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martedì 11 dicembre 2012

Essere dove siamo è perfetto, Charlotte #Joko Beck, #Zen quotidiano, La #parabola del #bue, #zazen, #buddhismo, #disidentificazione, #non attaccamento, #illuminazione

La pratica è un lento morire, passo dopo passo, disidentificandoci gradualmente da tutto ciò a cui siamo aggrappati. Se manteniamo ancora una piccola presa, non siamo morti. Tutti siamo identificati con la nostra famiglia, ma disidentificandoci da essa non  significa cessare di amarla. Opuure, considerate vostro marito, vostra moglie, il  vostro compagno e il bisogno reciproco che si instaura. Più pratichiamo, più il bisogno si smussa. Il bisogno decresce e aumenta l’amore. E’ difficile amare se c’è bisogno. Se abbiamo bisogno di ricevere approvazione, non siamo morti. Se sentiamo il bisogno di potere o di una posizione sociale, se non siamo contenti si un lavoro umile, non siamo morti. Se abbiamo bisogno di apparire in un certo modo, non siamo morti. Io non sono ancora morta in tutti questi modi, sono solo consapevole dei miei attaccamenti e non agisco spesso in base ad essi. La morte significa la scomparsa degli attaccamenti, e in questo senso un vero illuminato non è più umano. Non conosco nessuno così. Ho conosciuto molte persone notevoli, ma nessuna così. A noi basta essere dove siamo e lavorare sodo. Essere dove siamo è perfetto.

(Charlotte Joko Beck, “Zen quotidiano. Amore e lavoro”, prefazione di Corrado Pensa, Roma, Ubaldini Editore, 1991, p. 39)


 (Immagine: illustrazione dall’antica “Parabola del bue” o “Caccia al toro” http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/zen/parabolabue.htm)





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