Cerca nel web

martedì 2 settembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il 2 settembre.

Il 2 settembre 1963 viene fondata da Bruce McLaren la omonima scuderia automobilistica.

La McLaren nasce ufficialmente nel 1963 come scuderia grazie al giovane pilota (26 anni) neozelandese Bruce McLaren. Il team debutta in F1 nel 1966 – con una monoposto guidata da Bruce – con un ritiro a Monte Carlo e conquista i primi punti grazie a un sesto posto in Gran Bretagna.

La McLaren inizia a farsi notare nelle corse grazie ai cinque successi consecutivi nel campionato Can-Am tra il 1967 e il 1971 (due con Bruce, due con il neozelandese Denny Hulme e uno con lo statunitense Peter Revson) mentre le prime soddisfazioni in F1 arrivano nel 1968: primo podio (Bruce secondo in Spagna), prima vittoria (sempre con Bruce in Belgio) e altri due successi con Hulme in Italia e in Canada.

Nel 1969 Hulme conquista il GP del Messico e la McLaren realizza la sua prima auto stradale: la M6GT, derivata dalla M6A dominatrice due anni prima del campionato Can-Am e dotata di un motore 5.7 V8 Chevrolet.

La vettura viene realizzata in un solo esemplare e il progetto di costruirne 250 si interrompe in seguito alla morte di Bruce McLaren, scomparso il 2 giugno 1970 sul circuito di Goodwood (Regno Unito) durante un test.

La McLaren torna a vincere in F1 nel 1972 grazie a Hulme (primo in Sudafrica) e nello stesso anno lo statunitense Mark Donohue si aggiudica la 500 Miglia di Indianapolis. Altre tre vittorie nel Circus arrivano nel 1973 grazie a Revson (Gran Bretagna e Canada) e a Hulme (Svezia).

Il 1974 è l’anno in cui la McLaren si aggiudica per la prima volta il Mondiale F1: il brasiliano Emerson Fittipaldi si laurea campione del mondo tra i piloti con tre successi (Brasile, Belgio e Canada) e Hulme contribuisce al primo titolo Costruttori vincendo in Argentina. Nello stesso anno arriva anche il secondo trionfo a Indianapolis grazie allo statunitense Johnny Rutherford (che bissa il successo nel 1976).

Il britannico James Hunt conquista il Mondiale F1 1976 (una stagione raccontata nel film “Rush”) grazie a sei vittorie: Spagna, Francia, Germania, Olanda, Canada e USA Est.

La svolta per la McLaren arriva nel 1981 con l’ingresso di Ron Dennis come team principal: nasce la MP4/1 – la prima monoposto di F1 di sempre con telaio in fibra di carbonio – e la scuderia torna a vincere dopo quattro anni di digiuno grazie al britannico John Watson primo in Gran Bretagna.

Nel 1982 viene ingaggiato l’austriaco Niki Lauda (due GP vinti – USA Ovest e Gran Bretagna – che si aggiungono ai due conquistati da Watson: Belgio e USA Est). Watson sale sul gradino più alto del podio anche nel GP degli USA Est nel 1983.

Lauda diventa campione del mondo F1 nel 1984 con cinque vittorie (Sudafrica, Francia, Gran Bretagna, Austria e Italia) con mezzo punto di vantaggio sul compagno francese Alain Prost (sette volte primo: Brasile, San Marino, Monte Carlo, Germania, Olanda, Europa e Portogallo). I due regalano alla McLaren, dopo dieci anni, il titolo Costruttori.

Nel 1985 arriva un’altra doppietta iridata, questa volta con Prost che si laurea campione del mondo con cinque successi (Brasile, Monte Carlo, Gran Bretagna, Austria e Italia) e con Lauda vincitore in Olanda mentre l’anno seguente Prost è ancora una volta campione iridato con quattro trionfi (San Marino, Monte Carlo, Austria e Australia).

Tra il 1988 e il 1991 la McLaren domina il Mondiale F1 con otto Mondiali (quattro Piloti e quattro Costruttori). Nel 1988 la scuderia inglese ottiene 15 successi in 16 gare – otto con il campione del mondo, il brasiliano Ayrton Senna (San Marino, Canada, USA, Gran Bretagna, Germania, Ungheria, Belgio e Giappone) e sette con Prost (Brasile, Monte Carlo, Messico, Francia, Portogallo, Spagna e Australia) – mentre l’anno successivo si deve “accontentare” di dieci vittorie: quattro con l’iridato Prost (USA, Francia, Gran Bretagna e Italia) e sei con Senna (San Marino, Monte Carlo, Messico, Germania, Belgio e Spagna).

Nel 1990 Senna bissa il titolo iridato (vincitore di sei Gran Premi: USA, Monte Carlo, Canada, Germania, Belgio e Italia) e si ripete nel 1991 con sette successi (USA, Brasile, San Marino, Monte Carlo, Ungheria, Belgio e Australia, più il trionfo dell’austriaco Gerhard Berger in Giappone).

Nel 1992 nasce la McLaren F1, la vettura stradale più famosa di sempre della Casa britannica ma soprattutto una delle auto più evolute del XX secolo. Sviluppata da Gordon Murray (13 Mondiali Formula 1 come progettista per Brabham e Williams) e prodotta in 106 esemplari (di cui 72 destinati a uso stradale), è la prima automobile di sempre con scocca in fibra di carbonio.

Motore 6.1 V12 aspirato di origine BMW da 627 CV (680 per le versioni LM), abitacolo con tre sedili (e quello centrale destinato al guidatore) e tre bagagliai (uno anteriore e due laterali ricavati nella zona davanti alle ruote posteriori): queste le caratteristiche principali della supercar inglese, capace di aggiudicarsi nel 1995 (con la variante GTR guidata dal francese Yannick Dalmas, dal finlandese JJ Lehto e dal giapponese Masanori Sekiya) nientepopodimeno che la 24 Ore di Le Mans.

La McLaren torna a vincere dei GP nel 1997 dopo quattro anni di digiuno grazie al britannico David Coulthard (primo in Australia e in Italia) e al finlandese Mika Häkkinen (Europa). Il driver scandinavo si laurea campione del mondo l’anno seguente con otto successi (Australia, Brasile, Spagna, Monte Carlo, Austria, Germania, Lussemburgo e Giappone) e regala alla scuderia britannica l’ultimo titolo Costruttori della sua storia grazie anche alla prima piazza rimediata da Coulthard a San Marino.

Häkkinen porta a casa anche il Mondiale 1999 salendo sul gradino più alto del podio in cinque occasioni: Brasile, Spagna, Canada, Ungheria e Giappone.

Il terzo millennio della McLaren si apre con lo sviluppo della supercar Mercedes SLR, lanciata nel 2003. Nel 2008 il Mondiale F1 viene conquistato dal team britannico: merito dell’inglese Lewis Hamilton, campione del mondo Piloti con cinque vittorie (Australia, Monte Carlo, Gran Bretagna, Germania e Cina). L’anno seguente Ron Dennis lascia il Circus per concentrarsi sulle auto di serie.

Gli anni ’10 del XX secolo vedono la McLaren impegnata più nella produzione di serie che in F1 (l’ultimo GP vinto risale al 2012 con il britannico Jenson Button in Brasile). Ma dal 2024 la vettura di Formula Uno torna alla ribalta conquistando il titolo costruttori, e al momento domina senza rivali il Mondiale 2025 con Piastri e Norris.

Nel 2011 vede la luce la MP4-12C (la prima McLaren stradale di sempre progettata, disegnata e costruita in casa) dotata di un motore 3.8 V8 biturbo da 600 CV mentre risale al 2013 il lancio della P1, una supercar ibrida con tecnologia derivata dalla Formula 1 prodotta in 375 esemplari e in grado di generare una potenza totale di 916 CV.

L’ultima sportiva di rilievo realizzata dal brand inglese è la Senna del 2018: destinata agli amanti del piacere di guida e prodotta in 500 esemplari, monta un motore 4.0 V8 biturbo da 800 CV.

lunedì 1 settembre 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi


 Buongiorno, oggi è il primo settembre.

Il primo settembre 100 d. C. Gaius Caecilius Secundus (noto oggi come Plinio il Giovane) – nato a Como nel 61 o 62 e adottato formalmente, per via testamentaria, da Gaio Plinio Secondo – pronuncia in Senato, alla presenza dell’imperatore, l’orazione di ringraziamento per l’assunzione della carica di console. Era una pratica consolidata, probabilmente, fin dall’età repubblicana: gratiarum actio solevano chiamarla i Romani. L’atto di ringraziamento dei consoli, appunto, all’entrata in carica: rivolto precedentemente agli dei, durante l’impero esso si trasforma in un vero e proprio omaggio all’imperatore.

L’idea preziosa di Plinio il Giovane è quella di riprendere in mano l’orazione, un po’ di tempo dopo, rielaborarla, limarla e ampliarla in vista di una pubblicazione.

Nasce così il Panegirico nei confronti dell’imperatore Traiano, che mantiene inalterato uno straordinario interesse sia storico che letterario: da una parte, infatti, è l’unico esempio rimasto dell’oratoria latina nei due secoli successivi alla morte di Cicerone; dall’altra è una fonte sui primi anni del principato di Traiano (anche se in questo caso, è giusto e bene ricordarlo, non possiamo giurare sulla completa attendibilità di un’opera che vuole essere soprattutto encomio e lode).

Il tema centrale del discorso, successivamente divenuto opera scritta, è il rapporto tra imperatore e senatori. È questo ciò che sembra stare particolarmente a cuore al neo-console, che esalta il principato di un sovrano illuminato che, prima di tutto, rispetta l’istituzione Senato e le tradizioni senatorie. E questo non può che essere garanzia di quel valore repubblicano sempre rimpianto a Roma dopo l’instaurazione dell’Impero: la libertas. Plinio esalta la generosità e l’affabilità dell’imperatore, e si compiace del ritrovato clima di “benessere libertino” che si respira a Roma. Oltre a tessere le lodi del regnante, l’autore dell’orazione lo esorta a perseverare in uno stile di vita virtuoso:

Persta, Caesar, in ista ratione propositi: “Persevera, Cesare, in questo tuo metodo di vita”. 

È stato notato che era la prima volta che in un panegirico l’oggetto dell’elogio venisse invitato, persuaso più che lodato.

Leitmotiv dell’opera è poi il confronto tra il regno di Traiano e di Domiziano, suo predecessore, tiranno crudele e inviso al popolo. Costante è il richiamo al precedente imperatore, accusato di aver troncato il rapporto con i senatori e di aver fondato il regno della paura e del pericolo.

Per colpire uditorio e lettori, Plinio si affida soprattutto alla figura retorica dell’antitesi (celebre è il passo Non hai vinto per celebrare il trionfo, ma lo celebri perché hai vinto) all’interno di una struttura generale che per alcuni critici rappresenta un esempio di oratoria “asiana”, mentre altri mettono in luce una sostanziale coerenza con l’insegnamento del grande Quintiliano.

domenica 31 agosto 2025

#AlmanaccoQuotidiano, a cura di #MarioBattacchi




 Buongiorno, oggi è il 31 agosto.

Il 31 agosto 1969 muore improvvisamente Rocky Marciano, al secolo Rocco Francis Marchegiano.

Il futuro campione del mondo dei pesi massimi nacque a Brockton il 1 settembre 1923 da una famiglia di origini italiane: suo padre Pierino era originario di Ripa Teatina (Chieti), mentre la madre proveniva da San Bartolomeo in Galdo (Benevento). Marciano andava fiero delle sue origini italiane, e parlava anche un discreto italiano, quello tipico degli italo-americani, che mischiano i loro dialetti di provenienza con la lingua inglese.

A 16 anni il giovane Marchegiano cominciò a lavorare nei cantieri, sviluppando un fisico atletico e possente che più tardi gli consentirà di ottenere grandi successi tra le sedici corde. Quattro anni dopo si arruolò nell’esercito. Si avvicinò al mondo dei guantoni piuttosto tardi per gli standard americani: il futuro Marciano stese un australiano con un destro portentoso in una rissa scoppiata in un pub a Cardiff. Grazie allo zio Mike, che gli procurò il manager Gene Gaggiano, a 24 anni iniziò la sua carriera pugilistica da dilettante, steccando tuttavia il primo incontro (venne squalificato quasi subito per scorrettezze). Tuttavia si iscrisse nuovamente al torneo per dilettanti, a Portland, arrivando fino alla finale, dove fu costretto ad arrendersi dopo aver accusato un dolore lancinante alla mano destra.

Nel 1947 fece il suo primo incontro da professionista quando ancora si faceva chiamare Rocky Marck: la prima delle sue 49 vittime, Lee Epperson, fu costretto ad arrendersi al terzo round. Due anni dopo, invece, Carmine Vingo fu costretto ad abbandonare la boxe dopo essere stato in ospedale per diversi mesi. Nessuno riusciva a resistere ai colpi del campione italo-americano: Roland LaStarza fu tra quei pochi a riuscire a concludere il combattimento in piedi.

Marciano (un cognome più facile da pronunciare per gli yankees) capì di poter scrivere la storia dei massimi nel 1951, quando sconfisse il più grande peso massimo di ogni tempo, il già “anziano” Joe Louis, per ko all’ottava ripresa. Nel 1952 conquistò la corona mondiale dei massimi, detenuta dal 38enne Joe Jersey Walcott, battuto per ko al 13esimo round. Il rematch, disputatosi l’anno dopo, fu vinto ancora una volta da Marciano che si sbarazzò di Walcott al primo round. Affrontò e sconfisse per due volte un altro grande campione, Ezzard Charles, e concluse la carriera nel 1955, battendo per ko un’istituzione dei mediomassimi, il leggendario Archie Moore, battuto per ko alla nona ripresa. Dopo il ritiro nel 1962, volle affrontare l’allora star della categoria regina, il terribile picchiatore Sonny Liston, ma grazie alle insistenze della moglie tornò sui suoi passi.

Marciano morì tragicamente il 31 agosto 1969 (il giorno dopo avrebbe compiuto 46 anni), precipitando insieme al pilota del suo aereo privato (un Cessna 72) a Newton. 

Venne sepolto nel Forest Lawn Memorial Gardens Cemetery Di Lake City, Florida.

Marciano, la leggenda della boxe e degli italo-americani, fa parte di quella lista di pugili ritiratosi imbattuti: il suo score recita 49 vittorie (43 per KO), nessun pareggio e, ovviamente, nessuna sconfitta.

Cerca nel blog

Archivio blog