primi lavori), Bookends contende al successivo il titolo di grande capolavoro di Simon & Garfunkel. L'impressione è quella di un percorso artistico che giunge a un apice espressivo, come se gli album precedenti fossero in qualche modo preparazione graduale a questo lavoro. Il minimalismo in grande stile, la letteratura tascabile del duo è ai massimi livelli. L'emulazione di stilemi, codici e linguaggi sembra superata: S & G mettono in discussione le proprie radici e influenze (Everly Brothers, Dylan, folk, rock) per reimpostare un discorso musicale il più personale possibile. E' un disco discreto, che nulla inventa, ma molto sottintende. Dodici canzoni in stato di grazia, da ascoltare tutte d'un fiato, senza momenti morti o brani/riempitivo.
Dentro c'è la versione definitiva di "Mrs. Robinson", con l'intro ritmata di voci e quel ritornello mandato a memoria da almeno tre generazioni. Per non parlare di "America", un'altra ballata autobiografica, tra le migliori dell'intero songbook di Simon.
Di prettamente acustico/sussurrato troviamo soltanto "Overs" e "Old Friends", ambedue sincere divagazioni su vita di coppia e successi condivisi insieme. E' tempo di crescita e bilanci e per una volta Paul lascia intravedere una possibile parola fine a tutto il progetto. Più del tentativo hard-rock di "Hazy Shade Of Winter", più degli episodi ora surreali (l'orwelliana "At The Zoo" e "Punky's Dilemma") ora poetici ("Fakin'It") o d'attualità ("Save The Life Of My Child"), sono proprio queste due fragili canzoni a dare un senso profondo a tutto. La struttura, con un introduzione strumentale ("Bookends Theme", che torna in seguito con l'aggiunta delle voci) e un intermezzo solo parlato (due minuti di dialoghi tra anziani in "Voices Of Old People), potrebbe far pensare a un'opera a tema: racconti brevi e riflessioni sull'amicizia, la metropoli in crisi, il tempo che scorre implacabile.
Bookends è un album di vecchie foto sulla voglia di fuggire e sul passare delle stagioni, la fine dei sogni e dell'innocenza.
A seguito di un anno ricchissimo di soddisfazioni commerciali e artistiche, se ne apre un altro a basso profilo, lontano da clamori e classifiche: il 1969, momento nevralgico di eventi belli e drammatici (il primo uomo sulla Luna; il festival di Woodstock; l'intensificarsi dell'attività bellica in Vietnam), vede l'aggravarsi del rapporto di coppia tra Paul e Artie. I due si frequentano sempre meno, si fatica a trovare un equilibrio artistico come solo pochi anni prima. Nonostante i dissapori si lavora: canzoni inedite per un nuovo album che, però, si rivela di lunga e laboriosa gestazione. Passano i mesi e non sembra esserci niente di concreto. Di fatto, l'unico disco di S & G a vedere la luce nel '69 è il singolo "The Boxer", grande successo (n. 7 USA; n. 6 UK) e bellissima canzone sulla tristezza della solitudine e dell'abbandono. Il resto dell'anno passa tra incomprensioni e allettanti, inediti sbocchi di carriera: come quello capitato a Garfunkel, che accetta l'invito di Mike Nichols (una vecchia conoscenza) a far parte del cast del suo nuovo film, "Comma 22". Il regista assicura ad Artie che le riprese (in Messico) non lo distoglieranno troppo dal lavoro in studio e che non gli ruberanno più di un paio di mesi. Lui accetta comunque, sicuro che un periodo di "disintossicazione" dall'amico non potrà che giovare agli equilibri interni del duo e alla sua dignità artistica.
Le cose non vanno comunque per il verso giusto: la pellicola richiede ulteriore tempo (da 2 a 5 mesi) e Simon, per la prima volta, si sente snobbato, messo da parte. Inizia a scrivere canzoni, tra l'amaro e il malinconico, su questa perdita temporanea: "The Only Living Boy in New York" fa precisi riferimenti al Messico e all'amico (evocato col vecchio soprannome, Tom), mentre "So Long, Frank Lloyd Wright" è un velato rimando alla passione di Garfunkel per l'architettura e insieme un addio amaro ma necessario (che tanto somiglia alla beatlesiana"Two Of Us", in cui un altro celebre Paul si rende tristemente conto della fine di un rapporto d'amicizia speciale).
Al ritorno dell'amico dal Sud America e dopo una manciata di concerti a fine anno, la coppia porta finalmente a termine il lavoro, dopo mesi e mesi di ritardi e rimandi. Artie ancora non lo sa, ma Simon ha già rivelato a Clive Davis della Columbia l'intenzione di sciogliere il duo, poco dopo l'uscita del disco nuovo, che rimarrà l'ultimo in carriera.
Bridge Over Troubled Water (gennaio 1970; n. 1 in USA e UK) fa quindi storia a sé, album fortunatissimo (oltre 10 milioni di copie vendute) e lodato dagli artisti stessi che, malgrado tutti i problemi, lo reputano il loro migliore di sempre. Tutto è davvero in magica armonia: le parti vocali, gli arrangiamenti, i testi, le musiche.
Il lavoro di regia è ancora nelle mani della coppia (coadiuvata dal solito Roy Halee), i brani affidati alla solida professionalità di un bel gruppo di sessionmen californiani: Hal Blaine (batteria), Joe Osborne (basso), Larry Knetchel (tastiere), Fred Carter Jr. (chitarra) e Jimmy Haskell (arrangiamenti d'archi). La title track, con la celeberrima intro di piano, offre l'interpretazione vocale più convincente di Garfunkel: una ballata romantica e splendida, che cresce d'intensità fino all'esplosione orchestrale e al coraggioso acuto finale. Siamo di fronte a un brano che da solo vale il prezzo del disco, con "Let It Be" dei Beatles uno dei più celebrati degli anni Settanta. Spazio poi alle melodie folk andine di "El Condor Pasa", con l'aiuto strumentale dei Los Incas, e al ritmo contagioso afro/ispanico di "Cecilia". Qui Paul scopre le carte rispetto a ciò che più lo interessa in quel momento: la musica etnica extra-statunitense, passione che avrà modo di approfondire negli anni successivi. "Keep The Costumer Satisfied" e "Baby Driver" sono monumenti al fragoroso talento pop di Simon, che deve qualcosa a maestri del calibro di Phil Spector e Brian Wilson. Notevole poi il tentativo jazz/bossa della già citata "So Long…", doveroso il tributo agli Everly Brothers nella cover di "Bye Bye Love", un commiato perfetto e insieme un ultimo ritorno alle origini. Da qualunque parte lo si guardi, dalla grazia acustica di "The Boxer" e "Only Living Boy…" oppure dall'indolenza pop di "Why Don't You Write Me", Bridge rimane un disco da avere, ideale compendio all'arte del songwriting.
Se Bookends era un album che rifletteva sul passato e celava un bisogno infantile di crescita, allora Bridge Over Troubled Water è il disco del futuro e dei progetti dell'età adulta. L'ultima pagina di una storia che offre fin troppi spunti di riflessione sull'attività solista della coppia. Che però a quel punto non è neanche più tale: arriva infatti, puntuale come previsto, la notizia ufficiale dello scioglimento.
A livello umano (attenzione: non artistico) non è più possibile andare avanti, le divergenze caratteriali e le ambizioni sono troppe e diverse. Serve a poco la nuova incetta di Grammy Awards, così come la certezza di essere in quel momento tra i gruppi musicali più celebri del pianeta. Paul e Art dividono le loro strade.
La carriera di Garfunkel proseguirà nei sicuri binari del pop melodico: album raffinati, pieni di autori di classe (Jimmy Webb) e ospiti di lusso.
Snobbato dalla critica che conta, Artie continuerà così senza tonfi o scossoni. Diversamente da Simon, che troverà una nuova Mecca in Africa e Brasile, testimoniando con album storici e osannati (Graceland; Rhythm Of The Saints) l'amore infinito per diverse culture sonore. Con buona pace dell'amico, a Simon si può attribuire il merito di aver cambiato col suo estro pop il volto della popular music mondiale. Ma va detto che senza l'angelica voce di Garfunkel non avremmo mai vissuto il mito, non avremmo fantasticato su quelle splendide armonie vocali. Quei dischi per fortuna sono ancora lì, impolverati, ma seducenti come il ricordo di una vecchia fidanzata.
E incredibile a dirsi, all'interno è ancora vivo il suono del silenzio.
Simon & Garfunkel sono tornati occasionalmente a suonare insieme. Come nel 1981, quando a New York tennero il Concert In Central Park davanti a 500.000 persone, oppure nel 2004, per un lungo tour mondiale che ha toccato anche l'Italia, con una memorabile esibizione al Colosseo, e che è stato sintetizzato nel disco Old Friends Live On Stage.
 L'ultima esibizione del duo risale al 29 e 30 ottobre 2009 al New Orleans Jazz & Heritage Festival nel 2010.

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